Deve essere rigettata la domanda di risarcimento danni promossa dal paziente nei confronti dell’odontoiatra se manca la prova del nesso causale tra la prestazione del sanitario ed i danni patiti anche in ragione del successivo intervento di altri professionisti sanitari.

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 15108.2021, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione e pubblicata il 31.05.2021 che, pronunciatasi su un caso di responsabilità civile da colpa medica, si sofferma sul profilo dell’accertamento del nesso di causalità quale presupposto indefettibile per l’accoglimento della domanda risarcitoria.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui in capo al paziente danneggiato grava l’onere di dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la prestazione professionale ed il danno patito.

Nel caso di specie l’alterazione del quadro clinico dovuto all’intervento di altri professionisti sanitari, sulla base dell’esito della disposta consulenza tecnica di ufficio, secondo i giudici di merito non rendeva possibile accertare l’esistenza del nesso di causalità con conseguente mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza, il lettore troverà la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità civile sanitaria e risarcimento del danno, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il caso clinico, la domanda di risarcimento del danno e il giudizio di merito

Nel caso di specie il paziente, che si era sottoposto a cure odontoiatriche a seguito delle quali accusava scricchiolii alla mandibola, acufeni e vertigini, recatosi da altro professionista sanitario apprendeva che il precedente odontoiatra non avesse provveduto, nell’esecuzione di un impianto, all’applicazione di denti in resina più elastici, prima di quelli definitivi in porcellana, a garanzia del buon esito della prestazione.

Il paziente intimato con procedimento monitorio dall’odontoiatra di pagare le prestazioni professionali, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo svolgendo con l’atto introduttivo del giudizio domanda di risarcimento del danno subito.

Il Tribunale adito confermava le statuizioni del decreto ingiuntivo opposto rigettando, altresì, la domanda di risarcimento danni.

La Corte territoriale di Venezia rigettava l’appello interposto dal paziente attore per la domanda di risarcimento danni.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

L’attore proponeva quindi  ricorso per cassazione contro la decisione  la decisione della Corte veneziana articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa dell’ordinanza in commento:

“I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi afferenti al regime probatorio della diligenza qualificata del professionista e sono entrambi inammissibili perché non si confrontano con l’autonoma ratio decidendi dell’impugnata sentenza relativa al nesso causale. La Corte d’Appello infatti neppure ha esaminato i profili soggettivi della eventuale responsabilità del professionista, perché ha escluso la configurabilità del nesso causale tra la prestazione posta in essere dal medesimo ed i disturbi accusati dal [omissis]in ragione del fatto che il quadro clinico risultava alterato dagli interventi successivi di altri professionisti. Ciò rendeva infatti impossibile comprendere quali danni potessero essere ricondotti alla prestazione originaria del[omissis]. E’ evidente che, essendosi la sentenza fermata prima, per dir così, dell’accertamento della colpa, il ricorrente i anziché soffermarsi sulla pretesa violazione delle regole di riparto dell’onere della prova sulla diligenza professionale, avrebbe dovuto impugnare la statuizione che ha escluso la possibilità di accertamento del nesso causale tra la prestazione professionale e il danno e non avendolo fatto la sua impugnazione non può che essere ritenuta inammissibile, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 1, n. 17182 del 14/8/2020; Cass., 3 n. 13880 del 6 1 7/2020, Cass. 1, n. 18641 del 27/7/2017)”.

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di risarcimento del danno:

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, n.5875

Nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una mutatio libelli e non una mera emendatio, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

 

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, n.27612

Non è configurabile alcuna responsabilità medica se il danno al paziente sia stato provocato da un comportamento imprudente da parte di quest’ultimo. A ricordarlo è la Cassazione sottolineando l’importanza del nesso causale che deve sussistere tra la condotta dei medici e il danno subito. Nel caso di specie, i giudici si sono trovati alle prese con un paziente che aveva agito nei confronti dell’Asl per ottenere il risarcimento dei danni che assumeva di aver subito a causa della prescrizione di farmaci anticoagulanti, che le avevano procurato un ictus cardio embolico. Tuttavia, a causare l’evento era stato la condotta dello stesso paziente che aveva omesso di recarsi al controllo programmato al fine anche di adeguare la terapia.

 

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28989

La circostanza che, in linea generale, non sia consentito attribuire, allo stesso soggetto, una somma a titolo di danno morale soggettivo e un ulteriore risarcimento da perdita del rapporto parentale, non esclude la netta distinzione tra il danno da perdita, o lesione del rapporto parentale e l’eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della onnicomprensività della liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28986

L’accertamento del danno alla salute, in presenza di postumi permanenti anteriori all’infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da questo ultimo, richiede al medico legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione in misura standard suggerita dal baréme medico legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. Chiede al medico legale, poi, di quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell’infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni.

 

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28988       

In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e la attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). In presenza di un danno permanente alla salute – infatti – la misura standard del risarcimento previsto dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema cosiddetto “del punto variabile”) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose – in particolare – da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28993

Sul piano funzionale chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura. La diversità morfologica tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale da responsabilità sanitaria, va individuata nella diversità della situazione preesistente: preesistenza negativa (chance non patrimoniale); preesistenza positiva (chance patrimoniale). Tale preesistenza postula, nella chance patrimoniale, una situazione positiva (titoli professionalità, curricula, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.), in quella non patrimoniale, una situazione di salute (già) patologica (i.e. negativa). Entrambe le forme di chance presuppongono: a) una condotta colpevole dell’agente; b) un evento di danno (la lesione di un diritto); c) un nesso di causalità tra la condotta e l’evento; d) una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non; e) un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, il giudice a quo, nel rigettare la domanda di danni ha concluso che la possibilità della parte di sopravvivere alla situazione ingravescente, anche se fosse stata curata con assistenza e specialisti diversi e differenti apparecchiature, tenute pure conto delle sue condizioni generali assolutamente scadute ben prima che si verificarsi i ritardi terapeutici, e dei rischi del trasferimento presso altra struttura sanitaria con procedura d’urgenza, con concreto pericolo di arresto cardiaco, fosse talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini statistici e scientifici probabilistici e, ancora meno, equitativamente quantificata e tale accertamento si sottrae, in base ai principi sopra esposti, alle critiche formulate).

 

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, n.31072

Le norme di cui agli artt. 32, comma 3-ter e 3-quater, d.l. 24/1/2012 n. 1 (conv. in l. 24 marzo 2012 n. 27) – che escludono il risarcimento per danno biologico permanente se le lesioni di lieve entità cagionate da sinistri stradali (e responsabilità medica e sanitaria) non sono suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo – e 139, comma 2, secondo periodo,cod. ass. (che le ha recepite) vanno interpretate nel senso che l’accertamento del danno alla persona deve avvenire con i criteri medico legali fissati da una secolare tradizione quali l’esame obiettivo (criterio visivo), l’esame clinico e gli esami strumentali che sono fungibili ed alternativi tra loro e non già cumulativi.

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29492

In caso di patologia ingravescente dal possibile esito letale che determini un’invalidità espressa nei gradi percentuali dei “barèmes” medico legali, l’aggravamento delle condizioni del danneggiato costituisce la mera concretizzazione del rischio, già considerato nella scala dei gradi di invalidità, di un’evoluzione peggiorativa eziologicamente riconducibile all’originaria infermità e, perciò, non integra un ulteriore danno biologico risarcibile, a meno che al tempo dell’accertamento il successivo evento dannoso, ancorché riconducibile all’originaria lesione, fosse sconosciuto alla scienza medica e, quindi, non considerato dai “barèmes”. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento – in aggiunta al danno biologico precedentemente accertato e liquidato – del pregiudizio derivante dal peggioramento delle condizioni di salute e, poi, dal decesso di un soggetto affetto da virus HCV contratto a seguito di emotrasfusione, trattandosi di avveramento di un prevedibile rischio di aggravamento della patologia epatica originaria).

 

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29495

Nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale – diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all’integrità psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, pur avendo identificato nelle tabelle milanesi il parametro equitativo, aveva inspiegabilmente quantificato il risarcimento, spettante al figlio per la perdita della madre, in una misura corrispondente a circa un terzo dell’importo minimo delle tabelle stesse).

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, n.23632

Va escluso il risarcimento del danno parentale allorché non siano allegate e provate circostanze idonee a ritenere che la morte del famigliare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale (nella specie, la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata dalla cognata e dai nipoti della vittima).

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, n.21837

In tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. Dai pregiudizi risarcibili “iure hereditatis” si differenzia radicalmente il danno da perdita del rapporto parentale che spetta “iure proprio” ai congiunti per la lesione della relazione parentale che li legava al defunto e che è risarcibile se sia provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest’ultimo a connotato minimo di relativa esistenza. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha cassato la sentenza di appello impugnata dai congiunti della vittima, la quale aveva apoditticamente e non ben comprensibilmente affermato che non poteva reputarsi sussistente alcun danno morale in capo ai fratelli del defunto, in assenza di qualsivoglia elemento valutativo “a partire dal dato della convivenza familiare dei medesimi nel periodo compreso tra il manifestarsi della patologia e il decesso”).

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, n.20287

Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta. In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.

Cassazione civile sez. III, 25/06/2019, n.16909

La morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della “onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, n.13645

In tema di calcolo del danno differenziale, le modifiche dell’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dalla l. n. 145 del 2018, di natura innovativa e non meramente interpretativa, non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019.

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2762

In tema di responsabilità medica, nel valorizzare, sul piano risarcitorio, attraverso il riconoscimento di una somma aggiuntiva rispetto alla liquidazione secondo i massimi tabellari il fatto che il paziente è destinato a convivere con il timore di una recidiva di un’infezione, che avrebbe, ove si verificasse, elevate probabilità di determinarne il decesso, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio per cui, in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (ancorché trovino nella menomazione dell’integrità psico-fisica di un soggetto il loro antecedente causale) e rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione), suscettibili di una differente ed autonoma valutazione (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 cod. ass., alla lett. e).

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2788

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza con le risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale in quanto caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento.

Cassazione civile sez. III, 22/01/2019, n.1553

Le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, n.1043

Qualora l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, a dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una mutatio libelli e non una mera emendatio, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Se il paziente lamenta un danno alla salute, questi dovrà allegare e dimostrare che avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Laddove, in assenza di adeguato consenso informato, sia eseguito secundum leges artis un intervento chirurgico, che il paziente, se edotto, avrebbe rifiutato, la lesione al diritto di autodeterminarsi costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte in cui il soggetto abbia subìto le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. Se, a fronte del corretto assolvimento degli obblighi informativi a carico del sanitario, il paziente avrebbe comunque assentito all’intervento, il risarcimento del danno all’autodeterminazione è da escludersi, difettando il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e il pregiudizio lamentato.

Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, n.30998

Le c.d. linee guida sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico, ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19204

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, la previsione dell’art. 1218 c.c., mentre esonera il creditore (danneggiato) dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, non lo esonera dal dover dimostrare il nesso di causa intercorrente tra la condotta del debitore e il danno di cui chiede il risarcimento; in mancanza, qualora all’esito dell’istruttoria il predetto nesso causale non risulti provato e la causa del danno lamentato resti incerta, la domanda risarcitoria dovrà essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19151

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico -fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento nei confronti di una donna che aveva chiesto più e più volte di effettuare test clinici sul nascituro, risultato poi affetto di sindrome di Down, ma il suo ginecologo si era opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle “Tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consenta di pervenire. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto congruo l’importo liquidato dal giudice di primo grado, a titolo di risarcimento del danno biologico, in forza di una non motivata applicazione di una tabella diversa da quella predisposta dal tribunale di Milano, peraltro con riferimento a parametri non aggiornati alla data della decisione).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

Le tabelle di Milano rappresentano i parametri maggiormente idonei per consentire il rispetto dell’equità valutativa nella liquidazione del risarcimento dei danni subiti. In ragione di ciò nel caso in cui il giudice scelga di preferire tabelle diverse per la quantificazione del danno deve fornire una congrua motivazione per giustificare la sua decisione.

Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16336

Il medico potrà essere chiamato a risarcire il danno alla salute laddove il paziente dimostri — anche tramite presunzioni — che, ove compiutamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento terapeutico. Affinché possa essere risarcito anche il danno all’autodeterminazione è necessario dar prova che il pregiudizio abbia varcato la soglia della gravità dell’offesa e, dunque, che il relativo diritto sia stato inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, non essendo predicabile un danno in re ipsa.

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11754

Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di “danno morale” la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all’anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. (Nella specie, in relazione ad un’ipotesi di danno iatrogeno, la S.C. ha ritenuto meritevoli di valorizzazione, ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale, aspetti legati alle dinamiche emotive della vita relazionale ed interiore del soggetto leso, in quanto connotati da obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento).

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11749

La violazione da parte del sanitario dell’obbligo di informare e acquisire il consenso al trattamento terapeutico determina la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente, che è autonomamente risarcibile rispetto al danno alla salute e che — rappresentata dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso — non esige una specifica prova.

Cassazione civile sez. III, 04/05/2018, n.10608

La violazione del dovere del medico di informare preventivamente e chiaramente il paziente può comportare il danno alla salute, oppure il danno al diritto all’autodeterminazione. In particolare, nel caso di omessa informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non ha causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato alla prova che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza; il danno deve superare il limite della normale tollerabilità. La prova del danno potrà essere fondata anche su presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

Cassazione civile sez. III, 12/04/2018, n.9048

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, nel caso di un neonato invalido a causa di colpa medica, la quantificazione del danno patrimoniale da soppressione della capacità lavorativa patita dal danneggiato deve essere operata escludendo lo scarto temporale tra il momento in cui l’illecito si è verificato (nascita) e il momento in cui il danno inizierà a prodursi (raggiungimento dell’età lavorativa). In applicazione, infatti, dei criteri di liquidazione del danno da perdita della capacità di lavoro, allorquando quest’ultimo sia patito da persona che al momento del fatto non era in età da lavoro, la liquidazione deve avvenire: (i) sommando e rivalutando i redditi figurativi perduti dalla vittima tra il momento in cui ha raggiunto l’età lavorativa, e quello della liquidazione; (ii) capitalizzando i redditi futuri, che la vittima perderà dal momento della liquidazione in poi, in base ad un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione; (iii) se la liquidazione dovesse avvenire prima del raggiungimento dell’età lavorativa da parte della vittima, la capitalizzazione dovrà avvenire o in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del presumibile ingresso nel mondo del lavoro; oppure in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione, ma in questo caso previo abbattimento del risultato applicando il coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione.

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7248

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

 

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7260

La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa.

Cassazione civile sez. III, 09/03/2018, n.5641

In caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto.

Cassazione civile sez. III, 05/02/2018, n.2675

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. (Nella specie, era stato eseguito in maniera erronea un intervento di raschiamento uterino in seguito ad una non corretta diagnosi di aborto interno, accertata dopo la ventunesima settimana e, quindi, oltre il termine previsto dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978, con la conseguenza che la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina). 

Cassazione civile sez. III, 31/01/2018, n.2369

In tema di responsabilità medica, ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, relativamente all’asseverata mancanza di consenso di una paziente rispetto ad un intervento di salpingectomia quale complicanza di un parto cesareo, aveva affermato la responsabilità del medico senza valutare se la paziente, ove adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione).

Cassazione civile sez. III, 31/10/2017, n.25849

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno deve provare gli elementi costitutivi della sua pretesa e tra questi, in particolare, nel caso di specie, la sussistenza dei presupposti di legge dell’interruzione volontaria di gravidanza, vale a dire il “ grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (ex art. 6, lett. b), l. n. 194 del 1978).

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24072

Nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n.16503

Il paziente, che, dispiegando la relativa domanda risarcitoria, invochi l’incompletezza del consenso informato e, quindi, l’inadempimento del correlativo obbligo dei sanitari di rendere le informazioni necessarie per formarlo, allega implicitamente il danno a quella sua libera e consapevole autodeterminazione che, in base a quanto accade normalmente e per riferirsi la lesione ad un diritto personalissimo e relativo alla sfera interna del danneggiato (almeno quanto alla sofferenza ed alla contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente patite dal paziente in ragione dello svolgimento sulla sua persona dell’esecuzione dell’intervento durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza), si ricollega quale conseguenza ineliminabile alla carenza di un quadro informativo completo e ben compreso o spiegato a chi dovrebbe valutarlo come base di una responsabile decisione. Sulla base di nozioni di comune esperienza può dirsi anche provato, essendo stato per implicito allegato attraverso la formulazione di una domanda siffatta, che con il danno-evento dell’esecuzione dell’intervento sanitario, seguito all’incompleta serie di informazioni, si sia prodotta quale danno-conseguenza, quanto meno, la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente e la sofferenza ad essa connessa.

Cassazione civile sez. III, 19/05/2017, n.12597

In tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicché, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante (nella specie, perdita di “chance” lavorativa), la cui richiesta non può, pertanto, considerarsi domanda nuova, come tale inammissibile. L’invocazione del danno da perdita di chance non può, infatti, ritenersi domanda nuova, essendo tale perdita solo una componente dell’unico diritto al risarcimento del danno insorto dall’illecito, e bastando la formulazione con cui nella domanda si chieda il risarcimento di tutti i danni a comprenderlo, altro essendo il problema dell’individuazione e, quindi, dell’allegazione dei fatti costitutivi di questa tipologia di danni, che, evidentemente, possono e debbono essere specificamente allegati nell’atto introduttivo, ma anche, in una situazione di incertezza, emergere dall’espletamento dell’istruzione, specie se avvenuta mediante consulenza tecnica.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2017, n.9950

Il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle c. d. tabelle diffuse dal Tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità tali – che il giudice ha l’onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione che consiglino od impongano lo scostamento dai valori standard del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/04/2017, n.9251

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non ha diritto al risarcimento del danno, né sotto sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare non preparato ad accoglierlo, né sotto quello della lesione del c.d. diritto a non nascere se non sani: in entrambi i casi la sofferenza sofferta dal nato non è comparabile con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza.

Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, n.20381

In tema di risarcimento del danno alla salute, la sopravvenienza di nuove tabelle, tra quelle periodicamente elaborate dal tribunale di Milano per la relativa liquidazione, in un momento successivo alla camera di consiglio per la decisione della causa, non comporta l’obbligo di riconvocazione della stessa, non essendo sostenibile che sussista una fattispecie di “retrocessione” della fase decisoria.

Cassazione civile sez. VI, 30/08/2016, n.17405

Deve essere escluso il risarcimento in favore del paziente, che lamentava l’esecuzione di cure dentarie malamente eseguite, allorchè sia emerso in corso di causa che la causa del danno non era da individuarsi nell’opera del medico, ma nelle condizioni pregresse del paziente, e che il medico aveva correttamente informato il paziente, segnalandogli i possibili rischi dell’intervento.

Cassazione civile sez. III, 03/05/2016, n.8645

Il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto patologie causate da HBV, HCV o HIV per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, che decorre, a norma degli art. 2935 e 2947 comma 1 c.c., non dal giorno in cui l’evento determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche; al riguardo, in caso di plurime e continuative trasfusioni periodiche (nella specie, essendo il soggetto leso affetto da talassemia) fin da tenerissima età, non integra negligenza la mera, quand’anche continua, frequentazione di ambienti sanitari o medici, né sussiste un onere per il danneggiato (o, nella specie, per i genitori del contagiato minorenne) di rivolgersi a soggetti tecnicamente qualificati, per acquisire idonea consapevolezza anche della rapportabilità causale della malattia alle trasfusioni, dovendo a tal fine il giudice del merito verificare, in base alla storia clinica del leso, se e in quale momento o fase del suo sviluppo siano stati acquisiti od acquisibili elementi specifici sul punto, legati alla sua situazione personale, in base a specifici ulteriori diagnosi od accertamenti clinici cui egli sia stato sottoposto nel corso della sua vita dopo il riscontro dell’avvenuto contagio.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2016, n.7768

In materia di danno alla salute, quando in corso di causa (ivi compresa la fase di gravame) sia sopravvenuto il principio giurisprudenziale – enunciato dalla S.C. con sentenza n. 12408 del 2011 – secondo cui la mancata adozione delle cd. “tabelle” di Milano integra un vizio di violazione di legge, deve ritenersi consentito, a chi agisce per il risarcimento del danno, chiederne l’applicazione, per la prima volta, anche in fase di precisazione delle conclusioni.

Cassazione civile sez. III, 31/03/2016, n.6209

L’imperfetta compilazione della cartella clinica fa presumere la commissione di errori da parte dei sanitari e, pertanto, legittima il risarcimento del danno nei confronti del paziente.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA