Reati tributari e misure cautelari reali: il sequestro preventivo delle somme di denaro rinvenute nel conto corrente della società va qualificato sempre come eseguito in forma diretta.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 45984/2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in sede cautelare reale su un caso di indebita compensazione, si sofferma sulla natura della confisca delle somme rinvenute sul conto corrente della società al momento della esecuzione della misura  ablatoria, facendo applicazione della recente sentenza resa dalle Sezioni Unite Penali.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto di applicare al caso di specie il principio di diritto recentemente elaborato dalle Sezioni unite, secondo il quale è possibile assoggettare a sequestro funzionale alla confisca diretta le somme di denaro rinvenute nel conto corrente della società fino alla concorrenza del valore del profitto del reato tributario consistente nel risparmio di imposta conseguito dalla persona giuridica, nella fattispecie per effetto della compensazione con somme inesistenza e/o non dovute.

 

Il reato in provvisoria contestazione e la fase cautelare reale di merito

Nel caso di specie, alla persona indagata nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società, veniva provvisoriamente ascritto il delitto di indebita compensazione, previsto e punito dall’art. 10 quater d.lgs. 74/2000.

Il Tribunale del riesame di Caltanissetta confermava il decreto con il quale il GIP in sede aveva disposto il sequestro preventivo in via diretta nei confronti della società beneficiaria del risparmio di imposta derivante dalla commissione del reato tributario, nonché il sequestro preventivo per equivalente dei beni nella disponibilità del prevenuto, fino alla concorrenza del valore del profitto del reato indicato nel provvedimento cautelare genetico.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà, deducendo, con un unico motivo di gravame, il vizio di motivazione con riferimento al sequestro diretto delle somme rinvenute nel conto corrente della società.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“In effetti, con la menzionata pronuncia questa Sezione ha ribadito il principio di diritto secondo cui “Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca in forma diretta del profitto derivante dal delitto di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commesso dall’amministratore di una persona giuridica, può avere ad oggetto il saldo attivo presente sul conto corrente sociale al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato – sul rilievo indiziario che le disponibilità monetarie si siano accresciute per il risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta -, restando onere della difesa allegare circostanze specifiche da cui desumere che, alla data di consumazione del reato, non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro sequestrato sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati successivamente a tale momento (Sez.3, n.23040 del 1/07/2020 – dep. 29/07/2020, Rv. 279827-01)”. […]

Sul punto, infatti, il Tribunale di Caltanissetta – a seguito di istanza di riesame successiva al nuovo sequestro preventivo disposto dall’A.G. – ha ritenuto di discostarsi dall’indirizzo giurisprudenziale richiamato dalla difesa, aderendo piuttosto all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in esito all’udienza del 27.05.2021, che, con riferimento alla questione di diritto sollevata dalla Sezione rimettente con ordinanza n.7021/2021, avente ad oggetto il quesito «se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito», hanno fornito la seguente soluzione: «qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente»”. (pag. 9 dell’ordinanza). […]

Il giudice estensore del provvedimento gravato ha infatti spiegato di aderire a tale principio di diritto in quanto “una diversa interpretazione della normativa de qua renderebbe, nei fatti, inapplicabile l’istituto del sequestro preventivo in via diretta nei confronti della persona giuridica beneficiaria del reato: producendo il reato tributario non già una nuova entrata, bensì una mancata spesa o, più precisamente, un “risparmio d’imposta”, è chiaro che qualsiasi somma presente sul conto corrente dell’ente alla data di consumazione del reato non potrà mai essere diretta derivazione della consumazione del reato, necessariamente derivando da altre fonti, magari lecite; non sarà mai possibile – in altri termini – rintracciare una voce positiva di “entrata” nel conto corrente di una società che sia direttamente derivata dal mancato pagamento dell’imposta, producendo, per l’appunto, quest’ultimo soltanto una mancata spesa.

Data la natura fungibile del denaro e la inevitabile confusione che con riguardo ad esso si determina, appare condivisibile l’impostazione (…) secondo la quale le somme presenti sul conto corrente della società beneficiaria del reato alla data di consumazione di quest’ultimo devono ritenersi suscettibili di sequestro preventivo in via diretta e ciò anche nell’ipotesi in cui se ne dimostri la provenienza lecita.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA