Rassegna giurisprudenziale aggiornata al mese di gennaio 2022 dei delitti contro l’amministrazione della giustizia ascrivibili all’esercente la professione sanitaria.

Nell’ambito dell’attività professionale svolta dal legale nell’interesse dei professionisti sanitari, nella quasi totalità dei casi l’attività defensionale viene svolta per l’assistenza nei procedimenti penali relativi ai reati colposi di evento, ossia lesioni colpose (art.590 c.p.) ed omicidio colposo (art.589 c.p.).

Tuttavia il perimetro della responsabilità penale non si esaurisce nell’alveo dei delitti contro la persona, potendo interessare altre fattispecie molte delle quali relative a reati che tutelano il bene giuridico protetto del buon funzionamento dell’amministrazione della giustizia.

Di seguito si riportano le ipotesi di reati che con maggiore frequenza possono interessare il medico ed il personale paramedico, dando evidenza alla singola norma incriminatrice corredata dalla più recente e significativa giurisprudenza di legittimità aggiornata al mese di gennaio 2022:

(i) art. 365 c.p. – omissione di referto;

(ii) art. 373 c.p. – falsa perizia o interpretazione;

(iii) art. 380 c.p. – patrocinio o consulenza infedele;

(iv) art. 381 c.p. – altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico.

Art 365 cod. pen. – Omissione di referto

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio [502 c.p.p.], omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a 516 euro [384; 334 c.p.p.].

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

 

Elemento oggettivo: omessa o ritardata comunicazione all’Autorità giudiziaria o alla Polizia giudiziaria di fatti che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto, nella consapevolezza dell’astratta configurabilità di un reato perseguibile d’ufficio.

Momento di consumazione: momento in cui sorge l’obbligo di redigere il referto.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale monocratico

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di omissione di referto:

Cassazione penale sez. VI, 14/10/2020, n.30456

In tema di omissione di referto, l’esercente una professione sanitaria che accerti l’aggravamento delle lesioni personali conseguenti ad un incidente stradale, tali da integrare il reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’art.590-bis cod.pen., ha l’obbligo di informarne l’autorità giudiziaria, a nulla rilevando che, sulla base di una precedente diagnosi, effettuata da un medico diverso, fosse stata indicata una prognosi meno grave, rispetto alla quale il reato sarebbe stato procedibile a querela.

 

Cassazione penale sez. VI, 30/09/2020, n.35785

La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria conseguente “ope legis” a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. (Fattispecie relativa al reato di omissione di referto necessariamente implicante la violazione del dovere d’ufficio da parte dell’agente).

 

Cassazione penale sez. VI, 03/10/2019, n.44620

In tema di omissione di referto, riveste la qualifica di esercente una professione sanitaria lo psicologo o psicoterapeuta ancorché operi nello svolgimento di un rapporto professionale di natura privatistica, con la conseguenza che, avuta notizia, nell’ambito dell’assistenza prestata, di fatti che possono presentare la caratteristiche di un delitto, egli è tenuto a riferirne all’autorità giudiziaria, salvo il caso in cui la segnalazione esponga la persona assistita a procedimento penale.

Cassazione penale sez. VI, 29/10/2013, n.51780

Nel reato di omissione di referto, l’obbligo di riferire si configura per la semplice possibilità che il fatto presenti i caratteri di un delitto perseguibile di ufficio, secondo un giudizio riferito al momento della prestazione sanitaria in relazione al caso concreto, a differenza di quanto ricorre per la fattispecie di omessa denuncia, dove rileva la sussistenza di elementi capaci di indurre una persona ragionevole a ravvisare l’apprezzabile probabilità dell’avvenuta commissione di un reato, posto che, nell’illecito previsto dall’art. 365 c.p., la comunicazione fornisce, per vicende riguardanti la persona, elementi tecnici di giudizio a pochissima distanza dalla commissione del fatto, insostituibili ai fini di un efficace svolgimento delle indagini e del rispetto dell’obbligo di esercitare l’azione penale; ne consegue che il sanitario è esentato dall’obbligo di referto solo quando abbia la certezza tecnica dell’insussistenza del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna di due medici i quali, in relazione al decesso di un minore, pur avendo riconosciuto l’errore diagnostico di un collega, avevano omesso il referto, ritenendo, sulla base di valutazioni probabilistiche ed approssimative, che l’evento letale fosse comunque inevitabile).

Cassazione penale sez. VI, 29/10/2013, n.51780

L’obbligo del referto, la cui omissione integra il reato di cui all’art. 365 c.p., sorge nel momento in cui il sanitario, prestando la propria opera, viene a trovarsi di fronte a un caso che può presentare i connotati di un delitto perseguibile di ufficio. A tal fine, occorre che il giudice accerti, tenendo conto della peculiarità del caso concreto e con valutazione “ex ante” (ossia riferita al momento della prestazione sanitaria), se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di teorica possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio. Mentre, dal punto di vista soggettivo, occorre il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere (o ritardare) il referto, nella consapevolezza, cioè, di trovarsi in presenza di fatti che, sia pure in astratto, possono presentare i caratteri del delitto perseguibile d’ufficio. In questa prospettiva il medico può legittimamente omettere il referto solo allorquando abbia la ragionevole convinzione, con la certezza tecnica, desumibile da elementi di fatto certi e obiettivi, dell’insussistenza del reato. (Nella fattispecie il reato è stato ravvisato a carico dei due sanitari che avevano proceduto a un riscontro diagnostico autoptico sul cadavere di un bambino, omettendo di fare denuncia e referto all’autorità giudiziaria, nonostante che dal riscontro autoptico erano emersi elementi per ritenere che il caso presentasse i caratteri del delitto di omicidio colposo, procedibile d’ufficio, a carico del sanitario che aveva prestato le cure al bambino allorquando era stato ricoverato in ospedale).

Cassazione civile sez. III, 26/03/2004, n.6051

 Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di omissione di referto (art. 365 c.p.), che è reato di pericolo e non di danno, occorre, oltre alla coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto da parte dell’esercente la professione sanitaria, che questi si trovi in presenza di fatti i quali presentino i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio; per verificare la configurabilità di tale reato, e della responsabilità anche civile che ne discende a carico del sanitario, occorre che il giudice accerti (come affermato dalle sezioni penali di questa corte, tra le altre, con sentenze n. 3447 e n. 9721 del 1998), con valutazione “ex ante” e tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di astratta possibilità, di omettere o ritardare il referto, rimanendo esclusa la configurabilità del dolo qualora dalle circostanze del caso concreto cui egli si trovi di fronte emerga la ragionevole probabilità che l’accadimento si sia verificato per cause naturali o accidentali, (Nella specie, 19 Corte suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del sanitario che non aveva sospeso l’autopsia per dare immediata notizia all’autorità giudiziaria, in quanto dalle circostanze di fatto non erano emersi elementi atti a far ritenere che la morte della paziente non fosse dovuta a cause naturali).

Cassazione penale sez. VI, 09/04/2001, n.18052

L’esonero del sanitario dall’obbligo di referto di cui al comma 2 dell’art. 365 c.p. è previsto solo per il caso in cui i fatti che si dovrebbero descrivere nel referto convergono nell’indicare il paziente quale autore del reato esponendolo a procedimento penale. (Fattispecie nella quale la Corte non ha ritenuto che il sanitario potesse esimersi dall’obbligo di referto nel caso di ricovero di un paziente per tossicosi acuta da assunzione di droga, in quanto l’ipotesi che l’assistito fosse egli stesso un trafficante non poteva essere direttamente collegata al referto ma solo all’esito di ulteriori indagini che dal referto potevano prendere solo spunto).

 

Art. 373 cod. pen. – Falsa perizia o interpretazione

Il perito [61 c.p.c.; 221 c.p.p.] o l’interprete [122-124 c.p.c.; 143 c.p.p.], che, nominato dall’Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente [375-377, 3841-2].

La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici [28], l’interdizione dalla professione o dall’arte [30].

 

Elemento oggettivo: la fattispecie incriminatrice prevede due tipologie di condotta:

(i) dare pareri o interpretazioni mendaci;

(ii) affermare fatti non conformi al vero.

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di dare pareri o interpretazioni mendaci, ovvero di affermare fatti non conformi al vero.

Momento di consumazione: momento in cui il perito o l’interprete conduce a termine la deposizione dinanzi all’Autorità giudiziaria.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale monocratico

Procedibilità: d’ufficio

 

La rassegna delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità:

Cassazione penale sez. VI, 10/11/2020, n.36534

In tema di istigazione o accordo per commettere un reato, la mera sollecitazione o l’accordo relativi al compimento di una falsa perizia non integrano il delitto previsto dall’art. 373 c.p., neanche nella forma tentata, in quanto riconducibili al disposto dell’art. 115 c.p. ove assenti atti concretamente volti a dare attuazione all’intento illecito. 

 

Cassazione penale sez. V, 13/01/2020, n.18521

Il consulente tecnico del pubblico ministero, sia per l’investitura ricevuta dal magistrato, sia per lo svolgimento di un incarico ausiliario all’esercizio della funzione giurisdizionale, assume la qualifica di pubblico ufficiale, con la conseguenza che per gli elaborati da lui redatti trova applicazione la previsione di cui all’art. 479, comma 1, c.p., dovendosi, invece, escludere la configurabilità del delitto di falsa perizia (art. 373 c.p.) dal momento che il predetto consulente non è equiparabile, nell’attuale sistema processuale, al perito nominato dal giudice. (In motivazione, la Corte ha, altresì, dichiarato manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost. relativamente all’applicazione al consulente tecnico dell’art. 479 c.p. piuttosto che dell’art. 373 c.p., configurabile nei confronti del perito, escludendo qualsiasi disparità di trattamento sia perché i due reati sono puniti con la medesima pena edittale nel massimo sia perché le due figure di esperti, nel codice di rito, hanno ruoli e funzioni non equiparabili).

Cassazione penale sez. VI, 29/01/2018, n. 5240

Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione il privato che risenta di un pregiudizio per il reato di falsa perizia di cui all’art. 373 cod. pen., trattandosi di una fattispecie incriminatrice lesiva esclusivamente dell’interesse della collettività al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria.

Cassazione penale sez. VI, 26/02/2016, n.12654

Il reato di falsa perizia sussiste, nel contesto di accertamenti valutativi, in presenza di un enunciato mendace riconducibile, sotto il profilo oggettivo, a canoni di certezza, in quanto non d’ufficio controvertibile, e, sotto il profilo soggettivo, ad una divergenza intenzionale tra il convincimento reale del consulente o del perito e quello manifestato nell’elaborato tecnico.

Cassazione penale sez. VI, 11/11/2015, n.48915

In tema di falsa perizia, nel contesto di accertamenti valutativi la presenza di difformi autorevoli pareri nonché l’adesione del giudice ad una stima diversa da quella prospettata dal consulente d’ufficio sono elementi atti a dimostrare che l’oggetto della perizia debba considerarsi obiettivamente controvertibile e difficilmente rapportabile alla certezza dello schema dettato dall’art. 373 cod. pen., salva una giustificazione attenta a raccordare la delicatezza del quesito offerto al perito e la certa infedeltà del risultato da questi reso.(Fattispecie relativa a consulenza avente ad oggetto l’accertamento del danno da mancato guadagno derivante da inadempimento precontrattuale).

Cassazione penale sez. VI, 11/06/2015, n.38307

Il privato che abbia subito pregiudizio dalla falsa perizia di cui all’art. 373 c.p., soccombendo nel processo civile, può, al più, considerarsi quale danneggiato dal reato anziché persona offesa legittimata, quando costituita parte civile, ad impugnare la sentenza penale sfavorevole.

 

Art. 380 c.p. – Patrocinio o consulenza infedele

Il patrocinatore [82 c.p.c.; 96-102 c.p.p.] o il consulente tecnico [201 c.p.c.; 225, 233 c.p.p.], che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria, o alla Corte penale internazionale è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a 516 euro.

La pena è aumentata [64]:

1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;

2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato [60, 61 c.p.p.].

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a 1.032 euro, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina [la pena di morte o] l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni [383].

Elemento oggettivo: causazione di un nocumento alla parte assistita derivante dalla condotta del professionista che si renda infedele ai doveri professionali connessi alla funzione di consulente tecnico.

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di rendersi infedele ai propri doveri professionali in modo da cagionare un danno alla parte assistita.

Momento di consumazione: causazione di un nocumento alla parte offesa.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale monocratico

Procedibilità: d’ufficio

La rassegna delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità:

Cassazione penale sez. VI, 30/03/2017, n.29783

Il reato di patrocinio o consulenza infedele di cui all’art. 380 cod. pen. sanziona la condotta del patrocinatore che, infedele ai suoi doveri professionali, arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa (assistita o rappresentata) dinanzi all’autorità giudiziaria per cui essa non può trovare applicazione qualora la condotta si riferisca ad attività poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del reato con riferimento alla condotta tenuta dal legale nel corso della procedura di conciliazione davanti all’Ispettorato del lavoro).

 

Cassazione penale sez. V, 03/02/2017, n.22978

Ai fini della integrazione del delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 cod. pen.) è necessario che si verifichi un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l’evento del reato, inteso non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale. (Fattispecie in cui la condotta del professionista aveva determinato un allungamento dei tempi del processo penale, conclusosi con esito negativo per la persona offesa patrocinata).

 

Art. 318 c.p. – Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico

Il patrocinatore [82 c.p.c.; 96-102 c.p.p.] o il consulente tecnico [201 c.p.c.; 225, 233 c.p.p.], che, in un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a 103 euro [383].

La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da 51 euro a 516 euro, se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

 

Elemento oggettivo: la norma penale incrimina due condotte: la contemporanea prestazione di consulenza tecnica a favore di parti contrarie nell’ambito di un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria (comma 1); l’assunzione della consulenza tecnica di una parte dopo aver assistito la parte avversaria e senza il consenso di questa (comma 2).

Elemento soggettivo: dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di prestare consulenza tecnica favore di parti contrarie nell’ambito di un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria.

Momento di consumazione: momento in cui il consulente tecnico assume l’incarico di assistere la parte avversaria.

Prescrizione: 6 anni

Competenza: Tribunale monocratico

Procedibilità: d’ufficio

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