Ai fini dell’accertamento del superamento della soglia di punibilità del reato di dichiarazione infedele, con riferimento alle imposte dirette, devono essere considerati i costi realmente sostenuti.

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 471/2022, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di dichiarazione infedele, si sofferma sulle operazioni soggettivamente inesistenti.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, chiarisce la differenza che intercorre tra Iva e Ires, in base alla quale, con riferimento alle imposte indirette assumono rilevo dal punto di vista penale anche le operazioni solo soggettivamente inesistenti, poiché l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura è circostanza che influisce sulla determinazione dell’entità dell’imposta che l’acquirente può detrarre.

Diversamente, per le imposte dirette rilevano solo l’oggettiva inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture, ovvero la divergenza tra costi dichiarati e sostenuti.

 

Il reato contestato, il doppio giudizio di merito e il giudizio di rinvio

Nel caso di specie, all’imputato, tratto  a giudizio nella qualità di legale rappresentante dell’impresa collettiva, era contestato il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 d.lgs. n. 74/2000, per aver indicato nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto elementi passivi fittizi.

La Corte di appello Bergamo riformava parzialmente limitatamente al trattamento sanzionatorio la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato il prevenuto per il reato di frode fiscale ex art. 2 d.lgs. 74/2000, riqualificando il fatto ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 74/2000.

La Corte di Cassazione annullava con rinvio la suddetta pronuncia, ritenendo che il fatto potesse essere sussunto nella fattispecie di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, sempre che potessero ritenersi superate le soglie di punibilità.

La Corte di appello di Brescia, giudicando in sede di rinvio, riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Bergamo, riqualificando il reato originariamente ascritto (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 d.lgs. n. 74/2000), come dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 d.lgs. 74/2000.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte distrettuale in funzione di giudice del rinvio.

Il ricorrente deduceva, con un unico motivo di gravame, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al superamento delle soglie di punibilità del reato di dichiarazione infedele con riferimento all’imposta diretta evasa, non essendo stati computati i costi che, seppur relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, erano stati effettivamente sostenuti dall’impresa.

La Suprema Corte  ha annullato la sentenza impugnata per essere  il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’IVA non assume rilievo che ci si trovi in presenza di operazioni ‘solo’ soggettivamente inesistenti perché l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è infatti circostanza indifferente ai fini dell’iva, dal momento che la qualità dei venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre, fondandosi il sistema dell’Iva sul presupposto che tale imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili, non entrando nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, per cui esporre dati fittizi anche solo soggettivamente significa creare le premesse per un rimborso al quale non si ha diritto (cfr. Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272814 e Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, Rv. 246327).

Per le imposte dirette, invece, assume rilievo la sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti. Tanto implica che i costi realmente sostenuti devono essere considerati ai fini dell’accertamento del reato di cui alla lett. b) dell’art. 4 d.lgs. n. 74/2000.

Sul punto la Corte di appello ha considerato l’intero ammontare dei costi indicati in dichiarazione come fittizi, e pertanto ritenuto superata la soglia del dieci per cento degli elementi attivi indicati in dichiarazione. Ciò ha fatto, tuttavia, senza dare conto delle emergenze probatorie in base alle quali ha affermato che tutti i costi erano fittizi, nonostante il tema fosse stato specificamente devoluto sia con il motivo che lamentava la mancata analisi delle varie voci di costo sia con quello che censurava l’entità della pena inflitta sul presupposto che si sarebbe trattato di fittizietà soggettiva e non di fittizietà oggettiva. Di qui la non manifesta infondatezza del ricorso”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA