Bancarotta semplice da ritardo nella richiesta di fallimento:ai fini dell’integrazione del reato è necessario che la condotta sia connotata da colpa grave.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 44663.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento, si sofferma sul perimetro punitivo del reato fallimentare in parola.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, ai fini della configurazione della bancarotta semplice ex art. 217 comma 1 n. 4) legge fall., occorre accertare che la condotta di tardiva presentazione della richiesta di fallimento sia connotata da colpa grave, non potendo ritenersi presunto il coefficiente psicologico.

Inoltre, la tardiva richiesta deve aver cagionato un aggravamento del dissesto, da intendersi come situazione di squilibrio economico progressivo e ingravescente tale da provocare un incremento del pregiudizio per le ragioni creditorie.

I reati contestati

Nel caso di specie, agli imputati erano stati contestati i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

I prevenuti, per il tramite del comune difensore, proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado.

La Suprema Corte ha  annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Non solo: sarebbe stato altresì necessario verificare se tale ritardo fosse dovuto a colpa grave dell’organo amministrativo; la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, per l’integrazione della fattispecie, è richiesto tale coefficiente soggettivo, superando, così, le difficoltà interpretative legate all’ambiguità della norma, che vede l’indicazione della «altra colpa grave» dopo quella della mancata richiesta di fallimento, così apparentemente contrassegnando solo le condotte diverse da quella della mancata richiesta del fallimento in proprio; si è escluso, di contro, che tale coefficiente soggettivo sia insito nello stesso ritardo nella richiesta di fallimento in proprio, sì da non doverlo accertare aliunde, negandosi la sussistenza di una presunzione in tal senso (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, Rv. 272823; Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Rv. 257533).

L’omessa dichiarazione di fallimento, per essere rilevante ex art. 217, comma 1, n. 4), legge fall., avrebbe dovuto anche determinare un aggravamento del dissesto delle società, che è l’evento del reato. Come sancito da Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, Rv. 250934 (in motivazione), «per dissesto deve intendersi, non tanto una condizione di generico disordine dell’attività della società, quanto una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo ed ingravescente, che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire l’attività, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno che l’inevitabile, e non evitata, insolvenza finisce per procurare alla massa dei creditori»”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA