Diffamazione aggravata a mezzo internet e trasmissione radiotelevisiva: la Suprema Corte si esprime in merito alle regole di individuazione del giudice naturale competente per territorio.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 854.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione a mezzo internet, si sofferma sulla questione della competenza territoriale.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui, nell’ambito del reato di diffamazione a mezzo internet e trasmissione radiotelevisiva, risulta preliminarmente necessario individuare, tra i reati di pari gravità, quello commesso per primo.

Laddove questo coincida con la diffamazione a mezzo rete internet, ai fini della determinazione della competenza per territorio occorre fare riferimento ai criteri suppletivi previsti dall’art. 9 co. 1 e 2 c.p.p., con la conseguenza che essa vada radicata nel luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione (ossia quello in cui la notizia viene caricata come dato informatico, per poi essere immessa nella rete web), nel caso in cui non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato; ovvero nel luogo di domicilio dell’imputato.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella parte motiva della sentenza numero 854.2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di diffamazione a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sul reato informatico che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato era stato contestato il delitto di diffamazione aggravata ex art. 595 co. 3 c.p., per aver rilasciato dichiarazioni lesive dell’onore della persona offesa in un’intervista andata in onda su una rete locale, nonché in una conferenza stampa e in un articolo pubblicati su un sito web.

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma, in punto di determinazione della pena, della sentenza resa dal locale Tribunale, confermava la condanna del prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando tre motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento, riveste particolare interesse la deduzione della violazione di legge e del vizio di motivazione con riferimento all’individuazione della competenza territoriale.

La Corte territoriale, invero, ritenendo che tra i reati di pari gravità commessi, fosse stato realizzato per primo quello di diffamazione a mezzo trasmissione televisiva, riteneva che la competenza per territorio andasse radicata nel luogo di residenza della persona offesa.

Il ricorrente lamentava l’errata individuazione del giudice territorialmente competente, sul presupposto che in realtà il reato commesso per primo fosse la diffamazione a mezzo rete internet.

La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte territoriale.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

“Il primo motivo coglie nel segno rispetto alla preliminare questione della competenza territoriale, nella parte in cui evidenzia, innanzitutto, che non risulta esplicitato in maniera chiara ed esauriente il criterio valutativo che ha indotto la Corte territoriale a ritenere maggiormente affidabile la pagina stampata prodotta dalla parte civile rispetto a quella esibita – anch’essa tempestivamente e ancor prima della formulazione dell’eccezione – dalla difesa dell’imputato. […]

È evidente che, al fine di individuare il giudice territorialmente competente – questione fondante l’eccezione tempestivamente sollevata e qui riproposta – è preliminare sciogliere tale dubbio, perché ove dovesse prevalere, dal punto di vista della priorità temporale, la diffusione mediante internet, la competenza territoriale si sposterebbe dal Tribunale di Milano a quello di Trani; dovendosi individuare, tra i reati di pari gravità, quello commesso per primo, laddove questo coincida con la ipotizzata diffamazione commessa a mezzo internet […], il giudice naturale non potrà che essere il tribunale di Andria, in forza dei criteri suppletivi di cui all’art. 9 cod. proc. pen. applicabili alla diffamazione a mezzo internet (come più volte affermato da questa Corte secondo la quale <la competenza per territorio per il reato di diffamazione commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione allocate in un sito della rete internet, va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall’art. 9 comma 2 cod. proc. pen.>, così Cass. pen., sez. I, sent. n. 16307 del 15 marzo 2011), luogo di domicilio dell’imputato che, nel caso di specie, risulta essere in Andria; la competenza verrebbe peraltro radicata presso il Tribunale di Trani anche applicando al caso di specie il criterio di cui al comma 1 dell’art. 9, così come previsto da questa Corte nei casi in cui essa ha reiteratamente chiarito che <nei reati di diffamazione tramite la rete internet, ove sia impossibile stabilire il luogo di consumazione del reato e sia stato invece individuato quello in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato come dato informatico, per poi essere immesso in rete, la competenza territoriale va determinata, ai sensi dell’art. 9 comma 1 cod. proc. pen., in relazione al luogo predetto, in cui è avvenuta una parte dell’azione>, Cass. pen., sez. V, sent. n. 8482 del 23 gennaio 2017)”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 595 c.p. – Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599].

 

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482

Nei reati di diffamazione tramite la rete internet, ove sia impossibile stabilire il luogo di consumazione del reato e sia stato invece individuato quello in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato come dato informatico, per poi essere immesso in rete, la competenza territoriale va determinata, ai sensi dell’art. 9, comma 1, c.p.p,  in relazione al luogo predetto, in cui è avvenuta una parte dell’azione.

 

Cassazione penale sez. I, 15/03/2011, n.16307

La competenza per territorio per il reato di diffamazione, commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione allocate in un sito della rete “Internet”, va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall’art. 9, comma 2, c.p.p.

 

La rassegna dei più recenti arresti giurisprudenziali in tema di diffamazione a mezzo internet:

Cassazione penale sez. V, 25/02/2020, n.10905

Non costituisce reato di diffamazione rivolgere insulti attraverso una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts poiché destinatario del messaggio è unicamente la persona offesa.

 

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2019, n.3540

Ai sensi degli artt. 214 e 215 c.p.c., in assenza di formale, tempestivo ed inequivoco disconoscimento, la copia fotostatica non autenticata prodotta in giudizio si ritiene riconosciuta tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione (confermata la condanna al risarcimento dei danni per diffamazione a mezzo mail proposta dagli attori nei confronti del ricorrente che lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. Il giudice di merito aveva infatti ritenuto non tempestiva l’eccezione di disconoscimento delle fotocopie prodotte in giudizio quali riproduzione delle mail diffamatorie).

 

Cassazione penale sez. V, 22/10/2018, n.55386

Nell’ipotesi dell’invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server.

 

Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482

L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione. Del resto, l’art. 595, comma 3, c.p., riferendo la diffamazione aggravata all’uso del mezzo della stampa ovvero disgiuntamente all’uso di ogni altro mezzo di pubblicità, rende evidente come la categoria dei mezzi di pubblicità sia più ampia del concetto di stampa, includendo tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dal fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie a un numero ampio o addirittura indeterminato di soggetti.

 

Cassazione penale sez. I, 02/12/2016, n.50

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13. L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3,c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

 

Cassazione penale sez. V, 13/07/2015, n.8328

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 18/03/2014, n.46458

Deve escludersi l’ipotesi di diffamazione nei confronti dell’imputato che a mezzo mail manifesti l’intenzione di perseguire in giudizio il destinatario a causa di gravi imperizie palesate nel corso di lavori di ristrutturazione di un immobile, commissionati dallo stesso imputato, e nella quale si addebitavano incapacità, millanterie ed imperizie “persino imbarazzanti”, atteso che, pur utilizzando senz’altro espressioni di forte censura, invocando la grossolanità delle imperizie che egli aveva ritenuto di riscontrare e parlando di incapacità e millanterie rispetto alla professionalità che gli era stata garantita, non ha valicato i limiti della continenza, da intendere superati solo al cospetto di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.

 

Cassazione penale sez. V, 30/10/2013, n.4031

In tema di diffamazione, è configurabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica nel caso in cui un consigliere di minoranza di un ordine professionale diffonda – a mezzo “e mail”- la notizia di aver presentato un esposto nei confronti di altri consiglieri del medesimo ordine, con l’accusa di aver percepito indebitamente rimborsi per la partecipazione ad un convegno, in quanto gli ordini professionali sono, ai sensi degli artt. 45-49 del d.P.R. n. 328 del 2001, enti di diritto pubblico, ferma restando la necessità di verificare che la riprovazione non trasmodi in un attacco personale portato direttamente alla sfera privata dell’offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA