Nessun esonero da responsabilità penale a titolo di indebito utilizzo di carte di credito se l’uso della carta non è espressamente consentito dall’avente diritto per seguire specifiche operazioni di pagamento.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 18609.2021, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di indebito utilizzo di carte di credito, si sofferma sull’applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto alla fattispecie rispetto all’uso dello strumento di pagamento utilizzato da un terzo soggetto.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui la causa scriminante del consenso dell’avente diritto (prevista dall’art. 50 c.p.) non può applicarsi al delitto di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento, trattandosi di reato plurioffensivo (in quanto posto a presidio di due distinti beni giuridici, quali il patrimonio individuale  e l’interesse pubblico alla sicurezza nelle transazioni commerciali), laddove la suddetta causa di giustificazione può applicarsi solo nell’ipotesi in cui l’interesse giuridico protetto dalla norma penale rientri nel novero dei diritti disponibili della parte lesa.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di indebito utilizzo o falsificazione di carte di credito o di pagamento, oltre agli approfondimenti sul reato informatico che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era contestato, in concorso con altro soggetto, il delitto di cui all’art.55 D.lgs. 231/2007 (ora trasfuso nell’art. 493 ter c.p.), per aver indebitamente utilizzato uno strumento di pagamento intestato ad altri per eseguire ripetuti prelievi di carburante.

La Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Gorizia e impugnata dal Pubblico Ministero, condannava il prevenuto per il reato a lui ascritto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando due motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La corretta lettura della norma incriminatrice prevista dall’art. 55, comma 9 d. Igs. 231/2007, oggi trasfusa nell’art. 493 ter cod. pen., porta a escludere l’operatività dell’istituto del consenso dell’avente diritto ex art. 50 cod. pen., rispetto all’uso da parte di terzi dello strumento di pagamento o prelievo, quand’anche in qualche misura delegati dal titolare della carta di credito.

La causa di giustificazione disciplinata dall’art. 50 cod. pen., infatti, richiede che il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice rientri nella categoria dei diritti disponibili, rispetto ai quali il titolare del diritto sia in grado di rinunziarvi; diversamente, se si verte in ipotesi di diritti che proteggono beni di interesse collettivo, la causa di giustificazione non potrà operare.  […]

Questa chiave interpretativa trova un significativo riscontro nella natura della norma che sanzione l’uso indebito di carte di credito e di pagamento, pacificamente diretta alla tutela non solo del patrimonio personale del titolare dello strumento di pagamento o prelievo (Sez. 6, n. 29821 del 24/04/2012, Rv. 253175), ma anche degli interessi pubblici alla sicurezza delle transazioni commerciali e alla fiducia nell’utilizzazione da parte dei consociati di quegli strumenti («interessi legati segnatamente all’esigenza di prevenire, di fronte ad una sempre più ampia diffusione delle carte di credito e dei documenti similari, il pregiudizio che l’indebita disponibilità dei medesimi è in grado di arrecare alla sicurezza e speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, alla “fiducia” che in essi ripone il sistema economico e finanziario»: Corte cost., n. 302 del 19/7/2000)”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 493 ter c.p.– Indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento:

Chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi.

In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al primo comma è ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni, somme di denaro e altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.

Gli strumenti sequestrati ai fini della confisca di cui al secondo comma, nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria, sono affidati dall’autorità giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano richiesta. 

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento:

Cassazione penale sez. II, 27/01/2021, n.6184

L’art. 55, comma 9, d.lg. n. 231/2007 (ora art. 493-ter c.p.) punisce la condotta di chi “al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento”; il profitto è dunque oggetto di dolo specifico, che non necessariamente deve realizzarsi ai fini della integrazione del reato, mentre la condotta punibile è l’indebito utilizzo di una carta di credito o di pagamento da parte di chi non ne è titolare; sicché l’indebito utilizzo prescinde dalla conoscenza o dalla disponibilità del codice di accesso o dalla sua immissione in un apparecchio bancomat destinata al altri scopi, oltre che dal concreto conseguimento del profitto, che deve animare l’agire, ma non necessariamente deve realizzarsi ai fini della integrazione della fattispecie. (condanna per l’imputato che aveva provato a raggirare il bancomat utilizzando una carta carburanti, di proprietà altrui. Respinta la tesi difensiva, mirata a vedere riconosciuta l’ipotesi di reato impossibile, atteso che nel reato de quo ciò che conta è l’evidente indebito utilizzo della tessera, a prescindere dal profitto poi non ottenuto).

 

Cassazione penale sez. II, 18/09/2020, n.27432

Il reato di indebito utilizzo di carte di credito è incompatibile con l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in quanto inteso a salvaguardare, oltre che la fede pubblica, l’interesse pubblico fondamentale a che il sistema elettronico di pagamento sia sempre utilizzato in modo corretto, sicché l’evento dannoso o pericoloso non può dirsi connotato da ridotto grado di offensività e disvalore sociale.

 

Cassazione penale sez. II, 17/09/2020, n.27885

Non risponde del reato di riciclaggio il titolare del supermercato che riceve e utilizza carte di credito clonate su accordo diretto con un componente dell’organizzazione criminale. Tuttavia, tale condotta configura il reato di indebito utilizzo o falsificazione di carte di credito, previsto dall’articolo 493-ter del Codice penale, e non esclude il reato di associazione a delinquere. Ad affermarlo è la Cassazione che spiega come il soggetto che utilizza la carta di credito o di pagamento non “ripulisce” la somma, ma la consegue senza mettere in atto le ulteriori e distinte operazioni che caratterizzano il reato di riciclaggio.

Cassazione penale sez. IV, 21/01/2020, n.13492

In tema di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento, l’abrogazione dell’art. 55, comma 9, d.lg. 21 novembre 2007, n. 231, ad opera del d.lg. 1 marzo 2018, n. 21, con la contestuale introduzione dell’art. 493-ter c.p., integra un’ipotesi di continuità normativa che non comporta alcuna “abolitio criminis”.

 

Cassazione penale sez. V, 13/12/2019, n.2728

Il delitto di indebito utilizzo della carta di pagamento non presuppone, ai fini del dolo, la consapevolezza della provenienza delittuosa della carta utilizzata, non trovando l’uso indebito della carta un presupposto necessario ed indefettibile nell’impossessamento illegittimo, atteso che attraverso la norma incriminatrice il legislatore ha inteso contrastare il grave fenomeno del riciclaggio del danaro sporco, attuando una disciplina di controllo dei movimenti di danaro e di limitazione dell’uso del contante mediante anche l’uso delle carte di credito e dei documenti equipollenti. Il reato, quindi, ben può sussistere anche qualora la carta utilizzata non provenga da delitto e, essendo volto a tutelare un interesse pubblico, finanche laddove il titolare della carta di credito abbia consentito al suo utilizzo ad opera di soggetto diverso.

 

Cassazione penale sez. II, 30/10/2019, n.50395

Integra il delitto di indebita utilizzazione di carte di credito di cui all’art. 55, comma 9, d.lg. 21 novembre 2007, n. 231 (oggi art. 493-ter c.p.), e non quello di frode informatica ex art. 640-ter c.p., la condotta di colui che, ottenuti, senza realizzare frodi informatiche, i dati relativi ad una carta di debito o di credito, unitamente alla stessa tessera elettronica, la utilizzi indebitamente per effettuare prelievi di denaro. (Fattispecie relativa ad indebito utilizzo di una carta bancomat sottratta dall’imputato alla fidanzata in uno al codice PIN).

 

Cassazione penale sez. II, 25/09/2019, n.47135

Non è applicabile l’esimente di cui all’art. 649 c.p. (fatti commessi in danno di congiunti) al delitto di indebito utilizzo di una carta di credito previsto dall’ art. 55, comma 9, d.lg. n. 231 del 2007, (oggi confluito nell’ art. 493-ter c.p.), nell’ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare (nel caso di specie il figlio) del titolare della carta, attesa la natura plurioffensiva del reato “de quo”, la cui dimensione lesiva trascende il mero patrimonio individuale per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico, economico e della fede pubblica, mentre la previsione di cui all’art. 649 c.p. concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l’applicazione in via analogica.

 

Cassazione penale sez. II, 18/09/2019, n.46652

Risponde dei reati di ricettazione e di indebito utilizzo di carte di credito di cui all’art. 493-ter, comma 1, prima parte, c.p. il soggetto che, non essendo concorso nella realizzazione della falsificazione, riceve da altri carte di credito o di pagamento contraffatte e faccia uso di tale mezzo di pagamento. (In motivazione la Corte ha precisato che l’autore della contraffazione, quando proceda anche all’utilizzo indebito del mezzo di pagamento, risponderà in concorso delle due autonome ipotesi di reato previste dall’art. 493-ter, comma 1, c.p.).

 

Cassazione penale sez. II, 25/06/2019, n.38837

Costituisce indebita utilizzazione di carta di credito, attualmente sanzionato dall’art. 493-ter c.p., l’effettuazione attraverso la rete internet di transazioni, previa immissione dei dati ricognitivi e operativi di una valida carta di credito altrui, acquisiti dall’agente fraudolentemente con il sistema telematico, a nulla rilevando che il documento non sia stato nel suo materiale possesso. Infatti, l’espressione di ‘indebito utilizzo’, che definisce il comportamento illecito sanzionato, individua la lesione del diritto incorporato nel documento, prescindendo dal possesso materiale della carta che lo veicola e si realizza con l’uso non autorizzato dei codici personali.

 

Cassazione penale sez. II, 22/02/2019, n.17453

Anche l’uso di una carta di credito da parte di un terzo, autorizzato dal titolare, integra il reato di cui all’art. 12, d.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito nella l. 5 luglio 1991, n. 197 (ora art. 493-ter c.p.), in quanto la legittimazione all’impiego del documento è contrattualmente conferita dall’istituto emittente al solo intestatario, il cui consenso all’eventuale utilizzazione da parte di un terzo è del tutto irrilevante, stanti la necessità di firma all’atto dell’uso, di una dichiarazione di riconoscimento del debito e la conseguente illiceità di un’autorizzazione a sottoscriverla con la falsa firma del titolare, ad eccezione dei casi in cui il soggetto legittimato si serva del terzo come “longa manus” o mero strumento esecutivo di un’operazione non comportante la sottoscrizione di alcun atto. (Fattispecie in cui l’agente, che conosceva gli estremi della carta di credito della persona offesa in ragione di un precedente utilizzo per conto di quest’ultima, acquistava un biglietto aereo destinato esclusivamente a sé stesso).

 

Cassazione penale sez. V, 11/12/2018, n.5692 

L’indebita utilizzazione ai fini di profitto, di una carta di credito da parte di chi non ne sia titolare, integra il delitto di cui all’art. 55, comma 9, d.lg. 21 novembre 2007, n. 231 (ora art. 493-ter c.p.), indipendentemente dall’effettivo conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine. (Fattispecie nella quale l’imputato aveva introdotto la carta di credito di provenienza illecita nello sportello bancomat, senza digitare il PIN di cui non era a conoscenza).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA