Per dimostrare il peculato del medico che opera anche in intramoenia è necessario dimostrare che le somme da lui percepite non siano state corrisposte dai pazienti per prestazioni erogate nello studio privato

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 32689.2021, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di peculato commesso dal medico autorizzato anche a svolgere attività in regime di intramoenia.

La sentenza appare molto interessante perché traccia il perimetro punitivo della condotta illecita della norma incriminatrice, precisando che al fine di pervenire al giudizio di responsabilità per peculato è necessario che il giudice di merito accerti la qualifica pubblicistica o meno rivestita dall’esercente la professione sanitaria nel momento in cui ha percepito le somme dal paziente.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato, tratto  a giudizio nella qualità di medico primario presso due ospedali, era stato contestato il delitto di peculato., per aver omesso, nello svolgimento di attività libero professionale su autorizzazione della ASL presso un Centro Medico convenzionato con l’ospedale, di rilasciare le fatture relative alle prestazioni effettuate, o comunque indicando in fattura importi inferiori a quelli realmente riscossi, omettendo così di versare all’ente ospedaliero la prevista percentuale, appropriandosene indebitamente.

La Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, condannava il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte distrettuale, articolando due motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“A pagina 20 e 21 della sentenza, dopo aver richiamato quale argomentazioni in diritto un precedente di questa Corte secondo la quale commette il reato di peculato il medico che, nell’ambito dell’attività intramoenia, autorizzato alla riscossione dell’ onorario e al rilascio di fattura su apposito bollettario, si appropri delle relative somme, la Corte di appello spiega che nel caso di specie il ricorrente ha effettuato incassi non registrati «non rilasciando completamente ricevute, rilasciando ricevute non provenienti dall’apposito bollettario rilasciato dall’ ASP ma su ricevute informali del tipo acquistate in cartoleria, rappresentando ai clienti che se avessero voluto la ricevuta avrebbero dovuto pagare un prezzo maggiore, ecc. »

La Corte, però, non risolve un fondamentale argomento del giudice di primo grado, pur sintetizzato alla pagina 10 della sentenza di appello, ovvero che (OMISSIS) operava presso il proprio studio privato non solo quale professionista per conto della ASL ma svolgeva anche «una parallela attività economica sconosciuta all’ASL che per nulla aveva interferito sui titoli di possesso riconducibile agli introiti realizzati invece mediante il dovuto rilascio delle ricevute fiscali e l’utilizzazione del bollettari».

Proprio in riferimento alle modalità varie con le quali il ricorrente percepiva denaro non registrato, come rappresenta la Corte di appello, risulta la incertezza del ruolo da egli assunto, addetto all’incasso per conto della ASL o meno. Gli stessi casi citati alle pagine 21 e 22 sembrano rientrare principalmente nella attività «in nero» di cui ha riferito il Tribunale”.

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