Reati tributari e ne bis in idem: nessuna violazione del divieto di duplicazione di giudizio per la doppia affermazione di responsabilità in sede penale ed amministrativa.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 4439.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di dichiarazione infedele, si sofferma sul principio processuale del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto.

In particolare, la Suprema Corte con la sentenza in commento, dopo aver preliminarmente ripercorso i noti approdi giurisprudenziali della Corte EDU in materia, esprime il principio di diritto secondo cui non sussiste violazione del principio del ne bis in idem convenzionale laddove venga irrogata una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale per il medesimo fatto per il quale vi sia stata anche una condanna a sanzione penale, laddove tra i due procedimenti – amministrativo e penale – sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale da rendere le due sanzioni parte di un unico sistema di repressione dell’illecito.

Ciò accade, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo validata dalla cassazione, quando venga accertato:  (i) le due sanzioni perseguono scopi diversi e complementari; (ii) la duplicazione dei procedimenti è prevedibile da parte dell’interessato; (ii) esiste una coordinazione sul piano probatorio tra i due procedimenti;  (iv) il complessivo trattamento sanzionatorio (risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena), non risulta eccessivamente afflittivo in rapporto alla gravità dell’illecito.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 4439.2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di dichiarazione infedele, oltre agli approfondimenti sul reato tributario che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 74/2000, per aver indicato nella dichiarazione Irpef e Iva elementi passivi inesistenti, superando le soglie di punibilità previste dalla fattispecie incriminatrice, al fine di evadere le imposte.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il GUP del locale Tribunale, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando quattro motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la deduzione della violazione del principio del ne bis in idem. Invero, secondo il ricorrente il pagamento della sanzione amministrativa irrogata dall’Amministrazione finanziaria in seguito ad accertamento con adesione osta all’irrogazione della pena dell’ambito del procedimento penale per il reato tributario, in ragione del divieto di cui agli artt.4 del Protocollo n. 7 della CEDU e 50 della Carta europea dei diritti fondamentali.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

(i) La giurisprudenza della Corte EDU

Nella fondamentale sentenza A e B contro Norvegia, la Grande Camera della Corte EDU ha ritenuto che debba essere esclusa la violazione del diritto sancito dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU allorché tra i due procedimenti – amministrativo e penale, che sanzionano il medesimo fatto – sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto; legame che deve essere ravvisato, in particolare: a) quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; b) quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato; c) quando esista una coordinazione, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; d) quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito. […]

(ii) La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione

Su questa linea, d’altronde, è allineata la più recente giurisprudenza di questa Sezione, la quale ha affermato il principio secondo cui non sussiste la violazione del ne bis in idem convenzionale nel caso della irrogazione definitiva di una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta la natura sostanzialmente penale, ai sensi dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause “Grande Stevens e altri contro Italia” del 4 marzo 2014, e “Nykanen contro Finlandia” del 20 maggio 2014, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema, secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione “A. e B. contro Norvegia” del 15 novembre 2016 (Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018 – dep. 07/02/2019; Sez. 3, n. 6993 del 22/09/2017 – dep. 14/02/2018).

Nel caso di specie, la Corte territoriale si è attenuta ai principi richiamati. La Corte d’appello, in primo luogo, ha correttamente accertato la sussistenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra il procedimento amministrativo e quello penale, che presero avvio pressoché contestualmente: l’avviso di accertamento e l’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis cod. proc. pen. furono notificati al [omissis], rispettivamente, il 9 aprile 2015 e il 16 aprile 2015. […] In ogni caso, il requisito della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta va valutato con riferimento all’avvio dei procedimenti, i quali, essendo governati da regole e principi affatto diversi, hanno necessariamente tempi di definizione non coincidenti, anche in regione delle differenti modalità di formazione ed acquisizione della prova e dei mezzi di impugnazione previsti nei rispettivi ordinamenti.

Sotto il profilo probatorio, la Corte territoriale ha evidenziato come non sussiste alcuna duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, posto che l’accertamento eseguito in sede tributaria è sostanzialmente confluito nel giudizio penale. […]

Con riguardo alla proporzionalità della sanzione, la Corte territoriale ha rilevato come, ai sensi dell’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, il primo giudice abbia decurtato la pena della metà, senza applicare le sanzioni accessorie: a dimostrazione che l’ordinamento italiano, nell’irrogare la sanzione penale, tiene in debita considerazione gli esiti della procedura amministrativa. Di conseguenza, non è manifestamente illogica la conclusione, affermata dalla Corte territoriale, secondo cui la pena complessivamente inflitta non appare particolarmente gravosa, anche considerando che, nel caso in esame, nel procedimento amministrativo la sanzione è stata applicata nella misura minima, con riduzione delle sanzioni nella misura di un sesto, e nel procedimento penale all’imputato, oltre alla circostanza attenuante ex art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, sono stati riconosciuti i benefici della sospensione condizione e della non menzione.

Come rilevato dalla Corte territoriale, il sistema del “doppio binario” è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti dalle due procedure: mentre il procedimento amministrativo è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. In altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità), in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario. Del resto, non va sottaciuto che, secondo la giurisprudenza delle due Corti europee, l’eccessiva onerosità per l’interessato dei procedimenti amministrativo e penale deve essere esclusa allorché essi risultino avvinti da una stretta connessione sostanziale e temporale.

Si osserva, infine, che la prevedibilità del sistema del doppio binario è in re ipsa, dal momento che la legislazione italiana stabilisce chiaramente la sanzionabilità in via amministrativa della violazione ai sensi dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 da un lato, e in via penale della dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 dall’altro.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 4 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele

Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

  1. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
  2. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.

1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilita’ di elementi passivi reali.

1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilita’ previste dal comma 1, lettere a) e b).

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. III, 12/09/2018, n.5934

Non sussiste la violazione del “ne bis in idem” convenzionale nel caso della irrogazione, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale definitiva, di una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta la natura sostanzialmente penale, ai sensi dell’art. 4, Protocollo n. 7, Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause “G.S. e altri contro Italia” del 4 marzo 2014, ricorso 18640/10, e “N. c. Finlandia” del 20 maggio 2014, ricorso 11828/11, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale efficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema sanzionatorio, secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione “A. e B. contro Norvegia” del 15 novembre 2016, ricorso 24130/11. (Nella specie, la S.C. non ha ravvisato la violazione del suddetto divieto nel caso di una sanzione amministrativa non ancora irrevocabile al momento della decisione di secondo grado del procedimento penale per reati tributari relativi ai medesimi fatti).

 

Cassazione penale sez. III, 22/09/2017, n.6993

Non sussiste la violazione del “ne bis in idem” convenzionale nel caso della irrogazione definitiva di una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta la natura sostanzialmente penale, ai sensi dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause “G. e altri contro Italia” del 4 marzo 2014, e “N. contro Finlandia” del 20 maggio 2014, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema, secondo il criterio dettato dalla suddetta Corte nella decisione “A. e B. contro Norvegia” del 15 novembre 2016. (Nella specie, la S.C. non ha ravvisato la violazione del suddetto divieto nel caso di avvisi di accertamento di violazioni tributarie e di irrogazione delle relative sanzioni notificati all’imputato pochi mesi prima dell’inizio del procedimento penale per reati tributari relativi ai medesimi fatti).

 

La rassegna delle più recenti massime in materia di dichiarazione infedele:

Cassazione penale sez. III, 14/09/2020, n.31195

Il reato di cui all’art. 4 d.lg. n. 74 del 2000 (dichiarazione infedele) può essere integrato anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della società in accomandita semplice, e, però, in tal caso, l’imposta sui redditi evasa deve essere calcolata avendo riguardo al reddito dei singoli soci.

 

Cassazione penale sez. III, 14/02/2020, n.18575

Il reato di dichiarazione infedele dei redditi ai fini Irpef di cui all’art. 4 d.lg. n. 74 del 2000 sussiste anche qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, salvo che i relativi proventi siano stati assoggettati a sequestro o confisca penale nello stesso periodo di imposta in cui si è verificato il presupposto impositivo, dal momento che solo in tale ipotesi i provvedimenti ablatori determinano, in relazione al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., una riduzione del reddito imponibile. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che non rileva, ai predetti fini, il provvedimento ablatorio disposto contestualmente alla sentenza di condanna di primo grado, quale ulteriore conseguenza sanzionatoria ex art. 12-bis d.lg. n. 74 del 2000).

 

Cassazione penale sez. III, 07/11/2019, n.8969

In tema di reati tributari, i principi giurisprudenziali in materia di falso innocuo o grossolano non trovano applicazione in relazione alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto l’indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi inesistenti nella dichiarazione annuale, da cui discende il non corretto calcolo dell’imposta e la sua mancata corresponsione, non richiede alcun carattere ingannatorio, essendo sufficiente che sia stata posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di patteggiamento, non è illegale la pena su accordo delle parti, comminata dal giudice anche senza l’integrale pagamento del debito. Difatti, per i reati di infedele e omessa presentazione della dichiarazione, al pari dei delitti di omesso versamento, si può accedere al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario. A sostenerlo è la Cassazione, che cambia opinione rispetto a quanto stabilito in precedenza in casi analoghi. Per i giudici di legittimità, infatti, non vi è distinzione tra le citate fattispecie e quindi per esse non può valere, ai fini del patteggiamento, la regola dell’integrale pagamento, in quanto se l’imputato corrispondesse il dovuto, entro l’apertura del dibattimento, non sarebbe più punibile e non avrebbe senso il patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. III, 02/10/2019, n.47287

Per i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. c.p.p., è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.24152

In tema di reati tributari, il regime fiscale di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall’art. 2214 cod. civ., sicché, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può legittimamente tener conto della mancata tenuta della scritture contabili obbligatorie e della conseguente mancata tracciabilità delle movimentazioni finanziarie correlate alle operazioni economiche poste in essere.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

La presentazione della dichiarazione integrativa non elide la responsabilità del contribuente per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000. Le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 d.P.R. n. 600/1973, e la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dall’art. 8 d.P.R. n. 322/1998.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la Corte ha considerato inapplicabile anche l’art. 47 c.p. nel caso di errore sulla efficacia sanante della dichiarazione integrativa rispetto a quanto riportato falsamente nella dichiarazione originaria annuale).

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Il delitto di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, integra un reato istantaneo che si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione annuale, non rilevando l’eventuale presentazione di una successiva dichiarazione integrativa.

 

Cassazione penale sez. III, 27/03/2019, n.19228

Per la verifica della sussistenza del reato di dichiarazione infedele delle imposte sui redditi nei confronti di un amministratore di società di persone la quantificazione dell’imposta evasa va riferita all’intera somma non dichiarata dai soci e non soltanto dal sodo amministratore. Ad affermarlo è la Cassazione che scioglie il dubbio se il rappresentante legale risponda del reato di dichiarazione infedele quando la soglia di imposta evasa superi quella penalmente rilevante (150mila euro) calcolandola come somma dell’Irpef non dichiarata dai singoli soci ovvero soltanto considerando l’Irpef non dichiarata nella propria dichiarazione quale persona fisica/socio. Secondo i giudici per la dichiarazione infedele, presentata da chi amministri una società di persone, si impone una valutazione unitaria dell’imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.

 

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.19672

Il professionista, reo del rilascio di un mendace visto di conformità, vuoi leggero (cfr. articolo 35 del decreto legislativo n. 241 del 1997), vuoi pesante (cosiddetta “certificazione tributaria”) (articolo 36 dello stesso decreto legislativo), ovvero di un’infedele asseverazione dei dati ai fini degli studi di settore, risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui all’articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 e del meccanismo del concorso di persone nel reato di cui all’articolo 110 del Cp, non trovando applicazione Il principio di specialità di cui all’articolo 15 del Cp, incorrendo peraltro questi nel reato di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.

 

Cassazione penale sez. III, 06/02/2019, n.17535

In tema di reati tributari, il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende anche le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. (Fattispecie in tema di reato di omesso versamento dell’i.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74).

 

Cassazione penale sez. III, 29/01/2019, n.11520

In tema di successione di leggi penali, la modificazione “in melius” della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se attiene a norma integratrice di quella penale. (Fattispecie, in tema di dichiarazione infedele, in cui la Corte ha affermato che il parametro di calcolo dell’imposta Ires, modificato dall’art. 1, comma 61, l. 28 dicembre 2015, n. 208, non è norma integratrice della fattispecie penale, lasciando del tutto immutati gli elementi costitutivi e la soglia di punibilità del reato previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).

 

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10800

La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l’applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis, comma 2, d.lg. n. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.

È, pertanto, legittimo accedere a tale istituto – per i menzionati reati – anche senza estinzione del debito con il Fisco.

 

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

 La ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” ai fini dell’adozione di una misura cautelare reale in relazione al reato di dichiarazione infedele previsto dall’ art. 4 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 ben può fondarsi, ove trattisi di redditi derivanti dall’esercizio di professioni, sulla presunzione legale che costituiscano “ricavi”, ai sensi dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/1973 , (pur dopo la modifica apportata dall’ art. 7 quater, comma 1, lett. a, d.l. n. 193/2016 , conv. con modif. in l. n. 225/2016 ), quelli risultanti da versamenti sui conti correnti del professionista che quest’ultimo non sia in grado di giustificare diversamente, nulla rilevando in contrario la parziale dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 32, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 , avendo essa avuto ad oggetto l’equiparazione tra attività imprenditoriale ed attività professionale solo limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti e non ai versamenti.

 

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

I professionisti, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele.

 

Cassazione penale sez. III  26/10/2017 n. 9378  

A seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ad opera del d.lg. n. 128/2015, che al comma 13 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto detta disposizione esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. La portata dell’art. 4 d.lg. 74/2000, per effetto di tale innovazione, che ha sottratto all’area del penalmente rilevante le condotte costituenti mero abuso del diritto, è stata delimitata in negativo. Conseguentemente va revocata, ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna in tutti quei casi in cui le operazioni che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione siano state effettivamente realizzate, seppur con finalità elusive.

 

Cassazione penale sez. III  19/10/2017 n. 4733  

In tema di reati tributari, la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno assunto dal contribuente di pagamento all’erario, producendo, tuttavia, effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Precisando ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso contro l’applicazione della misura ablatoria su tutta la somma dovuta per dichiarazione infedele, malgrado la totale estinzione del debito fosse arrivata prima della sentenza di patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. VII  13/07/2017 n. 44293  

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lg. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall’imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l’invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972 riguardanti le cessioni all’esportazione non imponibili).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA