Il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie che gravano sulla società espone l’amministratore a responsabilità penale per il reato di bancarotta fraudolenta per effetto di operazioni dolose.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 37450.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta per effetto di operazioni dolose, si sofferma sulla prova processuale che deve investire l’elemento soggettivo per poter affermare la penale responsabilità dell’imputato chiamato  a rispondere del reato previsto e punito dall’art. 223 comma 2 n.2) L.F.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, dando continuità ad un orientamento già consolidato, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui la bancarotta fraudolenta per effetto di operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale.

La prova dell’elemento psicologico del delitto fallimentare in parola può, quindi, ritenersi raggiunta quando ricorre il sistematico inadempimento alle obbligazioni tributarie che gravano sull’impresa collettiva, in quanto, per effetto della condotta omissiva, risulta prevedibile il dissesto della persona giuridica.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato,  tratto  a giudizio nella qualità di amministratore della fallita, era stato contestato, tra gli altri, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria per effetto di operazioni dolose ex art. 223 comma 2 n. 2) seconda parte della legge fallimentare, per aver sistematicamente omesso di pagare le imposte e i contributi previdenziali, così cagionando il dissesto della società.

La Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, confermava la condanna del prevenuto per il delitto ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame, limitatamente ad imputazioni diverse da quella oggetto del presente commento,  dichiarando nel reasto  inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“La difesa, inoltre, impropriamente confonde il concetto di preterintenzionalità con quello di colpa, omettendo di considerare come la fattispecie in esame sia punita esclusivamente a titolo di dolo: pacificamente, infatti, l’elemento soggettivo richiesto perché possa dirsi integrata l’ipotesi di cui al secondo comma, n. 2, seconda parte dell’art. 223 legge fallimentare, non è la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà che le operazioni – che si concretano in abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della società, e come tale, dolosi – diano o possano dare luogo alla decozione.

Quanto alla pronuncia di Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Tampino, Rv. 262207, occorre ripercorrerne il passaggio motivazionale per meglio comprenderne la valenza: “Nel ribadire l’accezione lata della locuzione ‘operazioni dolose’ va precisato che a differenza delle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale c.d. impropria, nella specifica fattispecie in esame la nozione di ‘operazioni’ postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già, direttamente, dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (così Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247314).

Non è, del resto, revocabile in dubbio che, in mancanza di puntualizzazione normativa del relativo concetto, l’individuazione dell’essenza precipua della norma incriminatrice vada effettuata per esclusione rispetto ad altre ipotesi incriminatrici meglio definite o di più immediata percezione.

Così rispetto all’analoga, diversa, fattispecie prevista nello stesso capoverso dell’art. 223, al n. 2, ossia la causazione volontaria del fallimento, balza evidente che alla sostanziale identità, o possibile sovrapponibilità sul piano oggettivo, fa riscontro una netta divaricazione della componente soggettiva.

Infatti, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, configurabile come eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura ‘dolosa’ dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare.

Deve, infatti, reputarsi sufficiente, per la configurabilità del reato in questione la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società (Sez. 5, n. 17690 del 18.2.2010, rv. 247315)””.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA