Bancarotta distrattiva per l’amministratore che non dimostra in giudizio la sua completa estraneità alla gestione della società fallita

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 7548.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi in ordine ad una imputazione per più fatti di bancarotta – patrimoniale e documentale –  ascritti al legale rappresentante di una società di capitali, ha ritenuto di confermare la decisione dei giudici di merito che avevano giudicato l’imputato responsabile dei reati fallimentari a lui ascritti per aver agito, quanto meno, con dolo eventuale, violando gli obblighi di controllo che la legge pone a carico dell’organo gestorio, non avendo fornito nella sede processuale la  propria, totale estraneità alla gestione della persona giuridica, gestita da un parente – dominus occulto.    

 

L’imputazione ed il  doppio grado di merito.

Secondo l’editto accusato formulato dalla Procura romana con la richiesta di rinvio a giudizio, l’imputato era stato incolpato sia di condotta di distrazione ed occultamento di beni della società, rappresentati da immobilizzazioni materiali rimanenze di merci e somme di denaro, sia aver sottratto libri e delle altre scritture contabili  con modalità tali da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, riduceva  le pene accessorie e confermava la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223,comma 1, I. fall. e al delitto di cui agli artt. artt. 216, comma 1, n. 2 e 223, comma 1, I. fall.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputata articolando plurimi motivi di impugnazione, impingenti, per quanto di  interesse per il presente commento, anche il tema della insussistenza di penale responsabilità dell’imputato perché estraneo alla gestione della società.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riportano i più significativi passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento:

Quanto al primo motivo del ricorso, che investe la sussistenza degli elementi costitutivi delle vicende delittuose contestate e la motivazione della pronuncia, la Corte territoriale ha puntualmente spiegato le ragioni delle sue determinazioni in ordine alla conferma della decisione di primo grado sia quanto alla distrazione ed all’occultamento dei beni della società, sia quanto alla sottrazione dei libri e delle scritture contabili.

I giudici d’appello, riprendendo e condividendo le ragioni sottese alla motivazione del giudice di prime cure, hanno sottolineato, in primo luogo, l’irrilevanza del periodo di detenzione patito dal[omissis]in relazione al ruolo di amministratore unico svolto nella compagine sociale, a fronte anche dei riscontri documentali, sottolineando, in primo luogo, non solo la non continuità della detenzione, ma anche la circostanza che [omissis] non ebbe mai a disconoscere l’autenticità delle sottoscrizioni né, tantomeno, a denunciarne la falsità e, in secondo luogo, la non incidenza di un’eventuale escussione di testi sul punto, atteso che, dalle emergenze istruttorie era risultata l’assenza di contatti concreti tra l’imputato e i medesimi dei quali, in ogni caso, non era stata evidenziata la provenienza del ruolo conoscitivo.

In tema di bancarotta fraudolenta distrattiva, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire.

A tal fine, è necessario, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali.

Se pur vero che tale consapevolezza non deve investire i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata e che non può essere desunta dal semplice fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore, tuttavia, nel caso di specie, la circostanza che il [omissis] abbia accettato il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome non può desumersi, come pretende la difesa, né dall’aiuto offertogli dallo zio durante i periodi di detenzione, né dalla detenzione stessa, circostanze affatto incompatibili con la possibilità di procedere alla apposizione di firme, peraltro, si ribadisce, mai disconosciute né denunciate come false, e all’espletamento della funzione.

Il motivo di ricorso non supera, pertanto, le obiezioni del giudice di appello che, con motivazione logica e congrua, ha ritenuto non necessaria l’assunzione delle testimonianze e la verifica di autenticità delle firme ai fini della prova della responsabilità dell’imputato in ordine ai delitti di bancarotta a lui ascritti, anche a fronte della circostanza che il [omissis] non si determinò mai a formulare le dimissioni dal ruolo ricoperto, né a cedere le quote societarie.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA