Nei reati tributari l’accertamento dell’ammontare dell’imposta evasa effettuato dal giudice penale può sovrapporsi a quello espletato in sede tributaria solo se la difesa dell’imputato allega e prova costi non contabilizzati dalla amministrazione tributaria in sede di accertamento fiscale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 16865.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omessa dichiarazione, si sofferma sul tema della formazione della prova relativa al superamento o meno della soglia di punibilità prevista dal reato tributario e delle condizioni richieste affinché il giudice penale di discostarsi dalle valutazioni compiute dalla Agenzia delle Entrate.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui, in tema di reati tributari, il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa spetta esclusivamente al giudice penale, con un accertamento che può sovrapporsi a quello effettuato in sede tributaria.

Le peculiarità del giudizio penale implicano, invero, che il magistrato, pur non potendo prescindere dalle regole stabilite dalla legislazione tributaria in tema di quantificazione dell’imponibile, debba addivenire a tale accertamento sulla base delle allegazioni fattuali prodotte dall’imputato – con la conseguenza di dover tener conto di costi non contabilizzati, laddove vi sia la certezza o il ragionevole dubbio della loro esistenza.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 16865/2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di omessa dichiarazione, oltre agli approfondimenti sul reato tributario che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato tratto a giudizio nella qualità di legale rappresentante della società, era stato contestato il delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 D.lgs. 74/2000.

La Corte di appello di Milano riformava parzialmente la sentenza resa dal locale Tribunale rideterminando il trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato dal primo giudice confermandone la  penale responsabilità.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte territoriale, articolando due motivi di gravame.

La Suprema Corte ha  rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento:

“Va ribadito, in materia di reati tributari, che spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata, suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca, in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria (cfr. Sez. 3, n. 50157 del 27/09/2018, Rv. 275439 – 01).

Inoltre, il giudice penale, mentre non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento tributario, può tuttavia con adeguata motivazione apprezzare gli elementi induttivi in detta sede valorizzati per trarne elementi probatori, che ritenga idonei a sorreggere il suo convincimento obiettivo (Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, Rv. 270476 – 01).

Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Rv. 275856 – 01, ha affermato, in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 5 D.lgs. 74/2000 – Omessa dichiarazione

E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 

E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

In tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza. (Nella fattispecie, la Corte ha affermato che, ai fini della legittimità della deduzione, da parte di una società avente sede in Germania e con stabile organizzazione in Italia, dei costi di direzione e di quelli generali di amministrazione sostenuti in Italia, deve essere dimostrato, con idonea attestazione tecnico-contabile, il requisito dell’inerenza dei costi all’oggetto dell’attività – prescritto dalla normativa fiscale italiana e dall’art. 7 della Convenzione Italia – Germania firmata a Bonn il 18.10.1989 sul divieto di doppia imposizione fiscale, ratificata con l. n. 459 del 1992 – e l’inesistenza di duplicazione di costi).

Cassazione penale sez. III, 27/09/2018, n.50157

In materia di reati tributari, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata, suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca, in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.

Cassazione penale sez. III, 19/04/2017, n.28710

In materia di reati tributari, il giudice penale, mentre non è vincolato dalle valutazioni compiute in sede di accertamento tributario, può tuttavia con adeguata motivazione apprezzare gli elementi induttivi in detta sede valorizzati per trarne elementi probatori, che ritenga idonei a sorreggere il suo convincimento obiettivo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto l’inconciliabilità con il dolo specifico richiesto per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 8, D.Lgs. n. 74 del 2000, degli esiti dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza che, in relazione ai medesimi fatti, aveva disposto l’archiviazione del procedimento amministrativo di accertamento, riconoscendo la buona fede della società emittente le fatture).

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di omessa dichiarazione:

Cassazione penale sez. III, 12/06/2020, n.23176

Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta. Inoltre, la presentazione di dichiarazione dei redditi oltre i novanta giorni dalla scadenza del termine integra il reato di cui al d.lg. n. 74 del 2000, art. 5 e non quello di cui all’art. 2 decreto medesimo, anche quando all’interno di essa sono indicati elementi passivi fittizi derivanti dall’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: dalla nullità fiscale della dichiarazione fraudolenta non può farsi seguire alcuna conseguenza di carattere penale, anche in considerazione di quanto previsto dal d.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, che limita gli effetti della dichiarazione presentata oltre i novanta giorni ai soli aspetti “favorevoli” all’Amministrazione finanziaria.

 

Cassazione penale sez. III, 28/02/2020, n.16469

In tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del professionista a ciò incaricato, la prova del dolo specifico in capo al contribuente può desumersi anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III, 20/02/2020, n.16599

In tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione delle imposte, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad euro 50.000,00 dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale. (Fattispecie di affermata esclusione della causa di non punibilità con riferimento ad una evasione di imposta eccedente la soglia di legge per un ammontare di euro 5.825,21, superiore all’11% dell’importo della soglia stessa).

Cassazione penale sez. III, 14/01/2020, n.9417

La legge tributaria considera personale per il contribuente il dovere di presentare la dichiarazione fiscale e il fatto di aver affidato ad un commercialista l’incarico di compilare la dichiarazione medesima, non può esonerare il contribuente stesso dalla penale responsabilità per il delitto di omessa dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di reati tributari, in relazione al delitto di omessa dichiarazione e di indebita compensazione, rispettivamente previsti dagli artt. 5 e 10-quater d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis del medesimo d.lg., in quanto l’art. 13 della stessa normativa configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art. 13-bis d.lg. n. 74 del 2000, disciplinando la predetta condizione per accedere al rito speciale, fa espressamente salve le ipotesi di non punibilità previste dal citato art. 13 del medesimo d.lg.).

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di patteggiamento, non è illegale la pena su accordo delle parti, comminata dal giudice anche senza l’integrale pagamento del debito. Difatti, per i reati di infedele e omessa presentazione della dichiarazione, al pari dei delitti di omesso versamento, si può accedere al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario. A sostenerlo è la Cassazione, che cambia opinione rispetto a quanto stabilito in precedenza in casi analoghi. Per i giudici di legittimità, infatti, non vi è distinzione tra le citate fattispecie e quindi per esse non può valere, ai fini del patteggiamento, la regola dell’integrale pagamento, in quanto se l’imputato corrispondesse il dovuto, entro l’apertura del dibattimento, non sarebbe più punibile e non avrebbe senso il patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. VI, 18/09/2019, n.44895

Integra reato la condotta dell’imputato che, invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti utilmente pignorabili, omette di rispondere all’invito a presentarsi presso l’ufficio UNEP nel termine di quindici giorni previsto dall’art. 492 c.p.c., comma 4. La dichiarazione resa dal debitore, pur non legata a particolari vincoli formali, deve fornire un’adeguata informativa all’ufficiale giudiziario procedente e deve considerarsi omessa non solo quando manchi del tutto allo scadere del termine espressamente stabilito dalla legge, ma anche nell’ipotesi in cui non contenga elementi utili a consentire l’esatta identificazione degli ulteriori beni pignorabili, risultando così inidonea a determinare l’effetto dell’immediata apposizione del vincolo con le forme previste dall’art. 492 cit., ossia quando non vengano indicati con certezza i beni pignorabili, la loro ubicazione, ovvero il terzo debitore con modalità idonee a consentire al creditore di procedere ai successivi adempimenti di cui all’art. 543 c.p.c..

 

Cassazione penale sez. III, 12/06/2019, n.36387

In materia di reati tributari, il momento consumativo del delitto di omessa dichiarazione da parte del sostituto d’imposta cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario.

 

Cassazione penale sez. III, 07/06/2019, n.36474

In materia di reati tributari – e, segnatamente, con riferimento al reato di omessa dichiarazione fiscale – per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, valgono i principi generali posti dagli artt. 42 e 43 c.p., per cui – attesa la natura di reato a dolo specifico-  ai fini della punibilità dell’autore del reato, nella specie l’amministratore di diritto/prestanome, non è sufficiente il dolo generico, ma si richiede invece il dolo specifico di evasione che necessita di rigorosa prova, che non può essere affidata alla semplice, quanto irrilevante, affermazione fondata sul precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nell’ art. 5 c.p.. La circostanza di essere il legale rappresentante della società, se di regola normalmente esclude che l’imprenditore possa difendersi evocando il disposto dell’art. 5, c.p., non è ex se sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi, a far ritenere provato il dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale del fatto di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74/2000.  Proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società, il fatto gli può essere addebitato, a titolo di concorso con l’amministratore di fatto, a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv. c.p., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato. Occorre, dunque, che il giudice di merito individui, al di là della mera assunzione della carica di amministratore di diritto, ulteriori elementi che corroborino, sotto il profilo soggettivo, la sussistenza del dolo specifico normativamente richiesto ai fini della perseguibilità penale della sua condotta.

 

Cassazione penale sez. III, 13/07/2018, n.50151

In tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali.

 

Cassazione penale , sez. III , 21/06/2018 , n. 43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000 , per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

 

Cassazione penale , sez. III , 06/06/2018 , n. 32500

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini i.v.a. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

 

Cassazione penale sez. III  18/12/ 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva (art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

 

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

 

Cassazione penale sez. III  07/11/2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

                 

Cassazione penale sez. III  22/09/2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

 

Cassazione penale sez. III  29/03/2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

 

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

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