Si espone alla responsabilità penale ex art. 236 bis L.F. il professionista che assevera nella relazione allegata alla domanda di concordato preventivo una situazione patrimoniale della società contraria al vero.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 29892.2021, resa dalla Sezione Feriale della Corte di Cassazione, pronunciatasi sulla contestazione del reato previsto e punito dall’art. 236 bis legge fallimentare, elevata a carico di un professionista incaricato di redigere la relazione sullo stato patrimoniale della impresa collettiva in crisi richiedente l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
La sentenza in commento è di interesse per gli operatori di diritto che si occupano dei riflessi penali delle procedure concorsuali nella parte in cui indica gli elementi sintomatici dai quali ricavare la indefettibile componente psicologica del reato fallimentare, secondo la difesa carente nel caso di specie.
Il reato contestato e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie la Procura della Repubblica di Milano aveva elevato nei confronti dell’imputato la seguente contestazione: “quale professionista autore della relazione ex art. 161, comma 3, 1. f. allegata alla domanda di concordato della (omissis s.r.l.) esponeva informazioni false ed ometteva di riferire informazioni rilevanti; in particolare indicando passività per euro 277.680,13 a fronte di passività accertate dal curatore – risalenti ad epoche anteriori alla presentazione del piano – per euro 487.255,52, prevedendo compensazioni d’imposta vietate nel caso di specie (per la presenza di iscrizioni a ruolo) ed inoltre omettendo di riferire informazioni rilevanti riguardo la tipologia delle verifiche effettuate ed í criteri di stima adottati (circostanze che non avrebbero consentito alcuna effettiva assegnazione ai creditori chirografari)”.
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza condanna di primo grado resa dal G.U.P. all’esito del giudizio abbreviato, riduceva la pena inflitta e concedeva il beneficio della non menzione.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, denunciando vizio di legge e di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento afferenti la prova del dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice:
“La Corte territoriale, infatti, con motivazione priva di manifeste aporie logiche, aveva dedotto l’elemento soggettivo del reato contestato, il dolo generico:
– dalla circostanza che l’imputato si era limitato a riprodurre i dati economico finanzia riferitigli, dopo vari solleciti, dall’amministratore della società, senza provvedere ad alcuna verifica della loro concreta rispondenza al vero, pur se tale riscontro costituiva la parte essenziale del suo incarico professionale (e della funzione attestativa ricoperta);
– dal fatto che, nella relazione che accompagnava la richiesta di ammissione alla procedura concordataria, tali dati fossero stati presentati come rispondenti al vero, a seguito del controllo che si assumeva essere stato effettuato, e non come il mero portato delle indimostrate affermazioni dell’amministratore della società (come, non avendo, in ipotesi, ricevuto la necessaria documentazione, il prevenuto avrebbe dovuto specificare, se avesse inteso riferire il vero);
– dal comportamento successivo ai rilievi del curatore – rispetto alla falsità dei dati indicati nella relazione – non avendo, l’imputato, argomentato alcunché di specifico sulle ragioni della quantificazione delle voci contestate, sui criteri seguiti per determinarle e sui controlli, anche a campione, sulle medesime concretamente effettuati (o non potuti svolgere a cagione della mancata collaborazione dell’amministratore).
In altri termini, la Corte di merito aveva dato conto di una pluralità di circostanze di fatto dalle quali doveva congruamente dedursi che il ricorrente si fosse consapevolmente discostato dai compiti accertativi ed attestativi assegnatigli dalla legge (a tutela dei creditori, oltre che dell’ordinato svolgersi delle procedure concorsuali), senza fornire giustificazione alcuna ed anzi, assumendo i dati economici della società come rispondenti al vero, concretamente concorrendo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni, così che tale condotta deve essergli attribuita a titolo di dolo e non di mera colpa (vd l’analogo principio fissato dalla pronuncia delle Sezioni unite – n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv.266803 – in tema di bancarotta patrimoniale per “falso valutativo”).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA