Concorrono nel reato di frode fiscale i dipendenti dello studio commerciale che coadiuvano tecnicamente i clienti nella realizzazione del meccanismo fraudolento diretto ad evadere le imposte.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 38444/2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, si sofferma sul concorso nel reato dei dipendenti dello studio professionale cui era stata affidata la gestione contabile di alcuni clienti beneficiari della frode fiscale.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale concorrono nel reato tributario commesso dal cliente i dipendenti dello studio professionale che forniscono specifiche indicazioni contabili volte a consentirne l’evasione delle imposte mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti, nella consapevolezza di apportare un contributo alla realizzazione del meccanismo fraudolento.
I reati contestati e il doppio giudizio di merito
Agli imputati, tratti a giudizio nella loro qualità di addetti presso lo studio commerciale, erano stati addebitati, il concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (ex artt. 110 c.p. e 2 d.lgs. 74/2000), nonché di associazione a delinquere in riferimento al medesimo reato di frode fiscale.
La Corte di appello di Firenze, in riforma parziale della sentenza resa dal locale Tribunale all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava l’estinzione di alcuni dei reati contestati per intervenuta prescrizione e confermava nel resto le condanne inflitte ai prevenuti.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
I giudicabili, per il tramite dei rispettivi difensori, proponevano distinti ricorsi per cassazione contro la decisione della Corte distrettuale
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento con i quali la Cassazione ha validato la motivazione della sentenza impugnata perché adeguata e non manifestamente illogica in ordine all’affermazione della penale responsabilità degli imputati:
“Con specifico riferimento alla posizione della (OMISSIS) la sentenza impugnata evidenzia come i prospetti dalla stessa predisposti, […] venissero inviati con la dizione “fatture da ricevere”, manifestando la consapevolezza che si trattava di fatture che non corrispondevano a costi realmente sostenuti, ma a costi che si sarebbero dovuti indicare nelle dichiarazioni dei redditi e che erano stati preventivamente dalla stessa calcolati. Aggiungono inoltre i giudici del gravame che in sede di perquisizione erano stati rinvenuti altri appunti redatti dalla ricorrente, il cui contenuto inequivoco viene anch’esso testualmente riportato.
Riguardo al (OMISSIS), inoltre, la Corte di appello, […] ha anche preso in considerazione il contenuto dei documenti rinvenuti a seguito di perquisizione — così come avvenuto per la (OMISSIS)— facendo rilevare come, in uno dei prospetti, fosse indicata la dicitura “fatturazione necessaria per il rientro” e come tali documenti venissero inviati almeno due mesi dopo il periodo a cui si riferivano, sicché era evidente che le fatture venivano emesse in data successiva a quella che vi veniva apposta”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA