La Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale cautelare che sequestra l’intero importo pervenuto nella disponibilità del legale utilizzatore di carte di credito intestate ai clienti senza scomputare quanto legittimamente ricevuto dalle compagnie assicuratrici.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 45568.2021, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di indebito utilizzo o falsificazione di carte di credito o di pagamento, si sofferma sul tema della quantificazione del profitto di reato assoggettabile a sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo cui il profitto del reato da sottoporre a confisca, consistente nel vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dall’autore del reato, deve essere quantificato al netto del vantaggio economico conseguito dalla persona offesa, degli onorari professionali e dei legittimi compensi da retrocedere a terzi.
Il reato in provvisoria contestazione e la fase cautelare reale
Nel caso di specie al legale sottoposto ad indagine penale era stato provvisoriamente contestato il delitto di indebito utilizzo o falsificazione di carte di pagamento (previsto e punito dall’art. 493 ter c.p.), per aver attivato delle carte di pagamento – formalmente intestate ai clienti – sulle quali venivano fatti transitare i pagamenti eseguiti dalle compagnie assicuratrice a ristoro del danno patito dai suoi assistiti in favore dei quali veniva retrocessa solo una parte della somma dovuta.
Il Tribunale per il riesame di Pistoia confermava il decreto con il quale GIP in sede aveva assoggettato a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente le somme di denaro rinvenute nella disponibilità del prevenuto sul suo conto corrente considerate profitto del reato.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dal Tribunale della libertà, articolando plurimi motivi di impugnazione.
La Suprema Corte ha annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Pistoia per nuovo esame in punto di quantificazione delle somme costituenti profitto dei reati contestati.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“Orbene, dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che il tribunale ha argomentato -in forma certamente non apparente- in ordine alla indicazione della sussistenza di un profitto certo nella condotta tenuta dall’avvocato (OMISSIS), che attraverso lo strumento artificioso delle carte di debito (formalmente) altrui intestate, ma direttamente possedute ed utilizzate, è riuscito a lucrare la differenza tra quanto accreditato dalle compagnie di assicurazione a titolo di risarcimento in favore dei danneggiati e quanto effettivamente a costoro corrisposto, al netto -naturalmente- delle sue competenze professionali e di quanto dovuto ai consulenti medici.
Tale profitto, secondo una nozione non controversa, consiste nel vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U., n. 29951, del 24/5/2004, Rv. 228166; Sez. 5, n. 16008, del 12/2/2005, Rv. 263702; Sez. 2, n. 53650, del 5/10/2016, Rv. 268854). Inoltre, il punto devoluto relativamente alla dedotta “confusione” tra i concetti giuridici di prodotto e di profitto non risulta previamente sottoposto al tribunale del riesame, il che ne preclude l’analisi nella sede di legittimità per la evidente interruzione della catena devolutiva (Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Rv. 261029-01).
Ciò che, viceversa, certamente è apparente nell’argomentare del tribunale è la indicazione del quantum di profitto concretamente conseguito dall’avvocato (OMISSIS), che lo stesso tribunale, riconosciuta la equivocità dei dati rappresentati dagli atti di indagine compendiati nel decreto di sequestro preventivo, vorrebbe rimesso al giudizio di merito, pur mantenendo il sequestro a fini di confisca della somma indicata nel dispositivo del decreto impugnato.
Non è dubbio, infatti, che il profitto confiscabile, in via diretta o, in mancanza, per equivalente valore giacente sui conti correnti dell’indagato, va apprezzato al netto del vantaggio comunque reso o conseguito dalla persona offesa (Sez. 2, n. 8339, del 12/11/2013, Rv, 258787); come pure va nella fattispecie detratto il corrispettivo dovuto ai consulenti medici per l’opera professionale prestata.
Il calcolo della detta somma, in quanto elemento essenziale del provvedimento che sottrae alla disponibilità dell’indagato le somme in suo (presunto) legittimo possesso, va correttamente eseguito nella sede propria cautelare, dovendo altrimenti ritenersi che le somme siano state sequestrate senza titolo legittimo”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA