Per il superamento della soglia di punibilità della dichiarazione infedele il reddito imponibile di un capitale detenuto all’estero deve essere ricostruito con riferimento alla tassazione della rendita.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 19849.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di riciclaggio delle somme provenienti dal delitto di dichiarazione infedele, si sofferma sui rapporti tra accertamento del predetto reato fiscale presupposto e delitto di riciclaggio quando la componente del reddito imponibile deve riferirsi alla rendita di un capitale detenuto all’estero piuttosto che all’intera somma di denaro poi rimpatriata.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui non è possibile configurare il reato di riciclaggio, in assenza di prova della sussistenza del reato presupposto di dichiarazione infedele – segnatamente in ordine alla riferibilità allo specifico anno di imposta oggetto di verifica delle somme detenute all’estero per le quali a mente della disciplina fiscale sarebbe tassabile in Italia solo la rendita.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo delle fattispecie incriminatrici;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di riciclaggio e reati tributari, oltre agli approfondimenti sui reati tributari, che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
I reati contestati e il giudizio di merito
Per quanto qui di interesse, a uno degli imputati era contestato il delitto di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. per aver trasferito all’estero e successivamente rimpatriato in Italia il denaro provento del delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 74/2000, senza aver concorso nel reato tributario presupposto.
La Corte di appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento da parte della Corte di Cassazione della sentenza resa da altra Sezione della Corte territoriale, riformava parzialmente la pronuncia di primo grado resa dal locale Tribunale, in particolare confermando, per quanto qui di interesse, la condanna di uno degli imputati per il delitto di riciclaggio in relazione al trasferimento del denaro provento del reato fiscale.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dell’imputato limitatamente al delitto di riciclaggio perché il fatto non sussiste, rinviando ad altra Sezione della Corte distrettuale per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio con riferimento ai residui reati.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“Né può sostenersi che in siffatte situazioni resti applicabile l’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto integra gli estremi del reato previsto da tale articolo esclusivamente la condotta di chi, al fine di evadere le imposte dei redditi o sul valore aggiunto, presenta una dichiarazione infedele relativa a quelle imposte: la somma di denaro detenuta da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera (così come uno strumento finanziario o un bene immobile) non è considerata, di per sé sola, parte del reddito imponibile del contribuente italiano, restando tassabili in Italia alle condizioni prescritte dalla legge, esclusivamente le rendite – come gli interessi conseguiti da un investimento finanziario o le rendite immobiliari – che il bene detenuto all’estero dovesse eventualmente produrre; rendite che, peraltro, vanno dichiarate in quadri della dichiarazione dei redditi diversi dal quadro RW.
E’, quindi, giuridicamente non corretta l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’importo detenuto dal [omissis] in Svizzera nel 2003 fosse integralmente (e automaticamente) tassabile ai fini dell’imposta sui redditi per quell’anno; e che, perciò, essendo state superate le soglie di punibilità previste dal citato art. 4, fossero presenti gli elementi costitutivi del delitto presupposto del riciclaggio.
Che le somme detenute dal [omissis] in Svizzera e poi trasferite a San Marino fossero il provento di evasione fiscale, lo dimostra il fatto che – come precisato nella motivazione della sentenza di primo grado – il predetto riuscì a far rientrare in Italia quel denaro beneficiando della normativa sullo “scudo fiscale” di cui all’art. 8 della legge 24 dicembre 2002, n. 284.
Ma nell’impossibilità di riferire l’importo ad uno o più specifici anni di imposta, dunque il superamento delle soglie di punibilità, manca la prova precisa della esistenza del delitto presupposto necessario per la configurabilità del reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. addebitato all’odierno ricorrente”.
Le fattispecie incriminatrici:
Art. 4 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele
Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
- a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
- b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.
Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).
Art. 648 bis c.p. – Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.
La pena è aumentata [64] quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita [65] se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
La rassegna delle più recenti massime in tema di riciclaggio o autoriciclaggio e reati tributari
Cassazione penale sez. II, 09/09/2020, n.30889
Non integra il delitto di riciclaggio la condotta di sostituzione di somme sottratte agli obblighi di pagamento fiscali mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione annuale non sia ancora decorso e la stessa non sia stata ancora presentata, atteso che il delitto di riciclaggio non può consumarsi prima del delitto presupposto.
Cassazione penale sez. VI, 23/01/2020, n.14800
In tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, ai fini dell’individuazione del fumus del sequestro non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza; in difetto, venendo meno uno dei presupposti del delitto di riciclaggio, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste. Per di più la circostanza che alcuni reati non siano ancora oggetto di indagini preliminari, in difetto della necessaria iscrizione nell’apposito Registro delle notizie di reato, o che comunque per alcuni di essi pendessero mere indagini preliminari, non impedisce di accertarne incidentalmente la configurabilità ai fini della cautela reale.
Cassazione penale sez. II, 08/10/2019, n.43387
Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen. è irrilevante la circostanza che per il reato presupposto, concernente la violazione della normativa tributaria, operi la causa di non punibilità contenuta nell’art. 9, comma 10, lett. c) legge 27 dicembre 2002, n. 289 (c.d. “condono tributario”). (In motivazione la Corte ha valorizzato il richiamo contenuto nell’ultimo comma dell’art. 648-ter, cod. pen. alla previsione di cui al terzo comma dell’art. 648 cod. pen., in base alla quale deve ritenersi irrilevante per la configurabilità del reato di ricettazione, come pure di quello in esame, la presenza, tra l’altro, di una causa di non punibilità riferita al reato presupposto).
Cassazione penale sez. II, 28/05/2019, n.29689
Ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, pur non essendo necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, tuttavia occorre che esso sia individuato nella sua tipologia. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo, in cui la Corte ha censurato l’ordinanza del tribunale che aveva ravvisato il “fumus” del delitto di cui all’art. 648-bis c.p. senza fornire elementi sufficienti per individuare la provenienza delittuosa del denaro trovato in possesso degli indagati, occultato sulla persona per sfuggire ai controlli valutari nell’aeroporto di arrivo in Italia).
Cassazione penale sez. II, 10/04/2019, n.22020
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca diretta o per equivalente, nel caso di consumazione dei delitti di autoriciclaggio e riciclaggio da parte di soggetti diversi, all’autore di tale ultima condotta è sequestrabile soltanto l’importo del profitto di tale delitto e non anche di quello derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore dell’autoriciclaggio, che può avere ad oggetto somme superiori o quantitativi di beni di origine illecita trasferiti a soggetti giuridici differenti.
Cassazione penale sez. II, 07/06/2018, n.30401
Il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. In particolare, ove il reato presupposto sia quello di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8 d.lg. n. 74/2000 è del tutto evidente che la somma costituente il profitto e/o prezzo ricavato dal reato presupposto – già sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12-bis, d.lg. n. 74/2000 – non può nuovamente essere sottoposta a sequestro, seppure per altro titolo, proprio perché non può essere considerata come il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio. Ne consegue che oggetto di un eventuale sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 648 ter c.p., può essere solo ed esclusivamente il profitto ricavato dal reinvestimento di quella parte del denaro proveniente dall’illecito tributario, quale reato presupposto.
Cassazione penale sez. V, 18/01/2018, n.5459
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto relativo al delitto di riciclaggio, ai sensi dell’art. 648-quater c.p. introdotto con l’art. 63 d.lg. n. 231/2007, è applicabile anche ai beni acquistati dall’indagato prima dell’entrata in vigore della norma, giacché il principio di irretroattività attiene solo al momento di commissione della condotta e non anche al tempo di acquisizione dei beni.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA