Sequestro preventivo e accertamento con adesione: il pagamento del debito mediante compensazione tributaria che segue l’atto conciliativo elide il presunto profitto del reato fiscale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 25792.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione e depositata il 07 luglio 2021 che, pronunciatasi in materia cautelare reale nell’ambito di un procedimento relativo al reato di frode fiscale seguito dallo Studio Ramelli, accogliendo il ricorso per Cassazione si sofferma sul valore solutorio della compensazione tributaria come mezzo di pagamento idoneo ad estinguere il debito erariale.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui la compensazione tributaria ex art. 15 bis D.lgs. 218/1997 e 19 D.lgs. 241/1997, vale come mezzo di pagamento idoneo a definire il debito erariale risultante dall’accertamento con adesione se il medesimo viene riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria.

Ne deriva, quindi, che trattandosi di pagamento dell’imposta in applicazione dell’art.12 bis D.lgs 74/2000 e dei principi di gradualità ed adeguatezza delle misure cautelari (personali e reali) deve essere rimodulata da parte del Giudice del merito la misura cautelare in essere del sequestro preventivo funzionale alla confisca per valore del denaro costituente il profitto del reato tributario eseguita sui patrimoni individuali dei singoli indagati.

 

Il reato contestato e il giudizio cautelare reale di merito

Nel caso di specie all’indagato è stato contestato il concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 D.lgs. 74/2000 nella qualità di amministratore di fatto della società di capitali che avrebbe conseguito il profitto del reato.

Il denaro del prevenuto nella fase delle indagini preliminari veniva attinto dalla misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato tributario per la parte eccedente il sequestro preventivo diretto eseguito sul patrimonio dell’impresa collettiva.

Il profitto del reato fiscale veniva rideterminato in sede di accertamento con adesione concordato l’Agenzia delle entrate e il contribuente procedeva al pagamento del debito erariale attraverso compensazione con crediti vantati nei confronti del Fisco.

Il Tribunale del Riesame di Roma rigettava l’appello interposto dal prevenuto avverso l’ordinanza con la quale il GUP del Tribunale di Velletri aveva rigettato l’istanza di revoca parziale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in misura corrispondente a quanto versato dal contribuente (la società) all’Erario.

In particolare, il Collegio cautelare capitolino, fondava il rigetto dell’appello proposto ex art. 322 bis c.p.p. denegando valore di mezzo di pagamento della compensazione legale tra debiti e crediti, riportando a sostegno della decisione assunta la pronuncia 17806/2020 resa dalla Corte di Cassazione, della quale il lettore può trovare il commento nella pagina del sito.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per il Riesame dei provvedimenti cautelari di Roma, articolando due motivi di gravame.

Ai fini del presente commento, riveste particolare interesse la deduzione della violazione di legge con la quale il ricorrente censurava l’impugnata decisione nella parte in cui il Collegio cautelare romano, nella parte in cui aveva negato il valore di mezzo di pagamento alla compensazione operata dal contribuente in seguito all’accertamento con adesione intervenuto con l’Agenzia delle Entrate del quale era stata prodotta copia del modello F/24 regolarmente quietanzata unitamente ad una dichiarazione dell’Amministrazione finanziaria che riconosceva l’integrale definizione della partita creditoria vantata dall’amministrazione finanziaria che in sede penale veniva sussunta nel concetto di profitto del reato.

In particolare, la difesa dell’indagato, nell’articolare i motivi di ricorso ex art. 325 c.p.p. osservava che la compensazione tributaria disciplinata dagli artt. 15 bis D.lgs. 218/1997 e 19 D.lgs. 241/1997, alla quale ha fatto ricorso il contribuente per estinguere il debito tributario, fosse espressamente qualificata, dalla legge, come modalità di estinzione del debito tributario a seguito della procedura dell’accertamento con adesione.

Non doveva, quindi, farsi riferimento alla compensazione legale prevista dal codice civile, ma al diverso istituto della compensazione fiscale.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando per un nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Roma.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“Tanto premesso, rileva il Collegio che la confisca – tanto più se per equivalente – della somma di danaro costituente il profitto del reato in contestazione sia una misura di sicurezza rispetto alla quale il sequestro preventivo disposto a carico del ricorrente ha una evidente funzione cautelarmente strumentale e che essa presuppone che sia stato, appunto, realizzato un profitto attraverso la commissione dell’illecito, si osserva che, laddove il debito tributario sia stato adempiuto, in questo caso anteriormente alla celebrazione della udienza preliminare, la confisca ex art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, non avendo il reato comportato la realizzazione di alcun profitto, non avrebbe ragion d’essere.

Ciò posto, si osserva che parte ricorrente ha dimostrato, anche attraverso la produzione di un documento, espressamente ricordato nella ordinanza impugnata come proveniente dalla Agenzia delle Entrate, che il Consorzio di cui egli è, secondo l’ipotesi accusatoria, amministratore di fatto, ha “definito integralmente i rilievi emersi in sede di PVC per l’anno di imposta 2013, così come determinati sulla base dell’atto di adesione […]”.

In termini di assoluta contraddittorietà interna (e, pertanto, in termini manifestamente illogici) ed in contrasto con quanto previsto dall’art. 12-bis del dlgs n. 74 del 2000, il quale, come accennato, prevede la confisca obbligatoria dei beni che costituiscano il prezzo od il profitto del reato, il Tribunale capitolino ha ritenuto che, ai fini del mantenimento del sequestro, fosse fattore del tutto irrilevante la circostanza che il debito tributario gravante sul Consorzio [omissis], quanto all’anno di imposta 2013, fosse stato definito.

La circostanza che a siffatta definizione si sia pervenuti, conseguentemente ad un accertamento con adesione, tramite l’avvenuta compensazione fra poste attive e poste passive riferite al contribuente, è, infatti, fattore del tutto irrilevante, posto che, in ogni caso, a seguito dell’avvenuta compensazione è venuta meno l’obbligatorietà della prestazione indicata in sede di accertamento con adesione, il debito tributario dovrebbe intendersi oramai estinto e, pertanto, la somma ad esso riferita non può intendersi essere profitto conseguito attraverso la commissione del reato in provvisoria contestazione”.

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