Diffamazione a mezzo Facebook: la pubblicazione di messaggi offensivi dell’altrui reputazione sul social network integra la circostanza aggravante del mezzo di pubblicità ex art. 595 comma 3 cod. pen..

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 62/2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione aggravata a mezzo Facebook, si sofferma sulla configurazione del delitto contro la persona consumato tramite il social media.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, richiama, dandone ulteriore continuità, il consolidato principio di diritto secondo il quale la pubblicazione di un messaggio di contenuto offensivo su Facebook configura il delitto di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 co 3 c.p. in quanto la diffusione del messaggio sul social network, che si connota per la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, è assimilabile al mezzo di pubblicità di cui alla circostanza aggravante prevista dal comma terzo della norma incriminatrice.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 62/2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di diffamazione a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sul reato informatico che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

Il reato contestato e il giudizio di merito

Nel caso di specie, il Giudice di Pace di Ascoli Piceno dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato, al quale erano contestati i reati di minaccia, percosse e diffamazione, ex artt. 612, 581, 595 c.p., per estinzione del reato a seguito di condotta risarcitoria.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del Giudice di Pace, deducendo che l’integrazione dell’originaria imputazione con l’addebito del delitto di diffamazione, contestato nella forma aggravata, avrebbe determinato lo spostamento della competenza in capo al Tribunale di Ascoli Piceno.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del giudice onorario impugnata disponendo  la trasmissione all’ufficio del PM  presso il Tribunale Ordinario.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratta dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Tanto premesso, deve ricordarsi che, secondo condiviso orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone ((Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015 – dep. 08/06/2015; Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015).

A tale interpretazione la Corte è pervenuta considerando che le peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante – attraverso questa ‘piattaforma virtuale’ per mezzo della quale gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione – unitamente alla loro finalizzazione alla socializzazione, sono tali da suggerire l’inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca ‘facebook’ nella tipologia di ‘qualsiasi altro mezzo di pubblicità’, che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen., il codificatore ha giustapposto a quella del ‘mezzo della stampa’ (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016 Cc. (dep. 2017).

Se così è, la competenza per materia per il reato residuo di diffamazione ex art. 593 co. 3 cod. pen. , – gli altri reati sono stati infatti dichiarati estinti per prescrizione – appartiene al Tribunale di Ascoli Piceno, al quale gli atti avrebbero dovuto essere trasmessi, ai sensi dell’art. 21 cod. proc. pen.”.

La fattispecie incriminatrice:

Art 595 c.p. – Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599].

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873

Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.

 

Cassazione penale sez. I, 28/04/2015, n.24431

In tema di diffamazione, sussiste l’aggravante dell’utilizzo del mezzo di pubblicità (art. 595, comma 3, c.p.) allorquando il fatto sia commesso postando un commento sulla bacheca facebook: tale condotta, infatti, realizza la pubblicizzazione e la diffusione del messaggio, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica. (Fattispecie relativa a conflitto di competenza tra il giudice di pace e il tribunale in composizione monocratica, risolto attribuendo la competenza a quest’ultimo organo).

 

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di diffamazione a mezzo internet:

Cassazione penale sez. V, 25/02/2020, n.10905

Non costituisce reato di diffamazione rivolgere insulti attraverso una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts poiché destinatario del messaggio è unicamente la persona offesa.

 

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2019, n.3540

Ai sensi degli artt. 214 e 215 c.p.c., in assenza di formale, tempestivo ed inequivoco disconoscimento, la copia fotostatica non autenticata prodotta in giudizio si ritiene riconosciuta tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione (confermata la condanna al risarcimento dei danni per diffamazione a mezzo mail proposta dagli attori nei confronti del ricorrente che lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. Il giudice di merito aveva infatti ritenuto non tempestiva l’eccezione di disconoscimento delle fotocopie prodotte in giudizio quali riproduzione delle mail diffamatorie).

 

Cassazione penale sez. V, 22/10/2018, n.55386

Nell’ipotesi dell’invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server.

 

Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482

L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione. Del resto, l’art. 595, comma 3, c.p., riferendo la diffamazione aggravata all’uso del mezzo della stampa ovvero disgiuntamente all’uso di ogni altro mezzo di pubblicità, rende evidente come la categoria dei mezzi di pubblicità sia più ampia del concetto di stampa, includendo tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dal fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie a un numero ampio o addirittura indeterminato di soggetti.

 

Cassazione penale sez. I, 02/12/2016, n.50

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13. L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3,c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

 

Cassazione penale sez. V, 13/07/2015, n.8328

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 18/03/2014, n.46458

Deve escludersi l’ipotesi di diffamazione nei confronti dell’imputato che a mezzo mail manifesti l’intenzione di perseguire in giudizio il destinatario a causa di gravi imperizie palesate nel corso di lavori di ristrutturazione di un immobile, commissionati dallo stesso imputato, e nella quale si addebitavano incapacità, millanterie ed imperizie “persino imbarazzanti”, atteso che, pur utilizzando senz’altro espressioni di forte censura, invocando la grossolanità delle imperizie che egli aveva ritenuto di riscontrare e parlando di incapacità e millanterie rispetto alla professionalità che gli era stata garantita, non ha valicato i limiti della continenza, da intendere superati solo al cospetto di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.

 

Cassazione penale sez. V, 30/10/2013, n.4031

In tema di diffamazione, è configurabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica nel caso in cui un consigliere di minoranza di un ordine professionale diffonda – a mezzo “e mail”- la notizia di aver presentato un esposto nei confronti di altri consiglieri del medesimo ordine, con l’accusa di aver percepito indebitamente rimborsi per la partecipazione ad un convegno, in quanto gli ordini professionali sono, ai sensi degli artt. 45-49 del d.P.R. n. 328 del 2001, enti di diritto pubblico, ferma restando la necessità di verificare che la riprovazione non trasmodi in un attacco personale portato direttamente alla sfera privata dell’offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA