Svolgimento di attività sanitaria intra moenia e peculato: non può essere riconosciuta l’applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall’art.323 bis c.p. per la sola eseguità del danno laddove sia stata già riconosciuta la circostanza attenuante comune prevista dall’ art. 62 n. 4 cod. pen.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 9525.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di peculato commesso da professionista sanitario, si sofferma sui rapporti tra le circostanze attenuanti comune e quella speciale della particolare tenuità del danno prevista dall’art. 323 bis cod. pen.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, dopo aver preliminarmente chiarito che, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, la circostanza attenuante speciale ex art. 323 bis c.p. ricorre nel caso in cui il fatto criminoso, globalmente considerato in tutti i suoi aspetti, si connoti per una gravità contenuta (a differenza della circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 n. 4 c.p., riferita esclusivamente all’entità del danno patrimoniale), esprime il principio di diritto secondo il quale in caso di riconoscimento all’imputato della circostanza attenuante comune ex art. 62 n. 4 c.p., rimane esclusa l’applicazione della circostanza speciale di cui all’art. 323 bis c.p., laddove il riconoscimento di quest’ultima sia stato sollecitato dalla difesa esclusivamente in considerazione dell’esiguità del danno patrimoniale ovvero del lucro conseguito, poiché, diversamente, essa verrebbe a sovrapporsi alla circostanza comune già riconosciuta, costituendone una inammissibile duplicazione.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo della fattispecie incriminatrice;
(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 9525.2021;
(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di peculato commesso da professionisti sanitari, oltre agli approfondimenti sul reato contro la pubblica amministrazione che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il reato contestato e la doppia conforme di merito
Nel caso di specie all’imputata, tratta a giudizio nella qualità di dirigente medico del distretto socio-sanitario, era stato contestato il delitto di peculato continuato (ex artt. 81, 314 c.p.), per aver svolto attività libero-professionale in regime intramurario allargato e per essersi appropriata delle somme di denaro corrisposte dai pazienti sottoposti a visite specialistiche presso il suo studio, che avrebbero dovuto essere versate alla ASL nella misura del 16% per l’attività privatistica esercitata in forma intramuraria.
La Corte di appello di Lecce confermava la sentenza con la quale il GUP presso il Tribunale di Brindisi, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato la prevenuta per il reato ascrittole.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando tre motivi di gravame.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:
“Costituisce espressione di un consolidato orientamento giurisprudenziale il principio secondo il quale, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, l’attenuante speciale prevista dall’art. 323-bis cod. pen. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen., ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato (così, tra le altre, Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Rv. 275091).
Ne consegue che le due circostanze attenuanti in parola finiscono per riguardare il medesimo aspetto della vicenda oggetto del processo laddove ne venga sollecitata la operatività esclusivamente con riferimento al profilo del profitto o del danno economico cagionato dalla condotta […]
In tale ottica, deve ritenersi corretta e non censurabile in questa sede di legittimità la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stata confermata la sostanziale ‘sovrapponibilità’, nel caso de quo, delle due circostanze: dunque, la mancanza dì interesse al riconoscimento dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, calibrata sulla sola valutazione della esiguità delle somme oggetto di appropriazione, perché i suoi effetti finirebbero per risultare assorbiti dalla già avvenuta concessione della attenuante comune della speciale tenuità del danno patrimoniale.
In termini esattamente complementari a quelli espressi in altre pronunce di questa Corte (v. Sez. 6, n. 3774 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 275045; Sez. 6, n. 34248 del 09/06/2011, Rv. 250837), è possibile perciò enunciare il seguente principio di diritto: “In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, qualora sia stata riconosciuta la circostanza attenuante generale del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen., resta esclusa la possibilità del riconoscimento della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323-bis cod. pen. se della stessa sia stata sollecitata l’applicazione esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato o del lucro conseguito“”.
La fattispecie incriminatrice:
Art. 314 c.p. – Peculato
Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis].
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].
Le pronunce citate nella sentenza in commento:
Cassazione penale sez. VI, 09/11/2018, n.8295
In tema di reati contro la pubblica amministrazione, l’attenuante speciale prevista dall’art. 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all’art. 62, comma primo, n. 4 c.p., ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato. (Fattispecie in cui la Corte, in tema di corruzione e accesso abusivo a un sistema informatico, ha ritenuto esente da censure la decisione con cui era stata negata tale attenuante per l’oggettiva gravità del danno recato all’immagine della pubblica amministrazione e alla segretezza delle indagini della polizia giudiziaria).
Cassazione penale sez. VI, 13/11/2018, n.3774
In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, qualora la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323-bis cod. pen. venga riconosciuta in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma 1, n. 4 c.p.
Cassazione penale sez. VI, 09/06/2011, n.34248
In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., qualora la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323 bis cod. pen. venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen.
La rassegna delle più recenti massime in tema di peculato commesso da professionisti sanitari:
Cassazione penale sez. VI, 04/02/2020, n.11003
Al fine di poter ritenere il reato di peculato, sotto il profilo soggettivo, a carico del medico che non abbia versato parte dei compensi percepiti in regime di convenzione intramuraria, occorre una motivazione particolarmente stringente, per escludere che si sia in presenza di una mera negligenza, allorquando le somme non versate siano risultate di misura estremamente modesta o quasi insignificante rispetto al numero dei casi trattati.
Cassazione penale sez. VI, 20/03/2019, n.18192
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio. (Fattispecie in tema di pluralità di truffe poste in essere da un medico ospedaliero che, omettendo di informare il datore circa la misura delle prestazioni eseguite intramoenia, induceva lo stesso in errore, conseguendo somme a titolo di indennità di esclusiva e di posizione non dovute).
Cassazione penale sez. VI, 19/06/2018, n.40908
Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.
Cassazione penale sez. II, 24/04/2018, n.25976
Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia”, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.
Cassazione penale sez. VI, 27/09/2017, n.48603
Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).
Cassazione penale sez. VI, 16/03/2017, n.29782
Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).
Cassazione penale sez. VI, 13/10/2016, n.51371
Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in un comportamento uti dominus dell’agente nei confronti della cosa mediante il compimento di atti incompatibili con il titolo per cui possiede, in modo da realizzare la c.d. interversio possessionis e interrompere così la relazione funzionale tra il bene e il legittimo proprietario (fattispecie relativa all’utilizzo di locali e di apparecchiature ospedaliere per fini diversi da quelli istituzionali).
Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.35988
Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti).
Cassazione penale sez. VI, 13/03/2013, n.16581
Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del medico responsabile del SERT che abbia distratto numerose compresse di un medicinale a base di sostanze stupefacenti delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio per la successiva cessione senza alcun piano terapeutico e senza prescrizione a soggetti tossicodipendenti.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA