Il decorso post-operatorio del pedone rimasto ferito a seguito di incidente stradale solo in casi eccezionali può costituire fattore sopravvenuto idoneo ad escludere il nesso causale tra la condotta imprudente dell’automobilista e la morte del paziente.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 38611.2021, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omicidio colposo contestato per violazione della disciplina sulla circolazione stradale, si sofferma sul tema dell’intervento dei sanitari e sulla conseguente evoluzione clinica del paziente quale possibile causa sopravvenuta di esclusione del nesso causale.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’evoluzione infausta della condizione clinica del pedone sopravvenuta all’incidente stradale, può elidere il nesso eziologico solo laddove abbia attivato un rischio nuovo, incommensurabile ed eccentrico rispetto a quello originario provocato dalla condotta colposa dell’agente.
Il reato contestato e il doppio grado di merito
Nel caso di specie l’imputata era stata tratta a giudizio per il delitto di omicidio colposo, per avere, con colpa generica ed in violazione delle norme sulla circolazione stradale, cagionato il decesso della vittima.
La Corte di appello di Roma riformava la sentenza resa dal Tribunale capitolino in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, confermando la penale responsabilità della prevenuta per il reato ascrittole.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.
Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la deduzione della violazione di legge in riferimento agli artt. 40 – 41 c.p..
Invero, secondo la difesa della ricorrente, la pregressa patologia ipocinetica da cui era affetta la vittima, determinata dal mancato rispetto da parte della paziente delle prescrizioni dei medici curanti, ha rappresentato fattore eccezionale ed imprevedibile idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta dell’automobilista e l’evento morte sopraggiunto a distanza di tempo rispetto al sinistro.
La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“Secondo il costante indirizzo espresso in materia dalla Corte regolatrice, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente ed anche quei fattori sopravvenuti che realizzino una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Rv. 271846; Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Rv. 269976; Sez. 4, n. 42502 del 25/09/2009, Rv. 245460).
Al di fuori di tali ipotesi eventuali altri fattori avranno un ruolo concausale, non suscettibile di elidere il legame tra condotta ed evento. L’interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento può configurarsi solo quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo, incommensurabile e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (Sez. 4, n. 3312 del 02/12/2016, dep. 2017, Rv. 269001; Sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016, Rv. 266786); ma ciò non può affermarsi quando, come nella specie, l’eventuale comportamento negligente di un terzo soggetto trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (Sez. 4, n. 18800 del 13/04/2016, Rv. 267255).
Alla luce di tale quadro giurisprudenziale, deve escludersi che la condotta della paziente possa costituire un fattore eziologico avente portata interruttiva del nesso e che possa essere qualificata come causa sopravvenuta integrante un rischio eccentrico ed avulso da quello originariamente introdotto dalla condotta colposa della ricorrente.
La Corte capitolina, d’altronde, ha accuratamente motivato la propria adesione alle conclusioni dei periti e dei consulenti del Pubblico Ministero, i quali hanno dato ampiamente conto della correttezza dell’operato dei sanitari nella diagnosi, nell’esecuzione dell’intervento chirurgico e nelle successive cure riabilitative”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA