Nessun indennizzo spetta al paziente infettato a seguito di emotrasfusione se la perizia attesta che non ha riportato danni funzionali rientranti in una delle infermità codificate dalla legge.

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 32937.2021, resa dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione Civile che, pronunciatasi su un caso di indennizzo del danno da epatite post-trasfusionale, si sofferma sul tema della rilevanza giuridico-economica del danno funzionale eziologicamente prodotto dal trattamento sanitario.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale il soggetto affetto da una patologia contratta a seguito di trasfusione con sangue infetto, non ha diritto ad ottenere l’indennizzo previsto dalla legge 210/92 qualora, in ragione dello stato di quiescenza della malattia, non presenti danni funzionali attuali tali da inficiarne la capacità di produzione reddituale.

Ciò perché la legge n.210/92 accorda il diritto al risarcimento del danno derivante dall’emotrasfusione a coloro che presentino danni irreversibili inquadrabili in una delle infermità classificate nella tabella A di cui al d.P.R. 834/1981, non ricorrenti nel caso di specie sulla scorta dell’accertamento peritale condotto dai consulenti tecnici di ufficio.

 

La domanda di indennizzo e il giudizio di merito

Nel caso di specie l’attore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Arezzo il Ministero della Salute, al fine di ottenere l’indennizzo ex legge 210/92 per il danno derivante dal contagio dal virus HCV a seguito di trasfusione con sangue infetto.

La Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda attorea, in ragione del difetto di una compromissione funzionale dell’integrità psico-fisica del richiedente accertato in corso di causa.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La parte attrice proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte distrettuale.

Il Ministero della salute resisteva in giudizio con controricorso.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La detta conclusione è del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 17158 del 24/06/2008, Rv. 603885 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1635 del 03/02/2012, Rv. 621108 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 8452 del 31/03/2017, Rv. 643791 – 01) che ha ripetutamente affermato che, in tema di indennizzo in favore di soggetti danneggiati da epatite post-trasfusionale, l’art. 1, comma 3, della I. n. 210 del 1992, letto unitamente al successivo art. 4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che l’indennizzo spetta a coloro che presentino danni irreversibili che possano inquadrarsi – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B, annessa al testo unico approvato con d.P.R. n. 915 del 1978, come sostituita dalla tabella A allegata al d.P.R. n. 834 del 1981.

Ne consegue che, ove il soggetto, portatore di lesioni permanenti dell’integrità psicofisica da contagio HCV, non presenti, in ragione dello stato di quiescenza della malattia, sintomi e pregiudizi funzionali attuali, che incidano sulla capacità di produzione reddituale, non spetta alcun indennizzo, in quanto l’infermità non rientra in alcuna delle categorie della menzionata tabella A.

Si è altresì precisato (Sez. U, Sentenza n. 8064 del 01/04/2010, Rv. 612172 – 01) che rientra nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure di assistenza sociale (art. 38 Cost.), la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell’autorità sanitaria”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA