Non sussiste il nesso causale tra operato dei sanitari e l’evento lesivo in caso di insorgenza a seguito dell’intervento chirurgico di una complicanza imprevedibile ed inevitabile.
Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 12596.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e dei medici intervenuti all’intervento della paziente, si sofferma sulla disciplina del nesso causale tra l’operato dei sanitari e danno al paziente.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui il sopraggiungere di una complicanza che costituisca un evento imprevedibile o inevitabile, elide il nesso causale tra prestazione del sanitario – allegata come inadempiente – e insorgenza della patologia nel paziente.
Ciò posto, nell’ambito della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, ribadisce il Collegio del diritto, che grava sul danneggiante evocato in giudizio provare la causa imprevedibile o inevitabile che ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione, fermo restando l’obbligo dell’atto di allegare e provare l’inadempimento.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) gli arresti giurisprudenziali citati nell’ordinanza 12596/2021;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il caso clinico, la domanda di risarcimento e la doppia conforme di merito
Nel caso di specie la paziente si sottoponeva ad intervento chirurgico di biopsia stereotassica, necessario al fine di indagare la lesione espansiva cerebrale multiforme emisferica sinistra che la affliggeva. In seguito all’intervento, la paziente riportava una emi-paresi facio-branchio-crurale destra con afasia che la costringeva in uno stato di non autosufficienza, fino al decesso.
I congiunti della vittima convenivano in giudizio sia in proprio, sia in qualità di eredi della de cuius dinanzi al Tribunale Civile di Milano i medici che avevano eseguito l’operazione e la Fondazione presso la quale la paziente era in cura al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla congiunta.
La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Le parti attrici proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso quanto al primo motivo e dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“In particolare, è stato ritenuto provato, sulla scorta della CTU, non solo che l’intervento corrispondeva a una scelta opportuna in relazione alle condizioni in cui si trovava la paziente, onde poter applicare idonee terapie per il tumore al cervello che la affliggeva, e che la biopsia è stata eseguita in modo conforme alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ma anche l’imprevedibilità e imprevenibilità in concreto dell’evento, posto che l’ischemia sopravvenuta non ha avuto una causa emorragica collegata all’intervento, bensì è sopraggiunta nel corso dell’intervento come complicanza.
La sentenza ha inteso applicare, richiamandola correttamente, la giurisprudenza di legittimità riguardo al tema della “complicanza”, là dove ha indicato che allorché, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso, si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una: o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile, e in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze” (Cass. civile, sez. III, sentenza n. 13328 del 30 giugno 2015).
Ed invero, in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore), ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18102 del 31/8/2020; Sez. 3 – , Sentenza n. 28991 dell’11/11/2019; Sez. 3 – , Sentenza n. 18392 del 26/7/2017)”.
Le pronunce citate nell’ordinanza in commento:
Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28991
In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.
Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito ad un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un’emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell’attrice, della riconducibilità eziologica dell’arresto cardiaco all’intervento chirurgico e all’emorragia insorta, escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura).
Cassazione civile sez. III, 30/06/2015, n.13328
Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all’art. 1218 cod. civ. non è sufficiente dimostrare che l’evento dannoso per il paziente costituisca una “complicanza”, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione – indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell’iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile – priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.
La rassegna delle più recenti massime in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria:
Cassazione civile sez. III, 17/10/2019, n.26303
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con l’ordinaria diligenza. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, la Corte d’appello, accertata la imperita prestazione professionale, ha rilevato, sulla scorta della verifica delle risultanze istruttorie, che tale condotta di inadempimento non aveva, tuttavia, interferito nella serie eziologica esitata nella ritardata esecuzione di interventi terapeutici ai quali – secondo la statistica sanitaria – veniva riconosciuta la possibilità – espressa in misura percentuale – di prolungamento della sopravvivenza del paziente, sicché è stata negata in concreto la esistenza del nesso di causalità materiale tra l’errore e l’evento lesivo della salute, sulla scorta del giudizio controfattuale, condotto con prognosi postuma, per cui alla corretta diagnosi non sarebbe, comunque, seguita alcuna prescrizione di intervento terapeutico e il paziente non avrebbe potuto – in ogni caso – beneficiare degli effetti (possibilità di sopravvivenza) di un anticipato trattamento, risultando dunque indimostrato il collegamento tra inadempimento professionale e perdita dei vantaggi conseguibili dal soggetto, con conseguente esonero da responsabilità della Azienda ospedaliera per il fatto commesso dai propri dipendenti.
Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).
Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).
Cassazione civile sez. III, 13/07/2018, n.18567
In tema di responsabilità sanitaria, il principio della vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, le cui carenze e omissioni non possono andare a danno del paziente, non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente a essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.
Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16324
In tema di responsabilità sanitaria la dimostrazione dell’assolvimento dell’obbligo (di avere posto il paziente nelle condizioni) di prestare il consenso informato, che si qualifica quale obbligo contrattuale ex articolo 1218 del codice civile grava sulla struttura ospedaliera. La violazione di tale obbligo ha potenzialmente rilievo a prescindere dall’esito favorevole o meno della prestazione medica, in quanto in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione del paziente. La dimostrazione – invece – di un nesso causale tra la lesione del diritto di autodeterminazione e danno effettivamente subito, spetta al paziente, rientrando tale elemento tra gli oneri in capo all’attore qui dicet.
Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13752
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.
Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2061
La responsabilità per attività medico chirurgica deve essere ricondotta al paradigma di cui all’articolo 1218. Deriva da quanto precede, pertanto, che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità. Nei giudizi risarcitori, in particolare, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).
Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24073
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione assistenziale, l’onere di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imprevedibile, inevitabile e non imputabile alla stessa sorge solo ove il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale tra la condotta attiva od omissiva dei sanitari e il danno sofferto.
Cassazione civile sez. III, 06/05/2015, n.8995
In materia di responsabilità contrattuale (nella specie, per attività medico-chirurgica), una volta accertato il nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato, l’incertezza circa l’eventuale efficacia concausale di un fattore naturale non rende ammissibile, sul piano giuridico, l’operatività di un ragionamento probatorio “semplificato” che conduca ad un frazionamento della responsabilità, con conseguente ridimensionamento del “quantum” risarcitorio secondo criteri equitativi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, in relazione al danno celebrale patito da un neonato, aveva posto l’obbligo risarcitorio interamente a carico della struttura sanitaria in cui egli era stato ricoverato immediatamente dopo il parto – avvenuto in altra struttura – e presso la quale aveva contratto un’infezione polmonare, e ciò sebbene le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio non avessero escluso la possibilità che un contributo concausale al pregiudizio lamentato fosse derivato da una patologia sviluppata in occasione della nascita).
Cassazione civile sez. III, 12/09/2013, n.20904
Allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto”), la distribuzione, “inter partes”, dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale – quando l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava – si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA