Risponde di peculato il medico anestesista che in ragione del pubblico ufficio svolto si appropri dei farmaci da banco di proprietà della struttura sanitaria.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 30131.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di peculato commesso da medico pubblico ufficiale, si sofferma sul perimetro punitivo del reato contro la pubblica amministrazione.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui il possesso qualificato dalla ragione del pubblico ufficio o servizio non si limita a quello che rientra nella competenza funzionale dell’agente, ma anche quello che si fonda su prassi e consuetudini invalse nell’ufficio in cui opera il sanitario.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo della fattispecie incriminatrice;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di peculato commesso dagli esercenti la professione sanitaria, oltre agli approfondimenti sul reato contro la pubblica amministrazione che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il reato contestato e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie, all’imputato tratto nella qualità di dirigente medico nel servizio di anestesia della struttura ospedaliera, era stato contestato il delitto di peculato, per essersi appropriato dei farmaci di proprietà della struttura sanitaria, nonché quello di truffa aggravata, per aver utilizzato il ricettario “mutualistico” assegnato all’ente ospedaliero per prescrivere farmaci ai propri familiari.
La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti del prevenuto in ordine al delitto di peculato limitatamente ad alcune condotte, confermando nel resto la condanna inflitta in primo grado per i reati di peculato e truffa aggravata.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di truffa perché il fatto non sussiste; ha annullato, altresì, la medesima sentenza con riferimento alla circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento riferiti al tema giuridico della sussistenza del reato contro la PA in relazione alla tipologia del farmaco oggetto di condotta appropriativa:
“Corretta, dunque, deve ritenersi la soluzione cui la Corte di appello è pervenuta muovendo dall’argomento incentrato sul rilievo che le funzioni di medico anestesista svolte dall’imputato hanno costituito la ragione per la quale egli ha potuto acquisire la disponibilità dei farmaci dei quali si è appropriato, irrilevante dovendosi ritenere, di contro, il fatto che la tipologia (da “banco”) di quelli rinvenuti presso la sua abitazione fosse priva di uno stretto collegamento funzionale con la sua attività di anestesista.
A tal riguardo, infatti, il costante insegnamento di questa Corte è nel senso che il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su prassi e consuetudini invalse in un ufficio determinato (Sez. 6, n. 34489 del 30/01/2013, Rv. 256120), ovvero su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Rv. 267525; Sez. 6, n. 9660 del 12/02/2015, Rv. 262458)”.
La fattispecie incriminatrice:
Art. 314 c.p. – Peculato
Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis].
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].
Le più recenti pronunce di legittimità in tema di peculato commesso da professionisti sanitari:
Cassazione penale sez. VI, 04/02/2020, n.11003
Al fine di poter ritenere il reato di peculato, sotto il profilo soggettivo, a carico del medico che non abbia versato parte dei compensi percepiti in regime di convenzione intramuraria, occorre una motivazione particolarmente stringente, per escludere che si sia in presenza di una mera negligenza, allorquando le somme non versate siano risultate di misura estremamente modesta o quasi insignificante rispetto al numero dei casi trattati.
Cassazione penale sez. VI, 20/03/2019, n.18192
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio. (Fattispecie in tema di pluralità di truffe poste in essere da un medico ospedaliero che, omettendo di informare il datore circa la misura delle prestazioni eseguite intramoenia, induceva lo stesso in errore, conseguendo somme a titolo di indennità di esclusiva e di posizione non dovute).
Cassazione penale sez. VI, 19/06/2018, n.40908
Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.
Cassazione penale sez. II, 24/04/2018, n.25976
Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia”, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.
Cassazione penale sez. VI, 27/09/2017, n.48603
Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).
Cassazione penale sez. VI, 16/03/2017, n.29782
Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).
Cassazione penale sez. VI, 13/10/2016, n.51371
Nel delitto di peculato l’appropriazione consiste in un comportamento uti dominus dell’agente nei confronti della cosa mediante il compimento di atti incompatibili con il titolo per cui possiede, in modo da realizzare la c.d. interversio possessionis e interrompere così la relazione funzionale tra il bene e il legittimo proprietario (fattispecie relativa all’utilizzo di locali e di apparecchiature ospedaliere per fini diversi da quelli istituzionali).
Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.35988
Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l’illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell’attività al di fuori delle regole prescritte per l’attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l’imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all’interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti).
Cassazione penale sez. VI, 13/03/2013, n.16581
Integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p. la condotta del medico responsabile del SERT che abbia distratto numerose compresse di un medicinale a base di sostanze stupefacenti delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio per la successiva cessione senza alcun piano terapeutico e senza prescrizione a soggetti tossicodipendenti.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA