Omessa dichiarazione: nella ricostruzione dell’imposta indiretta evasa il costo Iva richiede necessariamente la produzione in giudizio della fattura passiva

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 9982.2022, depositata il 23.03.2022, resa dalla Sezione terza sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi in ordine ad una imputazione di omessa dichiarazione, ha affrontato uno dei temi centrali sui quali si concentra  la difesa tecnica del predetto reato tributario, vale a dire la allegazione e la prova conforme dell’esistenza di costi che il giudice penale, disattendendo la ricostruzione compiuta dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate sulla quale si fonda l’editto accusatorio, può considerare al fine di escludere (o quanto meno rimodulare in senso favorevole all’imputato)  il superamento della soglia di punibilità, attualmente fissata in € 50.000 per le imposte dirette ed indirette.

La sentenza in disamina a parere di chi scrive appare particolarmente interessante per il passaggio giuridico riferito alla prova del computo del costo dell’Iva passiva.

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della sentenza resa dal Tribunale di Avezzano con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

Secondo l’incolpazione elevata con la richiesta di rinvio a giudizio il giudicabile, quale amministratore di una società di capitali, al fine di evadere le imposte sui redditi e quelle sul valore aggiunto, ometteva di presentare le dichiarazioni Ires e Iva per l’anno 2011, pur avendo realizzato nello stesso periodo di imposta un volume d’affari di euro1.237.970,00, così evadendo imposte per euro 97.821,00 per l’Ires ed euro250.793,00 per l’Iva, superiori alle soglie di legge.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione, denunciando vizio di legge e di motivazione in ordine al calcolo dei costi ai fini Iva ed Ires che, se correttamente considerati con l’acquisizione delle fatture presso le società emittenti il documento fiscale, avrebbero consentivo di escludere la antigiuridicità penale del fatto.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Di seguito si riporta il passaggio estratto dalla trama argomentativa della sentenza in commento di interesse per il presente commento:

Considerazioni analoghe possono essere svolte a proposito del terzo motivo, mediante il quale, prospettando una violazione degli artt. 5 d.lgs.74/2000 e 23 d.P.R. 633/72, si contesta nuovamente la determinazione della base imponibile e dell’imposta evasa che ne deriva, lamentando ancora la mancata considerazione di tutti i costi risultanti dalla contabilità, la cui effettività avrebbe potuto essere accertata mediante controlli incrociati in ambito Iva (cioè, anche se ciò non è stato chiaramente esposto, nei confronti degli emittenti le fatture passive annotate nella contabilità dell’impresa amministrata dal ricorrente ma non rinvenute).

Ora, a prescindere dalla genericità di tale censura, che consiste nella mera allegazione della omissione di tale verifica, disgiunta dalla analisi dei costi che sarebbero stati indebitamente tralasciati, essa tende a criticare un accertamento di fatto, in ordine alla effettività dei costi e alla loro effettiva incidenza, che, come evidenziato, è stato adeguatamente motivato dai giudici di merito, sulla base di quanto emerso dall’istruttoria svolta e applicando correttamente i criteri da seguire nella determinazione della base imponibile, posto che ai fini Iva possono essere considerate solamente le somme desumibili dalle fatture passive rinvenute (cfr. Sez. 3, n. 53980 del 16/07/2018, Tirozzi, Rv. 274564, secondo cui ai fini della configurabilità dei reati in materia di Iva, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati, mentre è possibile tenere conto di questi ultimi nelle ipotesi di reati concernenti le imposte dirette), non essendovi alcun obbligo a carico della amministrazione finanziaria di ricercarle presso gli emittenti (peraltro neppure indicati nel ricorso), con la conseguenza che i generici rilievi sollevati su tale punto risultano manifestamente infondati, alla luce della correttezza del criterio seguito dalla Agenzia delle Entrate e condiviso dai giudici di merito nella individuazione dell’imponibile Iva e nella determinazione della relativa imposta evasa”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA