Legittimo l’utilizzo di impianti di videosorveglianza sulle attività dei lavoratori se la difesa dimostra che era finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 3255.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di illegale installazione di impianti audiovisivi sul luogo di lavoro.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui non integra il reato contravvenzionale previsto dagli artt. 4, 38 dello Statuto dei lavoratori l’installazione di impianti audiovisivi diretti a tutelare il patrimonio aziendale da comportamenti infedeli dei dipendenti, anche in caso di assenza dell’accordo con le rappresentanze sindacali e dell’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

Discende dal superiore principio che nell’ipotesi di comportamenti infedeli dei dipendenti i filmati delle videoriprese che li hanno immortalati potranno essere utilizzati come mezzo di prova nell’ambito di procedimenti penali qualora la condotta del dipendente abbia assunto un disvalore penale.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza in commento;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di illegittima installazione di impianti audiovisivi sul luogo di lavoro.

 

Il reato contestato e il giudizio davanti il Tribunale

Nel caso di specie, all’imputato, tratto a giudizio in qualità titolare della ditta, era contestata la contravvenzione ex artt. 4, co. 1, 2 e 38 Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), per aver installato impianti di videosorveglianza all’interno dell’azienda, volti a controllare le attività dei lavoratori, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e di previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro.

Il Tribunale di Viterbo condannava il prevenuto per il reato contravvenzionale ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione (la sentenza risultava inappellabile perché comminata la sola pena dell’ammenda) avverso la decisione di primo grado, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurazione del reato.

Il ricorrente sosteneva la mancata integrazione del reato, in quanto le video riprese non rappresentavano strumenti di controllo lesivi della dignità e libertà dei lavoratori, bensì erano dirette a tutelare il patrimonio aziendale da comportamenti infedeli dei dipendenti.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio al Tribunale di Viterbo in diversa persona fisica.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La specifica elaborazione in tema di configurabilità del reato relativo alla illegale installazione di impianti audiovisivi sui luoghi di lavoro ritiene penalmente rilevante anche la sola potenzialità del controllo a distanza dei dipendenti. Costituisce, infatti, principio ripetutamente affermato quello secondo cui, ai fini della integrazione del reato di pericolo previsto dal combinato disposto degli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori e 114 e 171 del d.lgs. n. 196 del 2003, che punisce l’installazione di impianti audiovisivi di controllo senza accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, non è necessaria la verifica della funzionalità dell’impianto né del concreto utilizzo dello stesso (cfr., in particolare Sez. 3, n. 45198 del 07/04/2016, e Sez. 3, n. 4331 del 12/11/2013, dep. 2014).

A fondamento di questa conclusione, si è rilevato che la fattispecie in esame costituisce reato di pericolo, essendo diretta a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori.

Appare importante evidenziare, tuttavia, che, secondo una precedente decisione, «ai fini dell’operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori ex L. n. 300 del 1970, art. 4 è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dall’ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (i cosiddetti controlli difensivi)» (così, in motivazione, Sez. 3, n. 8042 del 15/12/2006, «Cass. 16 giugno 2002, n. 8388»).

Occorre tener conto, poi, della elaborazione giurisprudenziale in tema di utilizzabilità come prove nel processo penale dei risultati delle videoriprese effettuate sul luogo di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, in assenza di previo accordo con le rappresentanze sindacali competenti e di previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

Secondo un orientamento ampiamente consolidato, sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo per tutelare il patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio (cfr., in particolare: Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015; Sez. 5, n. 34842 del 12/07/2011; Sez. 5, n. 20722 del 18/03/2010)”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 4 Legge 300/1970 – Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo

Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in piu’ regioni, tale accordo puo’ essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu’ sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.

La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalita’ d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

 

Art. 38 Legge 300/1970 – Disposizioni penali

Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma lettera a) , sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno.

Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente.

Quando per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.

Nei casi previsti dal secondo comma, l’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’articolo 36 del codice penale.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. III, 07/04/2016, n.45198

Il reato di cui all’art. 4 l. 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori) è di pericolo, essendo diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l’attività dei lavoratori, in quanto per la punibilità non sono richiesti la messa in funzione e/o il concreto utilizzo delle apparecchiature.

 

Cassazione penale sez. III, 12/11/2013, n.4331

In tema di impianti audiovisivi di controllo a distanza dei lavoratori, l’idoneità dell’impianto a ledere il bene giuridico protetto è sufficiente ad integrare il reato, anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno.

 

Cassazione penale sez. V, 12/07/2011, n.34842

Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei c.d. controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio.

 

Cassazione penale sez. V, 18/03/2010, n.20722

Le prove di reato acquisite, nei confronti di un dipendente, mediante videoriprese effettuate con telecamere installate sul luogo di lavoro sono utilizzabili nel procedimento penale, non rientrandosi nella fattispecie del “controllo a distanza” dell’attività dei lavoratori, vietato, in assenza di autorizzazione sindacale o amministrativa, dagli art. 4 e 38 st. lav., bensì in quella dei controlli c.d. difensivi, legittimi in quanto finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale da condotte illecite esulanti dallo svolgimento di attività lavorativa.

 

Cassazione penale sez. III, 15/12/2006, n.8042

Non è sufficiente che i dipendenti siano consapevoli del controllo, per poterne valutare l’attività con apparecchiature di controllo. I requisiti richiesti, per realizzare controlli a distanza sull’attività del dipendente, dall’art. 4 dello statuto dei Lavoratori, non possono essere ignorati neanche quando i dipendenti siano sottoposti ad un controllo visibile. D’altro lato, l’eventuale carattere difensivo del controllo lo rende legittimo e sono ammessi comunque (senza dover osservare i requisiti di cui al succitato art. 4) i controlli difensivi, dettati dalla legittima esigenza di difendere il patrimonio aziendale e diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore. Pertanto non commette il reato derivante dalla violazione dell’art. 4 dello statuto dei Lavoratori il datore di lavoro che, senza accordo con le rappresentanze sindacali, abbia installato in locali di lavoro delle telecamere destinate esclusivamente a tutelare il patrimonio aziendale.

 

Le più recenti massime della giurisprudenza di legittimità in tema di illegittima installazione di impianti audiovisivi:

Cassazione penale sez. III, 06/11/2019, n.1733

L’installazione nel luogo di lavoro di un sistema di videosorveglianza in grado di favorire il controllo a distanza sui lavoratori integra fattispecie di reato ai sensi del combinato disposto degli art. 4 e 38 l. n. 300/1970, laddove difetti l’accordo fra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali o, in alternativa, il provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa, risultando a tal fine privo di effetti scriminanti il consenso prestato dai singoli lavoratori interessati.

 

Cassazione penale sez. III, 15/07/2019, n.50919

Integra il reato previsto dall’art. 4 st. lav. (l. 20 maggio 1970, n. 300) l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti. (In motivazione, la Corte ha osservato che la tutela penale è rivolta alla salvaguardia di interessi collettivi, la cui regolamentazione è affidata alle rappresentanze sindacali o, in subordine, ad un organo pubblico, in luogo dei lavoratori “uti singuli”, il cui consenso, a causa della posizione di svantaggio rivestita quali soggetti deboli del rapporto di lavoro, non assume alcun rilievo esimente).

 

Cassazione penale sez. III, 10/04/2018, n.38882

Integra il reato previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti. (In motivazione, la Corte ha osservato che la tutela penale è rivolta alla salvaguardia di interessi collettivi, la cui regolamentazione è affidata alle rappresentanze sindacali o, in subordine, ad un organo pubblico, in luogo dei lavoratori “uti singuli”, il cui consenso, a causa della posizione di svantaggio rivestita quali soggetti deboli del rapporto di lavoro, non assume alcun rilievo esimente) .

Cassazione penale sez. II, 30/11/2017, n.4367

I risultati delle videoriprese effettuate per mezzo di telecamere installate dal datore di lavoro allo scopo di effettuare un controllo, all’interno del luogo di lavoro, a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei dipendenti, sono utilizzabili, ai fini probatori, nel processo penale nei confronti di un imputato che sia un dipendente dell’azienda. In tal caso, infatti, non si rientra nella fattispecie del “controllo a distanza” dell’attività dei lavoratori, vietato in assenza delle garanzie procedurali di cui all’art. 4 st. lav., ma in quella dei c.d. “controlli difensivi” finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, rispetto ai quali non si giustifica l’esistenza di un divieto probatorio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la condanna per appropriazione indebita inflitta all’imputato sulla base di un quadro probatorio costituito da dichiarazioni testimoniali e videoriprese, ritenute pienamente utilizzabili dal giudice di merito, effettuate da una telecamera installata all’interno del luogo di lavoro).

 

Cassazione penale sez. III, 31/01/2017, n.22148

È da ritenere penalmente illecita, ai sensi dell’art. 4 l. n. 300 del 1970 (c.d. statuto dei lavoratori), alla stregua tanto dell’attuale quanto della previgente formulazione della norma, l’installazione di impianti audiovisivi o di altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori quando essa non sia stata preceduta da un apposito accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, da una autorizzazione della competente Direzione territoriale del lavoro, nulla rilevando in contrario che, in luogo dell’accordo o dell’autorizzazione, sia sato acquisito il consenso, orale o anche scritto, della totalità dei lavoratori interessati.

 

Cassazione penale sez. III, 08/09/2016, n.51897

In tema di divieto di uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, sussiste continuità di tipo di illecito tra la previgente fattispecie, prevista dagli artt. 4 e 38, comma 1, l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori) e 114 e 171 del d.lg. n. 196 del 2003, e quella attuale rimodulata dall’art. 23, d.lg. 14 settembre 2015, n. 151 (attuativo di una delle deleghe contenute nel cd. Jobs Act), avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4, cit. è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38, cit. 

 

Cassazione penale sez. II, 12/05/2016, n.33567

Sono utilizzabili a fini probatori nel processo penale, le rilevazioni degli orari di ingresso ed uscita dei lavoratori, anche ove gli apparecchi di rilevazione siano stati installati in violazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 4, comma 2, l. 20 maggio 1970, n. 300 (violazione nella specie derivante dalla mancanza dell’accordo con le organizzazioni sindacali), in quanto tali garanzie riguardano soltanto i rapporti di diritto privato tra datore di lavoro e lavoratori, ma non possono avere rilievo nell’attività di accertamento e repressione di fatti costituenti reato.

 

Cassazione penale sez. III, 07/04/2016, n.45198

L’art. 4 l. 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori) vieta espressamente l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentano il controllo a distanza dei lavoratori, permettendone l’installazione, se richiesti da esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale, solamente previo accordo con le rappresentanze sindacali unitarie o con quelle aziendali, o, in mancanza di accordo, previa autorizzazione dell’ispettorato del lavoro. Tale disposizione, in forza del combinato disposto degli art. 114 e 171 d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, trova le sue sanzioni in quelle previste dall’art. 38, comma 1, della medesima l. n. 300 del 1970; con la conseguente esclusione della depenalizzazione introdotta dal decreto legislativo n. 8 del 2016, essendo prevista la pena alternativa dell’ammenda o dell’arresto e non la sola pena pecuniaria.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA