Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale si tiene conto anche dei pregiudizi subiti sul piano della vita quotidiana e relazionale.

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 26301/2021, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di responsabilità sanitaria per il decesso del feto, si sofferma sulla quantificazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

In particolare, la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale subito dai genitori a seguito del decesso del nascituro, occorre tener conto non solo della sofferenza interiore patita al momento della perdita, ma anche i risvolti dinamico-relazionali che interessano la vita quotidiana dei danneggiati.

 

 

Il caso clinico e la domanda di risarcimento danni

Nel caso di specie i genitori del nascituro convenivano in giudizio la ASL per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito iure proprio a causa del decesso del feto in utero, cagionato dalla condotta negligente dei sanitari (consistita nell’aver omesso di diagnosticare lo stato di ipossia fetale e di aver mancato di procedere tempestivamente al taglio cesareo).

Il Tribunale di Verbania condannava la ASL a corrispondere agli attori una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

La Corte di appello di Torino, adita dalle parti attrici che lamentavano il loro diritto ad ottenere un maggiore importo a titolo di risarcimento, confermava la decisione di primo grado.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Gli attori proponevano ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte distrettuale, articolando plurimi motivi di gravame.

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento di parte dei motivi di ricorso rinviando alla Corte di appello di Torino in diversa composizione per l’ulteriore corso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

<Andranno, pertanto, applicati, sul punto, i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che non solo ha ritenuto legittimati i componenti del consorzio familiare a far valere una pretesa risarcitoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 cod. civ. in relazione agli artt. 2, 29 e 30 Cost., nonché […] all’art. 117, comma 1, Cost […], ma ha anche chiarito che pure tale tipo di pregiudizio rileva nella sua duplice, e non sovrapponibile dimensione morfologica “della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita” […].

Aspetti, dunque, come il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero, non possono considerarsi affatto come un tipo di danno “assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento formulata ex art. 2059 cod. civ.”, risultando tale affermazione errata in diritto, come errata appare quella secondo cui “altro sarebbe il danno non patrimoniale causato dalla perdita del frutto del concepimento, e ben altro sarebbe invece il danno consistente negli strascichi che quel lutto abbia lasciato nell’animo dei protagonisti”.

Nel riconsiderare tali aspetti del danno lamentato dai ricorrenti, il collegio di rinvio terrà altresì conto di quanto di recente affermato da questa stessa Corte (Cass. 8887/2020) in tema di danno da perdita del rapporto parentale, valorizzando appieno l’aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori (Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019, 25988/2019), poiché la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l’aspetto più significativo del danno de quo.

Esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita – caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in pejus>.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA