La Cassazione anticipa l’applicazione della disciplina del Codice della crisi di impresa e fa prevalere il sequestro preventivo penale sugli interessi dei creditori insinuati nella procedura concorsuale
Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 3575.2022 con la quale la III sezione penale della Suprema Corte, chiamata allo scrutinio di legittimità in sede cautelare reale, con una interessante sentenza, probabilmente anticipatoria dell’orientamento giurisprudenziale che si sedimenterà sulla questione giuridica in disamina a far data dall’entrata in vigore delle norme penali contenute nel Codice della crisi di impresa (16 maggio 2022 salvo ulteriori rinvii), ha ritenuto, anche alla luce delle disposizioni del Codice antimafia di far prevalere l’interesse dell’Erario alla ablazione penale del patrimonio della società fallita – quale profitto del reato tributario, rispetto a quello concorrente del ceto creditorio rappresentato dalla curatela fallimentare.
Le fasi del merito cautelare.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che il Tribunale per il riesame di Napoli aveva rigettato l’appello cautelare interposto dalla curatela fallimentare contro il provvedimento del Gip di rigetto dell’istanza di revoca del sequestro disposto per il reato di indebita compensazione eseguito sulla liquidità facente parte dell’attivo fallimentare.
La decisione della Cassazione ed il principio di diritto.
La curatela fallimentare interponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza del Collegio cautelare partenopeo richiamando l’orientamento di legittimità secondo il quale il sequestro preventivo disposto per reati tributari non può essere eseguito sui beni facenti parte della massa attiva del fallimento, risultando, tra l’altro, la stessa Agenzia delle entrate creditore insinuato nella procedura concorsuale.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i più significativi passaggi estratti dal tessuto motivazionale della sentenza 3575/2022 che offrono una interpretazione sistematica della questione giuridica sottesa alla decisione esplicitando le ragioni che militano a sostegno della legittimità della misura cautelare reale sui beni del fallimento :”
“Quanto alla prima doglianza con la quale la ricorrente reclama la prevalenza della procedura fallimentare rispetto al sequestro preventivo penale adottato per finalità di confisca, ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., osserva il Collegio come il tribunale distrettuale – con specifico riferimento al caso, nella specie sussistente, in cui la dichiarazione di fallimento aveva preceduto l’applicazione di una misura cautelare reale – ha ritenuto di aderire all’indirizzo giurisprudenziale (ex multis, Sez. 3, n. 15776 del 2020, Fallimento Barter s.r.I., non mass.; Sez. 3, n. 23907 del 01/03/2016, Taurino, Rv. 266940 – 01; e, in parte, Sez. U, n. 29951 del 24/07/2004, Focarelli, Rv. 228165), in forza del quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale (concordato preventivo o fallimento), attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto tra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull’interesse dei creditori l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato.
Secondo questa impostazione, poi, le finalità del fallimento non sarebbero in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro, perché i diritti di credito dei terzi non sarebbero ricompresi nella clausola di esclusione di cui all’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’unico limite alla confiscabilità, secondo l’ambito di applicazione della norma richiamata, sarebbe rappresentato dalla “appartenenza” del bene a persona estranea al reato.
In particolare, sul tema dei rapporti tra procedura concorsuale e sequestro penale, l’impugnata ordinanza ha osservato come la giurisprudenza di legittimità sia orientata nel ritenere prevalente il sequestro, laddove quest’ultimo sia intervenuto prima della dichiarazione di fallimento della società, laddove il dissenso interpretativo investirebbe essenzialmente il caso in cui, come vicenda in esame, la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del sequestro.
A questo proposito, il tribunale cautelare, ripercorrendo la ratio decidendi di Sez. 3, n. 15776 del 2020, ha ricordato come la sequenza temporale tra i due vincoli non sia un aspetto di per sé dirimente per la soluzione della questione, e ciò in considerazione del differente ambito operativo intercorrente tra la procedura concorsuale e la misura cautelare reale.
Mentre, infatti, la prima è finalizzata a consentire la soddisfazione dei creditori dell’impresa che versi in stato di insolvenza, la seconda è volta a sottrarre alla disponibilità dell’indagato (o della persona giuridica che si sia giovata del risparmio fiscale derivante dalla realizzazione del reato tributario, traendo dall’evasione un ingiusto profitto, n.d.r.) i proventi di un determinato reato, per cui il problema, in caso di sovrapposizione dei due vincoli, non sarebbe tanto quello di stabilire quale sia stato apposto per primo, quanto piuttosto quello di valutare a quale delle diverse esigenze di tutela occorre assicurare preminenza e in che termini.
Questa costruzione teorica non sarebbe incrinata dal riconoscimento, in capo al curatore, della legittimazione all’impugnazione dei provvedimenti impositivi di cautele reali (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019, Curatela fall. Mantova petroli, Rv. 277257), in quanto tale riconoscimento, diversamente da quanto opina il ricorrente, non vale ad alterare l’assetto dei rapporti tra procedura fallimentare e sequestro preventivo finalizzato alla confisca del prezzo o del profitto del reato, cosicché la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, da riconoscere sia alla confisca diretta che a quella per equivalente, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento, non potendosi attribuire ad essa, se intervenuta prima del sequestro, effetti preclusivi rispetto all’operatività della cautela reale disposta in linea con i requisiti di legge, e ciò a maggior ragione nell’ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari, quale strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato.
Unico limite all’operatività della confisca diretta o per equivalente, per come desumibile dal tenore letterale dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, è, dunque, soltanto l’eventuale appartenenza del bene a persona estranea al reato.
Ciò comporta la necessità di un’attenta verifica da parte del giudice di merito, volta, nel solco interpretativo tracciato dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland s.p.a., Rv. 263681 – 01), ad accertare l’eventuale titolarità o meno di diritti dei terzi, e, in caso positivo, le modalità dell’acquisizione del diritto, ciò al fine di valutarne la buona fede.
L’esigenza di tale verifica assume una particolare pregnanza proprio nell’ambito delle procedure concorsuali, dovendosi in questo ambito scrutinare con particolare rigore, soprattutto in presenza di un attivo fallimentare, l’esistenza della somma oggetto della cautela reale e la possibile coesistenza, ove dedotta dal curatore, di diritti di proprietà concernenti gli stessi beni sottoposti a sequestro. Se è vero, infatti, che il sequestro penale è destinato a prevalere sugli interessi dei creditori all’integrale salvaguardia dell’attivo fallimentare, è tuttavia altrettanto innegabile che, sul piano pratico, è indispensabile circoscrivere compiutamente l’entità del profitto confiscabile, consentendo di soddisfare le preminenti ragioni di tutela penale, senza però arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie, e tanto soprattutto laddove l’attivo fallimentare sia costituito da somme di denaro.
In tema di reati tributari, poi, resta ferma l’esigenza di valutare anche se l’Erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate dal contribuente, ciò al fine di evitare un’indebita locupletazione da parte del Fisco, tenuto conto che, ai sensi del secondo comma dell’art. 12-bis, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro (così, quasi testualmente, Sez. 3, n. 15776 del 2020, cit., in motiv.).
Il Collegio cautelare ha fatto buon governo di tali principi ed ha anche aggiunto come il precedente approdo risulti corroborato dalle previsioni ex d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, avuto particolare riguardo alle modifiche introdotte dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161 agli artt. 63 e 64 del c.d. “codice antimafia”, dove è stata sancita la prevalenza del sequestro di prevenzione rispetto alle procedure concorsuali, sottolineando come anche il nuovo Codice della crisi dell’impresa, sebbene composto da molteplici disposizioni di cui è stata differita la vigenza, contenga norme, la cui entrata in vigore è stata appunto differita e poi prorogata, con le quali sono stati regolati i rapporti tra sequestro penale e procedure concorsuali, stabilendo il medesimo principio di prevalenza, fissato nella materia delle misure di prevenzione, del sequestro finalizzato alla confisca rispetto ai beni vincolati nel seno delle procedure concorsuali..
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA