Costituisce reato di molestie a mezzo del telefono l’invio di comunicazioni tramite messaggistica istantanea senza che rilevi la possibilità per il destinatario di bloccare il contatto.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 37974/2021, resa dalla Corte di Cassazione – Sezione I Penale che, pronunciatasi nell’ambito di un procedimento penale nel quale era stato contestato il reato di cui all’art. 660 cod. pen., si è sofferma sulla possibilità di ricondurre al tradizionale concetto del telefono punito dalla norma penale in parola anche le modalità di comunicazione asincrona legata all’uso delle nuove tecnologie.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto di aderire all’interpretazione ermeneutica secondo cui il criterio decisivo per sussumere una determinata modalità di comunicazione nel concetto di “mezzo del telefono”, non risiede nella modalità sincrona o asincrona della comunicazione, bensì nell’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario.

In applicazione di tale principio, secondo il Supremo Consesso, rientra nel raggio applicativo della  fattispecie incriminatrice anche la messaggistica vocale e scritta recapitata telematicamente, a mezzo messaggi Whatsapp, sms e posta elettronica, in ragione dell’invasività del mezzo impiegato (poiché la percezione uditiva delle notifiche o la lettura delle anteprime dei messaggi o delle email è sufficiente a recare la molestia), a nulla rilevando, ai fini della configurazione del reato, la possibilità per il destinatario di bloccare i contatti con lo smarthphone.

 

Il reato contestato e il giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il reato contravvenzionale di molestia o disturbo alle persone, per avere, con petulanza o altro biasimevole motivo, recato molestia o disturbo alla persona offesa mediante l’invio di numerosi messaggi sull’utenza cellulare.

Il GUP presso il Tribunale di Palermo, all’esito del giudizio abbreviato, condannava il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione contro la decisione di primo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta rigettando il ricorso nel resto.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

Sviluppando l’impostazione ermeneutica, seguita da Sez. 3, n. 28680 del 26/06/2004, Modena, Rv. 229464, secondo la quale quello che l’art. 660 cod. pen. ha voluto incriminare non è solo il messaggio molesto che il destinatario è costretto ad ascoltare per telefono, ma ogni messaggio che è costretto a percepire, sia de auditu che de visu, perché entrambi i tipi di messaggio sono idonei a mettere a repentaglio la libertà e la tranquillità psichica del ricevente, la sentenza Ballarino è pervenuta alla conclusione, ritenuta conforme alla lettera e alla ratio della norma, che anche l’invio di un messaggio di posta elettronica può realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attività del destinatario, quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l’arrivo in forma petulante, con un’intensità tale da condizionare la tranquillità del ricevente. […]

Alla luce di tali condivisibili precisazioni, se ciò che rileva è il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata da parte del destinatario dell’avvertimento acustico che indica l’arrivo del messaggio, ma anche -va soggiunto- dalla percezione immediata e diretta del suo contenuto o di parte di esso, attraverso l’anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco, il distinguo tra messaggistica istantanea e messaggi di testo telefonici (sms) non ha più ragion d’essere, sia l’una che gli altri potendo realizzare in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente. […]

Ed allora, si può concludere che ciò che rileva è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione”.

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