Maltrattamenti contro familiari e conviventi il farmacista che pone in essere condotte di mobbing nei confronti delle dipendenti.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23104.2021, resa dalla III Sezione della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di mobbing avvenuto in ambiente lavorativo inquadrabile nel delitto di maltrattamenti in famiglia.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, decidendo sull’interposto ricorso, ha ritenuto di dare continuità al consolidato principio di diritto secondo cui la realizzazione di condotte persecutorie ai danni dei lavoratori dipendenti inquadrabili nel fenomeno del mobbing nell’ambito di rapporti di natura para-familiare, rende il soggetto agente rimproverabile a titolo di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto e punito dall’art. 572 c.p.
Segnatamente, un rapporto può qualificarsi come para-familiare laddove caratterizzato da relazioni intense ed abituali e da consuetudini di vita, nonché da una condizione di soggezione in cui versa la parte più vulnerabile rispetto all’altro.
Condizioni queste che risultano soddisfatte nell’ipotesi di condotte vessatorie e persecutorie poste in essere dal datore di lavoro in danno dei dipendenti in contesti lavorativi di esigue dimensioni e connotati da intensi ed abituali contatti e comunione di vita tra i soggetti, tale da assimilare l’ambiente lavorativo ad un consorzio familiare.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo della fattispecie incriminatrice;
(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza 23104/2021;
(iii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di mobbing, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il reato contestato e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie, all’imputato erano stati contestati i delitti di maltrattamenti in famiglia per aver maltrattato le proprie dipendenti, con abitualità, nell’esercizio dell’attività lavorativa presso una farmacia (in particolare vessandole e offendendole, impedendo loro l’uso del bagno e costringendole a subire punizioni umilianti); nonché di violenza sessuale ai sensi dell’art 609 bis c.p.
La Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, dichiarava di non doversi procedere nei confronti del prevenuto per uno dei reati ascritti, estinto per prescrizione, confermando nel resto la condanna del giudicabile.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ad alcuni reati per estinzione dovuta a prescrizione e per insussistenza del fatto, con eliminazione delle statuizioni civili; annulla con rinvio per la rideterminazione della pena per i residui reati, dichiarando nel reato il ricorso inammissibile nel resto.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento riferiti al tema della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia consumato nell’ambiente di lavoro :
“La casistica consente di reperire, per quanto qui specificamente interessa, una serie di pronunce relative ai rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, riconducibili o meno al cosiddetto “mobbing”.
A proposito di detti rapporti è stato affermato, senza contrasti, che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (“mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Sez. 6, n. 14754 del 13/02/2018, M., Rv. 272804 – 01; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, L.G., Rv. 260063 – 01; Sez. 6, n. 13088 del 05/03/2014, B. ed altro, Rv. 259591 – 01; Sez. 6, n. 28603 del 28/03/2013, S. ed altro, Rv. 255976 – 01; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, L., Rv. 252609 – 01; Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, R.C., Rv. 251368 – 01Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, dep. 2011, C., Rv. 249186 – 01; Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, P. ed altro, Rv. 244457 – 01).
Nel pervenire a questa conclusione la Corte ha chiarito che, nell’ambito dei delitti contro l’assistenza familiare (capo IV del titolo II del libro secondo del codice penale), sono ricomprese anche fattispecie la cui portata supera i confini della famiglia, comunque essa venga intesa, legittima o di fatto.
Gli artt. 571 e 572 c.p. indicano, infatti, come soggetto passivo delle rispettive previsioni anche la persona sottoposta all’autorità dell’agente o a lui affidata per l’esercizio di una professione o di un’arte, con la conseguenza che la formula linguistica utilizzata postula il chiaro riferimento a rapporti implicanti una subordinazione, sia essa giuridica o di mero fatto, la quale – da un lato – può indurre il soggetto attivo a tenere una condotta abitualmente prevaricatrice verso il soggetto passivo e dall’altro – rende difficile a quest’ultimo di sottrarvisi, con conseguenti avvilimento ed umiliazione della sua personalità (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, P. ed altro, cit., in motiv.) […]
Perciò il fatto di reato di cui all’art. 572 c.p. si realizza tra soggetti legati da un rapporto di prossimità permanente (familiare o di tipo familiare) scaturente da una relazione di convivenza e/o di comunanza di vita o comunque da un intenso rapporto (di lavoro, di affidamento) ossia da un legame che, destinato a durare nel tempo, rende la vittima, in quanto tale, un soggetto particolarmente vulnerabile nei confronti di chi, in ragione della propria posizione, è chiamato al rispetto e alla solidarietà. […]
Ciò posto, la Corte d’appello, con logica e adeguata motivazione, ha chiarito come le persone offese fossero inserite in un ambiente lavorativo assai peculiare, attesa la natura e le dimensioni del luogo di lavoro, del tutto assimilabile a un consorzio familiare. L’ambito lavorativo era piuttosto limitato, in quanto le mansioni venivano svolte dalla farmacista e dalla magazziniera a stretto contatto fisico con altri dipendenti e con i due soci titolari.
L’intenso rapporto tra dipendenti aveva poi facilitato amicizie tra loro.
Il potere direttivo e di supremazia rivestito dal ricorrente in seno al negozio farmaceutico è stato confermato anche dal fatto che la potestà datoriale si esplicava nell’applicazione di sanzioni e nell’impartire direttive”.
La fattispecie incriminatrice:
Art. 572 c.p. – Maltrattamenti contro familiari e conviventi
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla meta’ se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto e’ commesso con armi.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.
Le pronunce citate nella sentenza in commento:
Cassazione penale sez. VI, 13/02/2018, n.14754
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte poste in essere dai superiori in grado nei confronti di un appuntato dei Carabinieri).
Cassazione penale sez. VI, 19/03/2014, n.24642
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere da un sindaco nei confronti di una funzionaria comunale).
Cassazione penale sez. VI, 05/03/2014, n.13088
Le pratiche vessatorie realizzate ai danni di un lavoratore dipendente al fine di determinare l’emarginazione (c.d. mobbing), anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 172 del 2012, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia soltanto quando s’inquadrino nel contesto di un rapporto che – per le caratteristiche della prestazione lavorativa ovvero per le dimensioni e la natura del luogo di lavoro – comporti relazioni intense e abituali, una stretta comunanza di vita ovvero una relazione di affidamento del soggetto più debole verso quello rivestito di autorità, assimilabili alle caratteristiche proprie del consorzio familiare. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso la sussistenza del delitto in parola, per essersi verificate le condotte vessatorie nel contesto di un’articolata realtà aziendale, caratterizzata da uno stabilimento di ampie dimensioni e da decine di dipendenti sindacalizzati).
Cassazione penale sez. VI, 28/03/2013, n.28603
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di cui all’art. 572 c.p., anche nel testo modificato dalla l. n. 172 del 2012 esclusivamente se, il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Nella specie, la Corte pur escludendo la configurabilità del delitto di maltrattamenti, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria perché il giudice valutasse se i disturbi ansioso-depressivi lamentati dalla vittima potessero integrare il delitto di lesioni personali).
Cassazione penale sez. VI, 11/04/2012, n.16094
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal vice Presidente di un Ater nei confronti di una dipendente).
Cassazione penale sez. VI, 10/10/2011, n.43100
Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro, è necessario che il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare. (Fattispecie relativa a condotte vessatorie poste in essere nell’ambito di un rapporto tra un sindaco e un dipendente comunale, in cui la S.C. ha escluso la configurabilità del reato previsto dall’art. 572 c.p.).
Cassazione penale sez. VI, 06/02/2009, n.26594
Non è possibile assimilare il fenomeno del mobbing ai maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., al fine di riconoscere la responsabilità penale in capo al datore di lavoro a fronte di continui e sistematici comportamenti ostili, umilianti e lesivi della dignità personale del lavoratore, qualora tali situazioni si presentino all’interno di grandi strutture aziendali. L’analogia non può trovare applicazione in quanto l’articolata organizzazione aziendale non implica una stretta ed intensa relazione diretta tra datore e dipendente tale da determinare una comunanza di vita assimilabile a quella che caratterizza il consorzio familiare.
La rassegna delle più recenti massime in tema di mobbing e maltrattamenti contro familiari e conviventi:
Cassazione penale sez. VI, 07/06/2018, n.39920
È essenziale il requisito della para-famigliarità del rapporto per configurare il reato di maltrattamento in famiglia in ambito lavorativo (nella specie, l’imputato, nella sua qualità di notaio e datore di lavoro della vittima, dipendente dello studio notarile e sua cognata era accusato del reato di maltrattamenti in famiglia in ambito lavorativo).
Cassazione penale sez. VI, 13/02/2018, n.14754
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte poste in essere dai superiori in grado nei confronti di un appuntato dei Carabinieri).
Cassazione penale sez. II, 06/12/2017, n.7639
Gli atti persecutori realizzati in danno del lavoratore dipendente e finalizzati alla sua emarginazione (c.d. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para -familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudine di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto debole del rapporto in quello che riveste la posizione di supremazia, e come tale, destinatario di obblighi di assistenza verso il primo.
Cassazione penale sez. VI, 28/09/2016, n.51591
Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo, a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia.
Cassazione penale sez. VI, 01/06/2016, n.26766
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole dei rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (nella specie, relativa ai rapporti tra i gestori di una ricevitoria e una loro dipendente, qualificabili in termini di lavoro subordinato, non ricorreva quel nesso di supremazia -soggezione che ha esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari).
Cassazione penale sez. VI, 26/02/2016, n.23358
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para -familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.
Cassazione penale sez. VI, 15/09/2015, n.44589
Le pratiche persecutorie finalizzate all’emarginazione del lavoratore possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia quando il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. Non occorre, pertanto, che ricorrano le condizioni formali di sussistenza dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c.
Cassazione penale sez. VI, 23/06/2015, n.40320
La configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro (c.d. “mobbing”), non può essere aprioristicamente esclusa nel caso di rapporti di lavoro intercorrenti tra professionisti di elevata qualificazione, in quanto l’insussistenza di un rapporto para-familiare non può essere desunta dal dato – meramente quantitativo – costituito dal numero dei soggetti operanti nell’organizzazione in cui siano commesse le condotte vessatorie, dovendo essa piuttosto fondarsi sull’aspetto qualitativo, cioè sulla natura dei rapporti intercorrenti tra superiore e sottoposto (nello specifico la Suprema Corte ha ritenuto plausibile lo stato di soggezione psicologica previsto dalla fattispecie incriminatrice in cui versava un medico ospedaliero nei confronti del primario che aveva posto in essere iniziative discriminatorie tendenti al suo demansionamento).
Cassazione penale sez. VI, 11/04/2014, n.24057
Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal titolare di un’impresa agricola nei confronti di alcuni dipendenti di nazionalità rumena ospitati nella struttura, e ridotti in una situazione di estremo disagio quanto al vitto, all’alloggio ed alle condizioni igieniche).
Cassazione penale sez. VI, 08/04/2014, n.18832
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p., è necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente capace di assumere una natura para-familiare.
Cassazione penale sez. VI, 19/03/2014, n.24642
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere da un sindaco nei confronti di una funzionaria comunale).
Cassazione penale sez. VI, 05/03/2014, n.13088
Non ogni fenomeno di mobbing – e cioè di comportamento vessatorio e discriminatorio – attuato nell’ambito di un ambiente lavorativo può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto, per la configurabilità di tale reato, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 1° ottobre 2012 n. 172, è necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (“mobbing”) si inquadrino in un rapporto tra datore di lavoro e il dipendente capace di assumere una “natura para-familiare”, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Nella specie, la Corte, annullando senza rinvio la sentenza di condanna, ha escluso il reato di maltrattamenti in famiglia, apprezzando che i fenomeni incriminati si erano svolti in uno stabilimento di notevoli dimensioni ove erano presenti circa cinquanta dipendenti; secondo la Cassazione, semmai, si sarebbero potuti apprezzare gli estremi di altri reati, quali quelli di lesioni personali, di minaccia, di ingiuria e di violenza privata, eventualmente aggravati dall’abuso di relazioni d’ufficio o di prestazione di opera, peraltro ormai prescritti).
Cassazione penale sez. VI, 11/04/2012, n.16094
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal vice Presidente di un Ater nei confronti di una dipendente).
Cassazione penale sez. VI, 10/10/2011, n.43100
Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro, è necessario che il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare. (Fattispecie relativa a condotte vessatorie poste in essere nell’ambito di un rapporto tra un sindaco e un dipendente comunale, in cui la S.C. ha escluso la configurabilità del reato previsto dall’art. 572 c.p.).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA