La Cassazione precisa che il reato di cui all’art. 437 c.p. si configura sempre quando la rimozione o l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro mette a repentaglio l’incolumità di una platea indeterminata di soggetti

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 2547.2022, resa dalla I Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in sede cautelare su una contestazione provvisoria di rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, si sofferma sul perimetro punitivo del delitto contro l’incolumità pubblica.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha espresso il principio di diritto secondo il quale il delitto previsto dall’art. 437 c.p. si configura laddove la condotta incriminata si inserisca nell’ambito di un contesto lavorativo nel quale la mancanza o insufficienza dei presidi antinfortunistici risulti astrattamente idonea a pregiudicare l’incolumità di un numero indeterminato di soggetti.

Il Supremo Consesso aderisce dunque all’orientamento maggiormente accreditato, che si contrappone a quello minoritario secondo cui il reato in considerazione sarebbe integrato anche dalla condotta di rimozione o omissione dolosa di cautele che abbia posto a repentaglio l’incolumità di singoli lavoratori.

 

Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare personale di merito

Nel caso di specie, all’indagato era stato provvisoriamente addebitato il delitto di rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro – previsto e punito dall’art. 437 co. 2 c.p., per aver realizzato, in qualità di legale rappresentante della società, numerose violazioni in materia di sicurezza sul lavoro potenzialmente pericolose per l’incolumità degli operai addetti al cantiere.

Il Tribunale del riesame di Potenza, in accoglimento dell’appello proposto dal prevenuto, annullava il provvedimento con il quale il GIP presso il Tribunale di Lagonegro aveva applicato la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare determinate funzioni all’interno di imprese in danno dell’amministratore della società affidataria dell’appalto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lagonegro proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà denunciando vizio di legge, sollecitando la rivalutazione della condotta alla stregua dell’orientamento dominante.

La Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La giurisprudenza di legittimità, chiamata ad enucleare le condizioni al cui cospetto è possibile configurare il delitto de quo agitur, ha affermato che «Ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 cod. pen., è necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo» (Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, Rv. 233826).

Tale indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, deve essere preferito — in ossequio, peraltro, alla prospettiva delineata nell’ordinanza impugnata — a quello, che pure ha trovato eco, ancora in tempi non remoti, presso la Corte di cassazione, che riconosce penale rilevanza anche alle condotte che, attraverso la violazione della normativa prevenzionale, abbiano messo a repentaglio l’incolumità di un singolo lavoratore (Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, Rv. 236431). […]

L’indagine demandata all’ermeneuta deve essere, dunque, svolta sul piano della potenziale offensività del comportamento irrispettoso della normativa prevenzionale — in chiave, essenzialmente, di sua attitudine ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell’ambiente lavorativo — piuttosto che su quello della individuazione della platea dei soggetti materialmente coinvolti”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA