Risponde di peculato e non di abuso di ufficio il medico che nello svolgimento di attività intra moenia autorizzata ometta di versare alla struttura sanitaria la percentuale di legge.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 15945.2021 resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che si è nuovamente pronunciata su un caso di peculato commesso da professionista sanitario che riveste qualifica pubblicistica, definendo il perimetro della norma incriminatrice ed i presupposti necessari e sufficienti affinché la condotta del medico possa ritenere aver integrato gli elementi costitutivi del reato contro la pubblica amministrazione.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento esprime il principio di diritto secondo il quale il medico che svolge attività libero professionale intra moenia acquisisce qualifica pubblicistica e come tale deve rispondere del delitto di peculato qualora si appropri delle somme ricevute in ragione della suo ufficio, omettendo di corrispondere la percentuale spettante all’azienda sanitaria.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 15945/2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di peculato commesso da professionisti sanitari, oltre agli approfondimenti sul reato contro la pubblica amministrazione che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso in disamina l’imputato era stato tratto a giudizio nella qualità di dirigente medico dipendente della locale ASL in servizio per il delitto di peculato (previsto e punito dall’art. 314 c.p.), per essersi appropriato delle somme corrisposte dai pazienti per le prestazioni professionali, omettendo di versare la percentuale spettante alla struttura sanitaria.

La Corte di appello di Bari, in riforma parziale della sentenza resa dal GUP del Tribunale di Foggia in esito al giudizio abbreviato limitatamente al trattamento sanzionatorio, confermava, in punto di penale responsabilità, la condanna del prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando tre motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“Non è in contestazione che l’attività resa intra-moenia, per quanto di natura libero-professionale, implichi una parziale destinazione della somma dovuta dal paziente alla struttura pubblica e che solo a seguito del versamento dell’intera somma, verrà riversata al medico la quota a lui spettante.

Ne consegue che il pagamento da parte del paziente di per sé, immediatamente, comporta il necessario coinvolgimento della sfera pubblicistica nella fase della riscossione, in quanto in tutti i casi il versamento viene fatto anche a vantaggio della struttura pubblica.

Parimenti, non è dubbio che il soggetto specificamente incaricato della riscossione assuma una qualità di rilievo pubblicistico, pur a margine di attività professionale.

E ciò vale anche nel caso in cui il medico, che svolge l’attività libero professionale, in via di fatto si ingerisca direttamente nell’incasso dell’intera somma, giacché in quello specifico frangente egli acquisisce una somma a lui non definitivamente e per l’intero destinata, svolgendo nei confronti del paziente un’attività di incasso strutturalmente corrispondente a quella di rilievo pubblicistico, altrimenti svolta dai soggetti competenti nell’interesse dell’azienda. […]

Da ciò discende che in siffatti casi il medico, il quale, dopo aver incassato per conto della struttura somme ad essa destinate, non le riversi, si appropria delle stesse nella veste di pubblico ufficiale e si rende responsabile di peculato, avendo avuto la disponibilità delle somme per ragioni inerenti al concreto svolgimento del suo ufficio.

Ciò del resto in linea con il consolidato principio per cui «integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell’attività libero – professionale consentita dal d.P.R. 20 maggio 1987 n. 270 (cosiddetta “intra moenia”), e ricevendo per consuetudine dai pazienti (anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente) le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all’azienda sanitaria.

Infatti, per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attività intramuraria (la quale è retta da un regime privatistico), detta qualità deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione» (Cass. Sez. 6, n. 2969 del 6/10/2004, dep. nel 2005, rv. 231474; ma nello stesso senso anche Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, rv. 253098 e Cass. Sez. 6, n. 39695 del 17/9/2009, rv. 245003)”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 314 c.p. – Peculato

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis].

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. VI, 14/02/2012, n.25255

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (In motivazione, la Corte ha precisato che la qualifica di pubblico ufficiale spetta a qualunque pubblico dipendente che la prassi e la consuetudine mettano in condizione di detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione).

Cassazione penale sez. VI, 17/09/2009, n.39695

Integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso direttamente dai pazienti l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (In motivazione la sentenza ha precisato che, limitatamente all’attività di versamento delle somme destinate all’azienda sanitaria, il medico in questione deve ritenersi rivesta la qualifica di pubblico ufficiale).

Cassazione penale sez. VI, 06/10/2004, n.2969

Integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell’attività libero-professionale consentita dal d.P.R. 20 maggio 1987 n. 270 (cosiddetta “intra moenia”), e ricevendo per consuetudine dai pazienti (anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente) le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all’azienda sanitaria. Infatti, per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attività intramuraria (la quale è retta da un regime privatistico), detta qualità deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione. (In motivazione la Corte ha chiarito che nella specie assumeva rilevanza non già l’attività professionale, ma la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi nell’attività pubblicistica di riscossione dei pagamenti).

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di peculato commesso da professionisti sanitari:

Cassazione penale sez. VI, 04/02/2020, n.11003

Al fine di poter ritenere il reato di peculato, sotto il profilo soggettivo, a carico del medico che non abbia versato parte dei compensi percepiti in regime di convenzione intramuraria, occorre una motivazione particolarmente stringente, per escludere che si sia in presenza di una mera negligenza, allorquando le somme non versate siano risultate di misura estremamente modesta o quasi insignificante rispetto al numero dei casi trattati.

 

Cassazione penale sez. VI, 20/03/2019, n.18192

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio. (Fattispecie in tema di pluralità di truffe poste in essere da un medico ospedaliero che, omettendo di informare il datore circa la misura delle prestazioni eseguite intramoenia, induceva lo stesso in errore, conseguendo somme a titolo di indennità di esclusiva e di posizione non dovute).

 

Cassazione penale sez. VI, 19/06/2018, n.40908

Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.

 

Cassazione penale sez. II, 24/04/2018, n.25976

Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia”, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.

 

Cassazione penale sez. VI, 27/09/2017, n.48603

Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).

 

Cassazione penale sez. VI, 16/03/2017, n.29782

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).

 

 

Cassazione penale sez. VI, 13/10/2016, n.51371

Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in un comportamento uti dominus dell’agente nei confronti della cosa mediante il compimento di atti incompatibili con il titolo per cui possiede, in modo da realizzare la c.d. interversio possessionis e interrompere così la relazione funzionale tra il bene e il legittimo proprietario (fattispecie relativa all’utilizzo di locali e di apparecchiature ospedaliere per fini diversi da quelli istituzionali).

 

Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.35988

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti).

 

Cassazione penale sez. VI, 13/03/2013, n.16581

Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del medico responsabile del SERT che abbia distratto numerose compresse di un medicinale a base di sostanze stupefacenti delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio per la successiva cessione senza alcun piano terapeutico e senza prescrizione a soggetti tossicodipendenti.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA