L’autore delle condotte persecutorie risponde di stalking anche se la vittima sblocca l’accesso alla sua utenza telefonica ricevendo messaggi via Whatsapp.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 44628.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di atti persecutori commessi in danno della persona offesa anche mediante l’uso del noto sistema di messaggistica istantanea Whatsapp.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui il comportamento della persona offesa consistente nel bloccare l’utenza telefonica del persecutore, per poi successivamente sbloccarla, ridando così all’agente possibilità di inviare messaggi non graditi, è irrilevante ai fini dell’interruzione dell’abitualità del reato e della continuità delle condotte molestatrici, laddove queste, complessivamente valutate, risultino idonee a cagionare uno degli eventi alternativi previsti dalla fattispecie incriminatrice degli atti persecutori.
Il reato contestato e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il delitto di atti persecutori, previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., per aver inviato ripetuti messaggi via Whatsapp e posto in essere altre condotte molestatrici nei confronti di una donna con la quale aveva intrattenuto una relazione.
La Corte di appello di Bologna confermava la sentenza di condanna di primo grado resa all’esito del giudizio abbreviato.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano il passaggio tratto dalla trama argomentativa della pronuncia in disamina di interesse per il presente commento:
“È bene chiarire che la Corte di Cassazione ha elaborato il seguente principio di diritto: <Nel reato di atti persecutori, il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompe l’abitualità del reato, né inficia la continuità delle condotte, quando sussista l’oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall’art. 612-bis cod. pen.> (Sez. 5, n. 17240 del 20/01/2020 I, Rv. 279111; Sez. 5, n. 46165 del 26/09/2019, M., Rv. 277321)”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA