La relazione del curatore fallimentare è sempre ammissibile come prova documentale ed utilizzabile come fonte di prova nell’ambito dei procedimenti per i reati di bancarotta.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 2732.2022 depositata il 24.01.2022 resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, si sofferma sul valore probatorio della relazione del curatore fallimentare ai fini della affermazione di penale responsabilità dell’imputato che costituisce un tema spesso ricorrente nella difesa tecnica da svolgere per la difesa dei propri assistiti nei reati di bancarotta patrimoniale e documentale.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, confermando l’orientamento di legittimità già consolidato, ha espresso il principio di diritto secondo il quale le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono sempre ammissibili come prova documentale ed utilizzabili ai fini del decidere nell’ambito del processo penale, atteso che gli accertamenti svolti e le dichiarazioni ricevute costituiscono prove rilevanti al fine della ricostruzione delle vicende amministrative della società.

Il Supremo Consesso ha chiarito, altresì, che dal contegno poco collaborativo serbato dall’imputato durante lo svolgimento della procedura fallimentare dimostrato dal non aver fornito i richiesti chiarimenti alla curatela, possono desumersi elementi di prova dell’integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, atteso che la prova della condotta distrattiva può ricavarsi dalla mancata dimostrazione da parte del fallito della destinazione dei beni.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, in punto di trattamento sanzionatorio, confermava la condanna inflitta all’imputato tratto a giudizio per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione nella sua qualità di amministratore della società.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale, lamentando, per quanto qui di interesse, la incompletezza dell’attività svolta dal curatore fallimentare in ordine alla ricerca dei beni facenti parte del patrimonio sociale.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

(i) La utilizzabilità ed il valore probatorio della relazione ex art. 33 L.F..

“Ed invero, come è stato già condivisibilmente affermato da questa Corte, le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società (Sez. F, Sentenza n. 49132 del 26/07/2013, Rv. 257650, Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017 Ud., dep. 16/03/2018, Rv. 272664).

 

(ii) L’onere dell’imputato di indicazione alla curatela della destinazione impressa ai beni della società fallita.

E, quanto alla mancanza di giustificazioni da parte dell’imputato, va osservato che in ogni caso egli era tenuto, nella qualità rivestita, a fornire, quanto prima, al curatore, in sede fallimentare, tutte le delucidazioni e controdeduzioni del caso per consentire allo stesso di assolvere alle incombenze proprie della sua carica; e da tale omissione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sono desumibili elementi di valutazione ai fini della prova del reato di bancarotta patrimoniale; elementi di valutazione che rimangono tali di là della contestazione da parte della difesa, in sede penale, delle altre risultanze probatorie (nel caso di specie, peraltro, come detto, generica); sicché rimanendo nel caso di specie, oltre il resto, comunque il fatto, opportunamente, valorizzato dai giudici di merito, che l’imputato non ha giammai reso spiegazioni riguardo alla somma in questione, deve concludersi che correttamente la corte territoriale abbia confermato la pronuncia di primo grado.

Ed invero, l’impostazione seguita dalla corte territoriale appare conforme all’indirizzo consolidato secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204 – 01; Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Rv. 267710 – 01)”.

 By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA