Sicurezza sul lavoro e responsabilità ex d.lgs 231/2001: la Suprema Corte fa il punto sui criteri oggettivi di imputazione della responsabilità dell’Ente.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 11452.2021, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di responsabilità amministrativa dell’Ente connessa al  reato di lesioni colpose riportate da un operaio in cantiere, si sofferma sui concetti  dell’interesse o vantaggio della persona giuridica, quali criteri oggettivi di imputazione all’Ente dell’illecito.

Invero per ritenere sussistente la responsabilità della persona giuridica, la Corte di Cassazione ribadisce che il requisito dell’interesse ricorre nel caso in cui l’organo gestorio abbia operato una scelta imprenditoriale finalisticamente orientata ad un risparmio di spesa, mentre quello del vantaggio sussiste laddove la persona giuridica abbia adottato una politica d’impresa volta alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del profitto.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità amministrativa degli enti, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

L’infortunio sul lavoro, il reato presupposto dell’illecito amministrativo e la doppia conforme di merito.

Nel caso di specie il lavoratore, impegnato in lavori di rifacimento della copertura del tetto di una stazione ferroviaria, precipitava all’interno dell’edificio attraverso un varco che si era aperto in seguito al cedimento della soletta, procurandosi lesioni personali gravi, in quanto privo di cintura di sicurezza o di altri sistemi di trattenuta.

All’imputato persona fisica, tratto  a giudizio nella qualità di amministratore unico della società, era stato contestato il delitto di lesioni personali gravi colpose e alla persona giuridica era addebitato l’illecito amministrativo derivante da reato ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001.

La Corte di appello di Bologna confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Modena aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il giudicabile persona fisica e l’ente proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado.

In particolare, per quanto di interesse ai fini del presente commento, la persona giuridica deduceva, con un unico motivo di impugnazione, vizio di motivazione in ordine all’art. 25 septies D.lgs. 231/2001 in relazione al delitto di lesioni colpose.

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della persona fisica, per estinzione del reato per intervenuta prescrizione e rigettato il ricorso dell’ente.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Nello specifico, poiché il reato di lesioni colpose è stato commesso dal datore di lavoro, soggetto in posizione apicale, che non ha certo agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, l’ente deve rispondere dell’illecito salvo che, a mente dell’art.6 del citato d.lgs., non fornisca la prova di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

La sussistenza dell’interesse (dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all’integrazione della responsabilità, in caso di violazione della legislazione speciale in materia di sicurezza del lavoro ovvero del generale obbligo di tutela degli ambienti di lavoro sancito dall’art.2087 cod.civ.

Nel caso in esame è stata contestata e correttamente ritenuta la violazione di entrambe le normative prevenzionali.

La Corte di Bologna, nel ravvisare l’interesse dell’ente alla violazione delle misure di prevenzione, consistito nel risparmio dei costi di impresa corrispondente alla mancata spesa per il montaggio e l’impiego del materiale per realizzare il ponteggio necessario per lo svolgimento del lavoro in quota, ha richiamato, facendola propria, la motivazione offerta sul punto dal Tribunale di Modena.

Il primo giudice aveva evidenziato, quanto all’interesse, che la condotta negligente del rappresentante legale della società cui era conseguita la carenza nell’adozione di cautele antinfortunistiche non era una semplice sottovalutazione del rischio, quanto piuttosto una consapevole scelta volta al risparmio dei costi e dei tempi di lavoro, e, quanto al vantaggio, che la [omissis] srl, già coinvolta in episodi analoghi, era “del tutto disattenta” alla materia della sicurezza, così che l’infortunio occorso al [omissis] era da porsi in relazione alla precisa scelta aziendale di contenimento della spesa e di massimizzazione del profitto”.

La fattispecie incriminatrice:

Art. 25 septies D.lgs. 231/2001 – Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro

In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.

 

La rassegna delle pronunce di legittimità in materia di responsabilità amministrativa degli enti:

Cassazione penale sez. IV, 22/09/2020, n.29584

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, la sistematicità della violazione non rileva quale elemento della fattispecie tipica dell’illecito dell’ente: l’articolo 25-septies del decreto legislativo n. 231 del 200, infatti, non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell’ente derivante dai reati colposi ivi contemplati e sarebbe eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti le condotte episodiche e occasionali.

 

Cassazione penale sez. VI, 18/09/2020, n.28210

In tema di responsabilità degli enti in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso, con verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

 

Cassazione penale sez. VI, 11/02/2020, n.11626

In tema di responsabilità da reato degli enti, la persona giuridica risponde dell’illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giurisdizione nazionale, commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, a prescindere dalla nazionalità dell’ente e dal luogo ove esso abbia la sede legale, nonché dall’esistenza o meno, nello Stato di appartenenza, di norme che disciplinino analoga materia, anche con riguardo alla predisposizione ed all’efficace attuazione di modelli organizzativi e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

 

Cassazione penale sez. VI, 15/01/2020, n.12278

In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito amministrativo, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4 .

 

Cassazione penale sez. VI, 11/12/2019, n.1676

In tema di responsabilità da reato degli enti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto di uno dei reati di cui all’art. 322-ter c.p. può essere indifferentemente disposto, oltre che nei confronti dell’ente responsabile dell’illecito amministrativo, anche nei confronti delle persone fisiche che lo hanno commesso, con l’unico limite che il vincolo non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto.

 

Cassazione penale sez. IV, 27/11/2019, n.49775

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

 

Cassazione penale sez. III, 04/10/2019, n.3157

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi in materia ambientale (art. 25-undecies d.lg. n. 231 del 2001, nella specie configurato con riferimento al reato presupposto di cui all’art. 137, comma 5, d.lg. n. 152 del 2006) l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva, considerando a tal ultimo riguardo che il risparmio a favore dell’impresa può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione.

 

Cassazione penale sez. III, 01/10/2019, n.1432

In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001, n. 231, art. 59 e art. 22, commi 2 e 4.

 

Cassazione penale sez. IV, 24/09/2019, n.43656

 In materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica (articolo 25-septies del decreto legislativo n. 231 del 2001), sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento e produttività o anche solo una riduzione dei tempi di lavorazione.

Cassazione penale sez. IV, 24/09/2019, n.43656

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello organizzativo e di gestione del D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 6; poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto.

 

Cassazione penale sez. II, 10/09/2019, n.41082

In tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato.

              

Cassazione penale sez. V, 16/07/2019, n.38115

 In tema di responsabilità degli enti ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica, ma la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente né riduce l’ambito della cognizione giudiziale, dovendo il giudice procedere a una verifica del reato presupposto alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito formulata nei confronti dell’ente, accertando la sussistenza o meno delle altre condotte poste in essere dai coimputati nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

 

Cassazione penale sez. V, 16/07/2019, n.38115                                   

In caso di confisca del profitto dei reati dovrebbe operare la diminuzione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. a) d.lg. n. 231 del 2001, prevista per il caso di condotte riparatorie dell’ente, posto che non può parlarsi di condotta riparatoria con riferimento all’ipotesi di esecuzione della misura ablatoria disposta dall’autorità giudiziaria.

 

Cassazione penale sez. III, 10/07/2019, n.1420

 In tema di responsabilità degli enti, non è ammissibile la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale, che espressamente prevede l’istituto estintivo in relazione a un fatto-reato commesso dalla persona fisica, e quella amministrativa dell’ente che trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, non già l’intera sua concretizzazione, essendo volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell’ente per fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.

 

Cassazione penale sez. IV, 24/01/2019, n.16598

 In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il “risparmio” in favore dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’ente in un caso in cui, sebbene i lavoratori fossero stati correttamente formati e i presidi collettivi ed individuali fossero presenti e conformi alla normativa di riferimento, le lavorazioni in concreto si svolgevano senza prevedere l’applicazione ed il controllo dell’utilizzo degli strumenti in dotazione, al fine di ottenere una riduzione dei tempi di lavoro).

 

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

 In tema di responsabilità degli enti collettivi, quando si deve verificare l’esistenza di un interesse della società in capo al soggetto agente che pone in essere il reato presupposto della responsabilità della società, pur essendo la nozione di “interesse dell’ente” caratterizzata (a differenza della nozione di vantaggio) da una prevalente connotazione soggettiva, non può prescindersi – specie se il reato è stato commesso nel prevalente interesse del singolo o di terzi – da un confronto con un parametro oggettivo, non rimesso esclusivamente ad imperscrutabili intendimenti dell’agente.

 

Cassazione penale sez. II, 19/10/2018, n.52470

 In tema di responsabilità da reato degli enti, l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica.

 

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

 Nel procedimento a carico dell’ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, laddove sia contestata la mancata adozione e attuazione di modelli organizzativi, i presupposti normativi della responsabilità dell’ente per fatto del soggetto sottoposto all’altrui direzione e vigilanza differiscono da quelli della responsabilità per fatto del soggetto apicale solo allorché sia dimostrata l’adozione di misure cautelari idonee a prevenire i reati dei sottoposti, ancorché non formalizzati in un modello, dovendosi, in tal caso, provare (al fine di affermare la responsabilità dell’ente) che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza del dovere di direzione e vigilanza.

 

Cassazione penale sez. II, 10/07/2018, n.34293

In tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma 1 dell’articolo 321 del Cpp, non essendovi totale sovrapposizione e, quindi, alcuna incompatibilità di natura logico-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive (vuoi per la temporaneità della misura interdittiva, laddove il sequestro è tendenzialmente definitivo ove, all’esito del giudizio di cognizione, sia disposta la confisca; vuoi perché, comunque, sotto il profilo degli effetti, mentre la misura interdittiva “paralizza” l’uso del bene “criminogeno” solo in modo indiretto, al contrario, il sequestro e la successiva confisca colpiscono direttamente il bene, eliminando, quindi, per sempre, il pericolo che possa essere destinato a commettere altri reati). È pur vero, infatti, che l’articolo 53 del Dlgs 8 giugno 2001 n. 231 prevede testualmente che, nei confronti degli enti, si possa applicare il solo sequestro preventivo (del prezzo o del profitto del reato) a fini di confisca di cui all’articolo 321, comma 2, del Cpp, non essendo espressamente previsto il sequestro preventivo di cui al comma 1 dell’articolo 321 del codice di procedura penale, ma tale sequestro “impeditivo” deve ritenersi ammissibile anche nei confronti dell’ente, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata che trova fondamento nell’amplissimo disposto dell’articolo 34 del decreto legislativo n. 231 del 2001, a norma del quale “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano […] in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”, e si giustifica con il fatto che, diversamente, si teorizzerebbe per l’ente un regime privilegiato rispetto a quello generale previsto dal codice di rito, privando la collettività di un formidabile e agile strumento di tutela finalizzato a eliminare dalla circolazione beni criminogeni (nella specie, quindi, la Corte, ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di alcuni impianti fotovoltaici disposto ex articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale nei confronti di un ente chiamato a rispondere dell’illecito amministrativo di cui all’articolo 24 del decreto legislativo n. 231 del 2001, in relazione all’articolo 640-bis del codice penale).

 

Cassazione penale sez. IV, 23/05/2018, n.38363

In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione riferiti all’interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile “ex post” e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato.

 

Cassazione penale sez. VI, 26/04/2018, n.22843

In tema di sequestro preventivo, i provvedimenti del giudice in ordine ai poteri e all’operato dell’amministratore giudiziario, non attenendo all’applicazione o alla modifica del vincolo cautelare, ma alle modalità esecutive ed attuative della misura, non sono autonomamente impugnabili, essendo consentita la sola opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 666, comma 4, c.p.p. (Fattispecie in cui la Corte ha convertito in opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione il ricorso in cassazione proposto avverso il rigetto della richiesta di liquidazione del compenso professionale avanzata dal componente dell’organismo di vigilanza nominato, ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.lg. n. 231 del 2001, dall’amministratore giudiziario della società i cui beni erano stati sottoposti a sequestro).

 

 Cassazione penale sez. IV, 18/04/2018, n.22468

 In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

 

Cassazione penale sez. II, 28/03/2018, n.23896

Sussiste l’esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile) e il vantaggio economico deve essere concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

 

Cassazione penale sez. VI, 25/01/2018, n.33044

In tema di responsabilità da reato degli enti, la persona fisica, indagata del reato presupposto, non è legittimata a proporre riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto esclusivamente nei confronti della persona giuridica, ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’illecito da reato dell’ente, pur presupponendo l’avvenuta commissione di un reato, mantiene la propria autonomia strutturale, sicchè l’autore del reato non può considerarsi quale coimputato della persona giuridica. Cfr. Corte Cost. n. 218 del 2014).

 

Cassazione penale sez. V, 10/11/2017, n.2308

Nell’ipotesi di sequestro preventivo ex art. 321, comma2, c.p.p., finalizzato alla confisca “facoltativa”, il giudice deve dare conto del “periculum in mora” che giustifica l’apposizione del vincolo, dovendosi escludere qualsiasi automatismo che colleghi la pericolosità alla mera confiscabilità del bene oggetto di sequestro.

 

Cassazione penale sez. III, 09/11/2017, n.6742

 ln materia di responsabilità degli enti dipendente da reato, in caso di sequestro preventivo di azienda per violazione della disciplina dettata dal Dlgs 231/2001, la nomina dell’amministratore giudiziario è presupposto imprescindibile per l’esercizio della attività. Ad affermarlo è la Cassazione respingendo il ricorso presentato da due Srl che si erano opposte al decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni aziendali del valore di quasi 3 milioni di euro nell’ambito di un procedimento per reati ambientali. Per la Corte la ratio dell’obbligatorietà della nomina è quella di “evitare che la disposta misura cautelare possa paralizzare l’ordinaria attività aziendale pregiudicandone la continuità e lo sviluppo e la funzione assegnata al custode amministratore giudiziario è quella di vigilare sull’utilizzo e sulla gestione dell’azienda e di riferirne all’autorità giudiziaria”.

 

Cassazione penale sez. III, 09/11/2017, n.6742

In caso di sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca di beni di una società nei cui confronti pende un procedimento per responsabilità amministrativa nascente da reato, disposto ai sensi del comma 2 dell’articolo 19 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, qualora il provvedimento cautelare abbia a oggetto “società, aziende, ovvero beni, ivi compresi titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche in deposito”, il comma 1-bis dell’articolo 53 dello stesso decreto legislativo prevede che sia il “custode amministratore giudiziario” a consentirne l’utilizzo e la gestione agli organi societari, “esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando poteri di vigilanza e riferendone all’autorità giudiziaria”. La ratio della disposizione è quella di evitare che la disposta misura cautelare possa paralizzare l’ordinaria attività aziendale pregiudicandone la continuità e lo sviluppo e la funzione assegnata al custode amministratore giudiziario, in questa prospettiva, è quella di vigilare sull’utilizzo e sulla gestione dell’azienda e di riferirne all’autorità giudiziaria: da ciò deriva anche che la nomina dell’amministratore è a tal punto presupposto imprescindibile per l’attività aziendale che, nel caso sia stata omessa, la parte interessata ha un “onere di impulso” di adire il giudice che procede, ai sensi dell’articolo 47 del decreto legislativo n. 231 del 2001.

 

Cassazione penale sez. IV, 13/09/2017, n.16713

In tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001 all’interesse o al vantaggio, devono essere riferiti alla condotta e non all’evento.

 

Cassazione penale sez. VI, 25/07/2017, n.49056

Le norme sulla responsabilità da reato degli enti si applicano anche alle società unipersonali, in quanto soggetto di diritto distinto dal soggetto che ne detiene le quote.

 

Cassazione penale sez. VI, 22/06/2017, n.41768

 Ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, avente a oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità, la competenza a conoscere degli illeciti amministrativi dell’ente “appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono”, di guisa che la competenza del giudice penale in riferimento alla, responsabilità degli enti è una competenza “derivata”, senza alcun adattamento, da quella per il reato presupposto, il quale è imputabile esclusivamente alle persone fisiche. Per l’effetto, poiché nell’ambito della disciplina della competenza rientra anche quella relativa alla connessione, la competenza, nel processo a carico dell’ente, può essere determinata anche per connessione rispetto a un reato addebitato esclusivamente a persone fisiche, quando queste sono imputate anche per ulteriori reati, i quali costituiscono il presupposto per la responsabilità amministrativa dell’ente.

 

Cassazione penale sez. VI, 28/04/2017, n.35219                                                                  

 In tema di responsabilità da reato degli enti, la nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto, in violazione del divieto previsto dall’art. 39, d.lgs. n. 231 del 2001, comporta l’inefficacia di tutte le attività svolte dal rappresentante legale incompatibile all’interno del procedimento che riguarda l’ente.

 

 

 Cassazione penale sez. II, 27/09/2016, n.52316

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’articolo 5 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che ne individua il presupposto nella commissione dei reati “nel suo interesse o a suo vantaggio “, non contiene un’endiadi, perché i predetti termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, ed evocano criteri concorrenti, ma alternativi: il richiamo all’interesse dell’ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, per effetto di un indebito arricchimento prefigurato, ma non necessariamente realizzato, in conseguenza dell’illecito; il riferimento al vantaggio valorizza, invece, un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post quanto all’obbiettivo conseguimento di esso a seguito della commissione dell’illecito presupposto, pur in difetto della sua prospettazione ex ante. Da ciò deriva che i due presupposti si trovano in concorso reale, cosicché, ricorrendo entrambi, l’ente si troverebbe a dover rispondere di una pluralità di illeciti (situazione disciplinata dall’articolo 21 del decreto legislativo n. 231 del 2001).

 

Cassazione penale sez. IV, 19/05/2016, n.31210

 In tema di responsabilità da reato dell’ente in conseguenza della commissione dei reati di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25 septies d.lg. 8 giugno 2001 n. 231), ricorre il requisito dell’interesse dell’ente quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l’ente quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, anche in questo caso ovviamente non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

 

Cassazione penale sez. IV, 20/04/2016, n.24697

 In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività. (In motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente, non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi). (Conf. n.31003 del 2015 e n.31210 del 2016 N.M.).

 Cassazione penale sez. VI, 19/04/2016, n.20098

 Ai sensi dell’art. 22, comma 4, d.lg. n. 231/2001, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione sospendendolo fino alla pronuncia che definisce il giudizio.

 

Cassazione penale sez. VI, 09/02/2016, n.12653

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).

 

Cassazione penale sez. VI, 12/02/2016, n.11442

 In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (Sezioni Unite, 24 aprile 2014, E. e altri).

 

Cassazione penale sez. VI, 14/07/2015, n.33226

In tema di responsabilità da reato degli enti, il profitto del reato si identifica solo con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto e non anche con i vantaggi indiretti derivanti dall’illecito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente avente ad oggetto somme di denaro considerate profitto derivante dal reato di corruzione e quantificate facendo riferimento non già al vantaggio consistito nella realizzazione di un impianto di energia alternativa illecitamente autorizzato per effetto dell’accordo corruttivo, ma alle somme liquidate alla società a seguito della erogazione di energia elettrica in base alla convenzione successivamente stipulata con l’ente gestore. (Conf. sent. n. 33227 del 2015 non massimata).

 

 Cassazione penale sez. un., 24/04/2014, n.38343

 Il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un tertium genus di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha chiarito, in tema di responsabilità dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, che grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi).

 

Cassazione penale, sez. un., 24/04/2014, n. 38343.

 In tema di responsabilità amministrativa degli enti, laddove si verta in ipotesi di commissione del reato presupposto di lesioni colpose gravi o gravissime aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro (art. 590, comma 3, c.p.), le sanzioni interdittive previste dal comma 3 dell’art. 25 septies d.lg.8 giugno 2001 n. 231 devono essere applicate obbligatoriamente.

 

Cassazione penale sez. VI, 16/05/2012, n.30085

La normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.

 

Cassazione penale sez. II, 26/10/2010, n.234

In materia societaria, una corretta lettura della disciplina concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica porta a ritenere che possano essere esonerati dall’applicazione del d.lgs. 231/2001 soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici. Ne consegue che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina in questione dovendo necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo.

 

Cassazione penale sez. II, 09/07/2010, n.28699

La previsione dell’art. 1, comma 3, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, che esclude dalla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti quelli che “svolgono funzioni di rilievo costituzionale” mira a preservare dalle misure cautelari e dalle sanzioni applicabili ai sensi della richiamata disciplina gli enti rispetto ai quali tale applicazione sortirebbe l’effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali. Ciò che deve escludersi con riguardo a mere attività di impresa, pur operanti nel settore sanitario (nella specie, trattavasi di un ospedale interregionale che operava in forma di società per azioni “mista”, partecipato al 51% da capitale pubblico), non potendosi confondere il valore, di spessore costituzionale, della tutela della salute con il rilievo costituzionale dell’ente o della relativa funzione. Del resto diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione secondo cui, per l’esonero dalla responsabilità ex d.lg. n. 231 del 2001, basterebbe la mera rilevanza costituzionale di uno dei “valori” più o meno coinvolti nella funzione dell’ente: conclusione che porterebbe, in modo aberrante, a escludere dalla portata applicativa della disciplina “de qua” un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma anche in quello dell’informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico ecc., per il solo fatto che si tratta di enti che si occupano di “valori” di rango costituzionale, pur non svolgendo “funzioni” costituzionali.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA