Integra il delitto di atti persecutori la condotta del soggetto agente che invia ripetute mail minacciose alla persona offesa

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 1223.2021 resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che si è pronunciata su un caso di atti persecutori mediante l’uso dello strumento telematico, ritenendo l’utilizzo illecito della posta elettronica mezzo tramite il quale può ritenersi integrato il reato.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in rassegna, enuncia il principio di diritto secondo il quale il reiterato invio di messaggi di posta elettronica costituisce condotta invasiva idonea ad integrare il delitto di stalking, a nulla rilevando la modalità asincrona di tale mezzo di comunicazione considerato che l’eventuale adozione di meccanismi di difesa del destinatario (mancata lettura o cancellazione delle mail) implica già l’intervenuta lesione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di atti persecutori a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sul reato informatico che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e la fase cautelare personale di merito

Nel caso di specie all’indagata era stato provvisoriamente contestato il delitto di atti persecutori previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., per aver inviato reiteratamente numerose e-mail contenenti minacce di morte dirette alla persona offesa.

Il Tribunale del riesame di Catania confermava l’ordinanza con la quale il GIP in sede aveva applicato nei confronti della prevenuta la misura coercitiva personale della custodia in carcere.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Tribunale delle libertà, articolando plurimi motivi di gravame.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“Con il terzo motivo, la ricorrente sostiene che l’invio di messaggi di posta elettronica, in quanto comunicazione asincrona, non sarebbe da solo sufficiente ad integrare il reato di stalking.

Il Collegio ritiene che tale censura sia infondata perché il reiterato invio di messaggi di posta elettronica, contenenti insulti e minacce, costituisce una condotta invasiva, idonea a determinare uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, nella specie individuato — secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata — nel timore della persona offesa per l’incolumità propria e dei propri familiari.  […]

A prescindere da questa puntualizzazione, il Collegio osserva — in secondo luogo — che non può essere condiviso neanche l’enunciato critico secondo cui l’invio di messaggi di posta elettronica non avrebbe natura invasiva.

L’attuale diffusione, massiccia e capillare, di questo sistema di comunicazione, adoperato sia per i propri contatti personali che per quelli professionali, ne fa una modalità relazionale che, al pari di altre fondate sull’utilizzo della piattaforma internet, è diventata parte integrante della quotidianità delle persone, anche grazie al fatto che l’accesso alla propria casella di posta elettronica è oggi possibile dai moderni smartphone e tablet e non richiede neanche di utilizzare necessariamente un personal computer.

Di questa evoluzione dei costumi e, in particolare, dei sistemi attraverso i quali le persone comunicano tra loro, l’interprete non può non tenere conto, nel misurare il grado di invasività di una condotta minatoria o ingiuriosa che venga portata alla vittima attraverso l’invio di email.

In quest’ottica, l’invio ripetuto, anche da indirizzi diversi di posta elettronica, di mail dal contenuto gravemente offensivo e minatorio nei confronti della persona offesa, costretta a subire una mole di messaggi di tal fatta, costituisce non solo una condotta assimilabile a quella prevista nella fattispecie penale di cui all’art. 612-bis cod. pen., ma anche un contegno idoneo a determinare uno degli eventi previsti dalla fattispecie […] Nel senso della possibilità che messaggi e mail possano veicolare condotte persecutorie si è d’altra parta già espressa questa Corte (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010, Rv. 248285), laddove ha ritenuto che integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa anche di messaggi di posta elettronica.

La tesi agitata dalla ricorrente — secondo cui le comunicazioni asincrone, come la mail non avrebbero portata persecutoria perché il destinatario potrebbe cancellarle o evitare di leggerle — non può avere seguito.

L’invasività di una condotta non è data, infatti, dall’effettiva o potenziale possibilità che la persona offesa attui dei meccanismi di difesa per arginarne gli effetti, perché, se e quando ciò avvenga, la condotta ha già esaurito la propria portata violativa dell’altrui sfera individuale, sfera individuale vieppiù pregiudicata dal fatto di dover predisporre dei meccanismi di difesa.

Al danno della ricezione di una pluralità di mail contenenti insulti e minacce, si aggiunge peraltro anche quello di dover effettuare — nell’ambito del complesso di messaggi in entrata nella propria casella — una cernita prima di comprendere la destinazione da dare loro, venendo così pregiudicata ulteriormente la propria libertà morale”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 612 bis c.p. – Atti persecutori  

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di atti persecutori a mezzo internet:

Cassazione penale sez. V, 16/02/2021, n.8919

Integra il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.

Cassazione penale sez. V, 13/11/2020, n.2496

Il delitto previsto dell’art. 612 bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento. Appare, pertanto, evidente che i singoli segmenti di una condotta unitaria possono essere realizzati anche in una medesima giornata o in una medesima notte (nella specie, le condotte minacciose erano costituite dall’inoltro di una pluralità di messaggi telefonici dal contenuto minatorio, effettuato nella medesima notte).

Cassazione penale sez. V, 03/11/2020, n.34512

La pubblicazione di notizie ironiche su Facebook non è atta a ingenerare lo stato di ansia delle comunicazioni dirette quali quelle su Whatsapp. Pertanto, in tal caso non è configurabile il reato di stalking ex articolo 612-bis del Cp. A dirlo è la Cassazione, ritenendo che per la sussistenza degli atti persecutori è necessario che sussista nella persona offesa uno stato d’ansia ingenerato da comunicazioni invasive della sfera privata, quali sono, appunto, gli sms telefonici o i messaggi di Whatsapp indirizzati direttamente alla vittima. Nel caso di specie, si trattava di alcuni post ironici del conduttore di un appartamento che criticava i locatori per avergli affittato la casa in nero e allo stesso tempo essere attivi nella campagna per la salute degli animali. Per i giudici di legittimità i post, tra l’altro non offensivi ma ironici, potevano essere letti dai locatari solo per loro scelta volontaria, non essendo indirizzati direttamente a questi ultimi.

Cassazione penale sez. V, 03/11/2020, n.34512

In tema di atti persecutori, non integra la condotta di cui all’art. 612-bis cod. pen. la pubblicazione di “post” meramente canzonatori ed irridenti su una pagina “Facebook”, liberamente accessibile a chiunque, mancando il requisito dell’invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati” (sms, “whatsApp”) o alle telefonate. (In motivazione la Corte ha precisato che la pubblicazione di siffatti “post” è legittima ove rientri nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica).

Cassazione penale sez. V, 17/09/2019, n.45141

Le continue molestie operate nei confronti della vittima, anche mediante messaggi e post diffusi sui social network, nonché il numero infinito di espressioni aspramente offensive e minacciose integrano il reato di cui all’art. 612bis c.p. Integra il reato di atti persecutori (art. 612bis c.p.) il soggetto che per diversi anni tormenta con molestie, minacce e offese la vittima, anche tramite social network, attaccandola con post pubblici offensivi e minacciosi, ingenerando nella stessa un perdurante stato di ansia e di paura, portandola a temere per la propria incolumità e a modificare le proprie abitudini di vita.

Cassazione penale sez. V, 12/07/2019, n.47049

Integra il reato di stalking il reiterato invio alla persona offesa di sms e mail, ovvero ripetuti post offensivi su social, piuttosto che la divulgazione di scritti, filmati o fotografie ritraenti la sfera intima e personale della vittima, così violando il diritto alla riservatezza di quest’ultima.

Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.26049

Integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori la condotta di chi reiteratamente pubblica sui “social network” foto o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa – con riferimenti alla sfera della sua libertà sentimentale e sessuale – in violazione del suo diritto alla riservatezza .

Cassazione penale sez. V, 09/11/2018, n.13800

Integra la condotta del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa di “sms” con messaggi amorosi, ingiuriosi e minatori, veicolati anche a mezzo di plurime telefonate, nonché la divulgazione di filmati che la ritraggono in atteggiamenti intimi.

Cassazione penale sez. V, 10/07/2018, n.48874

Integra stalking la condotta dell’imputato che si sostanzia in plurime molestie e minacce, rappresentate da visite ripetute, anche a sorpresa, sul luogo di lavoro della persona offesa, da invio di messaggi dal contenuto minaccioso ed offensivo, ai quali, peraltro, non seguiva risposta, da continue chiamate telefoniche, nonostante la parte lesa avesse spiegato che non era sua intenzione quella di riprendere il rapporto con l’imputato.

Cassazione penale sez. V, 28/11/2017, n.57764

Messaggi o filmati postati sui social network possono integrare l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori e l’attitudine dannosa di tale condotte non è tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minaccia per via telematica, quanto quella di diffondere su internet dati, veri o falsi, fortemente dannosi.

Cassazione penale sez. V, 17/02/2017, n.18646

Ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.) non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori – e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti – abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica.

Cassazione penale sez. V, 14/07/2014, n.46510

In tema di reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.), la prova dell’evento del delitto, ossia della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato d’ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili : dalle dichiarazioni della stessa vittima; dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente; ed, infine, considerando anche la condotta del persecutore (nella specie, l’ossessività della condotta dell’imputato era stata rilevata dalla lettere di minacce e insulti, dalle numerose telefonate, dai pedinamenti, dalle continue molestie verbali e fisiche e dall’invio di sms e messaggi via Internet recapitati alla persona offesa, la quale aveva dovuto cambiare abitudini di vita e viveva in uno stato d’ansia e di paura).

Cassazione penale sez. III, 23/05/2013, n.45648

Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612 bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice. La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA