Risponde del reato tributario nella forma aggravata ex art. 13 bis d.lgs. 74/2000 il consulente aziendale che non risulta né abilitato, né iscritto all’albo professionale degli avvocati o dei dottori commercialisti.

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 47436.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in sede di cautela reale in materia di reati tributari e trasmessa all’Ufficio del Massimario per l’annotazione del principio di diritto in essa enunciato.

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale la circostanza aggravante prevista dall’art. 13 bis d.lgs. 74/2000, in assenza di specificazioni normative in ordine alla nozione di “professionista”, si applica al fatto commesso da qualunque professionista, anche non iscritto ad albi professionali e privo di abilitazione, che svolga attività di consulenza fiscale.

 

I reati provvisoriamente contestati e la fase cautelare reale di merito

Nel caso di specie agli indagati erano rispettivamente ascritti in via provvisoria il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari e i delitti di frode fiscale e indebita compensazione, entrambi nella forma aggravata per aver commesso il fatto nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale.

Il Tribunale del riesame di Napoli confermava l’ordinanza con la quale il GIP in sede aveva disposto nei confronti dei prevenuti, rispettivamente, le misure cautelari personali della custodia in carcere e degli arresti domiciliari.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

I giudicabili proponevano separatamente ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Tribunale della libertà denunciando, per quanto qui di interesse, la insussistenza dell’aggravante ex art.13 bis d.lgs 74/2000 per carenza della qualità personale prevista dalla norma predetta.

La Suprema Corte rigetta i ricorsi.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Ad avviso del Collegio, il dato normativo, per la configurabilità dell’aggravante, non si limita a richiedere che il fatto di reato sia commesso «nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale», ma esige anche che questa sia «svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario». […]

Ciò posto, tuttavia, la nozione di «professionista» è impiegata in termini generali senza evocare una particolare professione, e quindi può essere riferita a qualunque attività professionale che legittimamente si occupi di consulenza fiscale.

In questo senso, in effetti, si è espressa la giurisprudenza penale di legittimità, allorché, pronunciandosi in tema di applicazione dell’aggravante di cui all’art. 13- bis, comma 3, d.lgs. n. 74 del 2000, ha affermato che è doveroso «attribuire alla nozione più generale di professionista, in assenza di richiami specifici, un significato sostanziale, ricomprendendovi cioè chiunque svolga attività di consulenza fiscale nell’esercizio della sua professione (dunque commercialisti, avvocati, consulenti e così via)» (così Sez. 3, n. 36212 del 03/04/2019, massimata per altro, in motivazione). […]

Di conseguenza, «professionista» che svolge attività di consulenza fiscale, e che rileva ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74 del 2000, può essere anche colui che non è iscritto in un albo e non è provvisto di specifica abilitazione.

E del resto, che vi siano professioni intellettuali per l’esercizio delle quali non è necessaria l’iscrizione in un albo risulta espressamente dagli artt. 2229 e 2231 cod. civ.

Ne discende che anche il consulente aziendale, pur se non iscritto in uno specifico albo, qualora svolga professionalmente la sua attività, è qualificabile come «professionista» a norma della disposizione appena citata”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA