Bancarotta fraudolenta documentale: il fine di pregiudicare i creditori mal si concilia con la manifesta volontà dell’imputato di dimettersi dalla carica gestoria in ragione di conflitti insorti con altro amministratore.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 44644.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta documentale “specifica”, si sofferma sul tema della prova i ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato fallimentare.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale è viziata da carenza di motivazione la sentenza della Corte territoriale che non esplicita adeguatamente le ragioni della ritenuta sussistenza del dolo specifico del reato fallimentare, allorché, come nel caso di specie, sia stata allegata e provata in giudizio dalla difesa, la volontà dell’amministratore della fallita di dimettersi dalla carica in ragione dei conflitti con altro amministratore dell’ente in merito alla gestione della società, trattandosi di circostanza che fa sorgere il dubbio circa la consapevole e volontaria scelta da parte dell’imputato di omettere la tenuta della contabilità allo scopo di pregiudicare le ragioni dei creditori.
Il reato contestato e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie, all’imputato tratto nella qualità di amministratore della società, era stato contestato il delitto di bancarotta fraudolenta documentale per aver omesso di tenere la contabilità della fallita, al fine di recare pregiudizio ai creditori.
La Corte di appello di Perugia, riformando parzialmente la sentenza di primo grado resa dal locale Tribunale in punto di determinazione delle pene accessorie, confermava la condanna inflitta al giudicabile per il reato ascrittogli.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte territoriale.
La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“Tale costruzione giuridica è conforme all’esegesi di questa Corte secondo la quale l’omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, Rv. 252992; la rilevanza ex art. 216 legge fall. dell’omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Rv. 271847 e in Sez. 5, n. 47923 del 23/9/2014, rv. 261040). Ne consegue l’infondatezza delle questioni poste dal ricorrente a proposito della riconducibilità della condotta omissiva alla sola fattispecie di cui all’art. 217 legge fall. […]
Ebbene, di fronte al dato incontestato — e riportato anche nella sentenza impugnata — che (OMISSIS) tentò di dimettersi dalla carica amministrativa convocando un’assemblea straordinaria e che vi erano conflitti con l’altro amministratore circa la gestione sociale, la motivazione della decisione avversata sviluppa argomentazioni apodittiche in ordine alla sussistenza del dolo specifico che non possono adeguatamente sostenere — di fronte alle precise doglianze dell’atto di appello — la conferma del giudizio di penale responsabilità.
Sarebbe stato necessario, infatti, esplorare il tema del coinvolgimento soggettivo del ricorrente nella scelta di omettere la tenuta della contabilità e, soprattutto, della volontà di frodare, attraverso detto escamotage, i creditori, finalizzazione la cui compatibilità con la condotta dell’imputato è fortemente messa in crisi dalla manifestata volontà di prendere le distanze dalla gestione sociale”.
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