Dichiarazione infedele e autoriciclaggio: ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo è necessario individuare i ricavi omessi e le imposte evase con riferimento alle dichiarazioni fiscali oggetto dell’ipotesi di reato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 20990.2021, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in sede cautelare reale su un caso di dichiarazione infedele e autoriciclaggio, si sofferma sul tema degli indici di ricorrenza del fumus commissi delicti dei delitti in provvisoria contestazione che devono sussistere per legittimare l’adozione e la permanenza del sequestro preventivo.

In particolare, il Collegio del diritto, con la sentenza in commento, chiarisce che ai fini della configurazione del reato tributario, non è sufficiente porre in luce la sproporzione tra i redditi dichiarati e le ricchezze accumulate, né la verosimiglianza del superamento delle soglie di punibilità, posto che è necessario individuare, anche genericamente, le dichiarazioni fiscali, i soggetti che le hanno presentate, gli anni di imposta di riferimento, i ricavi omessi e quindi  le imposte evase in relazione all’imponibile sottratto all’imposizione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Quanto al delitto di autoriciclaggio, la Suprema Corte enuncia il principio di diritto secondo cui il mero possesso di un’ingente somma di denaro da parte della persona sottoposta ad indagine, non giustifica di per sé, in assenza di adeguati riscontri investigativi, la configurazione del reato contro il patrimonio configurabile solo in presenza del reato fiscale presupposto.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 20990/2021;

(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di dichiarazione infedele, oltre agli approfondimenti sul reato tributario, che il lettore può nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

I reati provvisoriamente contestati e la fase cautelare reale di merito

Il Tribunale della Libertà di Piacenza respingeva la richiesta di riesame avanzata contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in sede nei confronti degli indagati, ai quali erano provvisoriamente contestati i delitti di dichiarazione infedele e autoriciclaggio, rispettivamente ex artt. 4 D.lgs. 74/2000 e 648 ter 1 c.p.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Gli indagati attinti dal provvedimento cautelare reale per il tramite dei rispettivi difensori, proponevano ricorso per cassazione avverso l’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame.

La Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Piacenza.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

 

(i) Dichiarazione infedele

“Nell’ordinanza impugnata, ricalcando il decreto di sequestro preventivo adottato dal Giudice per le indagini preliminari di Piacenza, il Collegio del riesame, dopo avere evidenziato che vi era sproporzione tra la ricchezza accumulata dai ricorrenti, comprendente “immobili, elevata liquidità, numerosi e costosi beni di lusso, autoveicoli di elevato valore”, e i redditi dichiarati, ha rimarcato che la prassi del c.d. nero appariva essere una caratteristica delle attività commerciali degli indagati […] Ciò che il Tribunale del riesame ha posto in luce è la sproporzione tra i redditi dichiarati e le ricchezze accumulate dai ricorrenti ma tale elemento non può esaurire la valutazione strettamente necessaria al fine di ritenere sussistente il fumus commissi delicti nei termini sopra indicati.

Come censurato nei ricorsi, infatti, il delitto è solo genericamente enunciato, non avendo il Tribunale del riesame spiegato quali sono le dichiarazioni fiscali, oggetto del reato; né chi le ha presentate e a quali anni si riferiscono; né quali sarebbero i ricavi omessi e le imposte evase in relazione alle singole dichiarazioni, per i singoli periodi di imposta.

Né all’evidenza può valere la generica affermazione relativa al verosimile superamento delle soglie di punibilità, dovendosi, di contro, considerare – e dare conto di ciò in motivazione – che l’evasione fiscale può assumere rilevanza penale solo quando, per i singoli periodi di imposta e per i singoli contribuenti, gli elementi attivi sottratti superano i 2 milioni di euro e le imposte evase superano i 150.000 di euro”.

(ii) Autoriciclaggio

“Il fumus del reato di cui all’art. 648 ter.1 c.p. è stato genericamente rappresentato sia nell’ordinanza impugnata che nel decreto di sequestro preventivo, essendosi affermato che il possesso dei beni da parte degli indagati rappresenta “un significativo indizio del reinvestimento di capitali illeciti nell’acquisto di beni, al fine di ostacolarne l’identificazione e la provenienza delittuosa”, così tuttavia operandosi una valutazione del tutto generica, per nulla rappresentativa degli elementi costitutivi del reato de quo.

Deve poi aggiungersi che la mancanza di motivazione sul fumus del delitto di dichiarazione infedele riverbera i suoi effetti anche sul reato di cui all’art. 648 ter.1 c.p., che postula l’esistenza del reato presupposto di dichiarazione infedele. Giova poi ricordare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il mero possesso di un’ingente somma di denaro non può giustificare, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo circa l’esistenza o meno di un delitto presupposto (o anche solo l’esistenza di relazioni con ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato, o l’avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita), l’elevazione di un’imputazione di riciclaggio (Sez. 2, n. 29074 del 22/5/2018, non massimata; Sez. 2, n. 26301 del 24/5/2016, cit., richiamate da Sez. 2, n. 51200 del 29/10/2019, Rv. 278229)”.

 

Le fattispecie incriminatrici:

Art. 4 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele

Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

  1. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
  2. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.

Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilita’ di elementi passivi reali.

Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilita’ previste dal comma 1, lettere a) e b).

 

Art. 648 ter 1 c.p. – Autoriciclaggio

Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. II, 29/10/2019, n.51200

Ai fini della legittimità del sequestro probatorio, benché non sia necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato della cosa oggetto del vincolo, occorre la possibilità effettiva, cioè non fondata su elementi astratti ed avulsi dalle caratteristiche del caso concreto, di configurare un rapporto fra questa ed il reato stesso. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che il mero possesso di un’ingente somma di denaro, in parte occultata nell’autovettura ed in parte rinvenuta presso l’abitazione dell’indagato, non fosse sufficiente a giustificarne il sequestro, difettando, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo circa l’esistenza del delitto presupposto, il fumus del delitto di riciclaggio).

Cassazione penale sez. II, 24/05/2016, n.26301

Il mero possesso di un’ingente somma di denaro non può giustificare “ex se”, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l’elevazione di un’imputazione di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l’esistenza del delitto presupposto, od anche solo l’esistenza di relazioni tra il ricorrente ed ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato dai quali era derivato quel denaro, o l’avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita a qualsiasi titolo.

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di dichiarazione infedele:

Cassazione penale sez. III, 14/02/2020, n.18575

Il reato di dichiarazione infedele dei redditi ai fini Irpef di cui all’art. 4 d.lg. n. 74 del 2000 sussiste anche qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, salvo che i relativi proventi siano stati assoggettati a sequestro o confisca penale nello stesso periodo di imposta in cui si è verificato il presupposto impositivo, dal momento che solo in tale ipotesi i provvedimenti ablatori determinano, in relazione al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., una riduzione del reddito imponibile. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che non rileva, ai predetti fini, il provvedimento ablatorio disposto contestualmente alla sentenza di condanna di primo grado, quale ulteriore conseguenza sanzionatoria ex art. 12-bis d.lg. n. 74 del 2000).

 

Cassazione penale sez. III, 07/11/2019, n.8969

In tema di reati tributari, i principi giurisprudenziali in materia di falso innocuo o grossolano non trovano applicazione in relazione alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto l’indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi inesistenti nella dichiarazione annuale, da cui discende il non corretto calcolo dell’imposta e la sua mancata corresponsione, non richiede alcun carattere ingannatorio, essendo sufficiente che sia stata posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

 

Cassazione penale sez. III, 22/10/2019, n.48029

In tema di patteggiamento, non è illegale la pena su accordo delle parti, comminata dal giudice anche senza l’integrale pagamento del debito. Difatti, per i reati di infedele e omessa presentazione della dichiarazione, al pari dei delitti di omesso versamento, si può accedere al patteggiamento anche senza l’estinzione del debito tributario. A sostenerlo è la Cassazione, che cambia opinione rispetto a quanto stabilito in precedenza in casi analoghi. Per i giudici di legittimità, infatti, non vi è distinzione tra le citate fattispecie e quindi per esse non può valere, ai fini del patteggiamento, la regola dell’integrale pagamento, in quanto se l’imputato corrispondesse il dovuto, entro l’apertura del dibattimento, non sarebbe più punibile e non avrebbe senso il patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. III, 02/10/2019, n.47287

Per i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. c.p.p., è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.24152

In tema di reati tributari, il regime fiscale di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall’art. 2214 cod. civ., sicché, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può legittimamente tener conto della mancata tenuta della scritture contabili obbligatorie e della conseguente mancata tracciabilità delle movimentazioni finanziarie correlate alle operazioni economiche poste in essere.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

La presentazione della dichiarazione integrativa non elide la responsabilità del contribuente per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000. Le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 d.P.R. n. 600/1973, e la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dall’art. 8 d.P.R. n. 322/1998.

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la Corte ha considerato inapplicabile anche l’art. 47 c.p. nel caso di errore sulla efficacia sanante della dichiarazione integrativa rispetto a quanto riportato falsamente nella dichiarazione originaria annuale).

 

Cassazione penale sez. III, 08/04/2019, n.23810

Il delitto di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, integra un reato istantaneo che si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione annuale, non rilevando l’eventuale presentazione di una successiva dichiarazione integrativa.

 

Cassazione penale sez. III, 27/03/2019, n.19228

Per la verifica della sussistenza del reato di dichiarazione infedele delle imposte sui redditi nei confronti di un amministratore di società di persone la quantificazione dell’imposta evasa va riferita all’intera somma non dichiarata dai soci e non soltanto dal sodo amministratore. Ad affermarlo è la Cassazione che scioglie il dubbio se il rappresentante legale risponda del reato di dichiarazione infedele quando la soglia di imposta evasa superi quella penalmente rilevante (150mila euro) calcolandola come somma dell’Irpef non dichiarata dai singoli soci ovvero soltanto considerando l’Irpef non dichiarata nella propria dichiarazione quale persona fisica/socio. Secondo i giudici per la dichiarazione infedele, presentata da chi amministri una società di persone, si impone una valutazione unitaria dell’imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.

 

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.19672

Il professionista, reo del rilascio di un mendace visto di conformità, vuoi leggero (cfr. articolo 35 del decreto legislativo n. 241 del 1997), vuoi pesante (cosiddetta “certificazione tributaria”) (articolo 36 dello stesso decreto legislativo), ovvero di un’infedele asseverazione dei dati ai fini degli studi di settore, risulta esposto anche a sanzioni penali in ragione dell’espressa previsione di cui all’articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997 e del meccanismo del concorso di persone nel reato di cui all’articolo 110 del Cp, non trovando applicazione Il principio di specialità di cui all’articolo 15 del Cp, incorrendo peraltro questi nel reato di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indicando in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.

 

Cassazione penale sez. III, 06/02/2019, n.17535

In tema di reati tributari, il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende anche le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione. (Fattispecie in tema di reato di omesso versamento dell’i.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74).

 

Cassazione penale sez. III, 29/01/2019, n.11520

In tema di successione di leggi penali, la modificazione “in melius” della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se attiene a norma integratrice di quella penale. (Fattispecie, in tema di dichiarazione infedele, in cui la Corte ha affermato che il parametro di calcolo dell’imposta Ires, modificato dall’art. 1, comma 61, l. 28 dicembre 2015, n. 208, non è norma integratrice della fattispecie penale, lasciando del tutto immutati gli elementi costitutivi e la soglia di punibilità del reato previsto dall’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).

 

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10800

La previsione normativa che subordina, per i reati fiscali, l’applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis, comma 2, d.lg. n. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili.

È, pertanto, legittimo accedere a tale istituto – per i menzionati reati – anche senza estinzione del debito con il Fisco.

 

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

 La ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” ai fini dell’adozione di una misura cautelare reale in relazione al reato di dichiarazione infedele previsto dall’ art. 4 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 ben può fondarsi, ove trattisi di redditi derivanti dall’esercizio di professioni, sulla presunzione legale che costituiscano “ricavi”, ai sensi dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/1973 , (pur dopo la modifica apportata dall’ art. 7 quater, comma 1, lett. a, d.l. n. 193/2016 , conv. con modif. in l. n. 225/2016 ), quelli risultanti da versamenti sui conti correnti del professionista che quest’ultimo non sia in grado di giustificare diversamente, nulla rilevando in contrario la parziale dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 32, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 , avendo essa avuto ad oggetto l’equiparazione tra attività imprenditoriale ed attività professionale solo limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti e non ai versamenti.

 

Cassazione penale sez. III  10/05/2018 n. 26274  

I professionisti, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele.

 

Cassazione penale sez. III  26/10/2017 n. 9378  

A seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ad opera del d.lg. n. 128/2015, che al comma 13 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto detta disposizione esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. La portata dell’art. 4 d.lg. 74/2000, per effetto di tale innovazione, che ha sottratto all’area del penalmente rilevante le condotte costituenti mero abuso del diritto, è stata delimitata in negativo. Conseguentemente va revocata, ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna in tutti quei casi in cui le operazioni che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione siano state effettivamente realizzate, seppur con finalità elusive.

 

Cassazione penale sez. III  19/10/2017 n. 4733  

In tema di reati tributari, la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno assunto dal contribuente di pagamento all’erario, producendo, tuttavia, effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Precisando ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso contro l’applicazione della misura ablatoria su tutta la somma dovuta per dichiarazione infedele, malgrado la totale estinzione del debito fosse arrivata prima della sentenza di patteggiamento.

 

Cassazione penale sez. VII  13/07/2017 n. 44293  

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lg. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall’imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l’invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972 riguardanti le cessioni all’esportazione non imponibili).

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