La cancellazione della società dal Registro delle Imprese non estingue l’illecito ex d.lgs. 231/2001 accertato dai giudici di merito
Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 9006.2022, resa dalla Sezione quarta penale della Suprema corte che, pronunciatasi sul tema giuridico degli effetti che la cancellazione dell’impresa collettiva dal Registro delle Imprese produce sulla condanna inflitta alla persona giuridiche, mutando orientamento rispetto ad una precedente pronuncia (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019), ha statuito il principio di diritto secondo il quale: «la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato».
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte di appello di Bologna confermava integralmente la sentenza con la quale il Tribunale di Modena, all’esito del giudizio abbreviato, aveva riconosciuto gli imputati, tratti a giudizio in veste di legali rappresentanti di una società di capitali, responsabili del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica riportate da un operaio caduto a terra da una altezza superiore ai 2 mt.
Il primo giudice condannava, altresì, la società perché ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del d.Igs. 8 giugno 2001, n.231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., comminando la sanzione pecuniaria stimata di giustizia.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale interponevano ricorso per cassazione la difesa degli imputati e della società articolando plurimi motivi di impugnazione.
Nell’interesse della società con uno dei motivi di ricorso era stato denunciato vizio di legge stigmatizzando l’errore in cui era incorsa la Corte di appello che non aveva dichiarato estinto l’illecito amministrativo malgrado la cancellazione della società dal registro delle impresa – fatto pacifico e non contestato, richiamando il precedente giurisprudenziale di cui alla sentenza resa dalla Sez. 2, n.41082 del 10/09/2019.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratto dalla trama argomentativa della sentenza in commento di di maggiore interesse:
“Pur volendo prescindere dalle implicazioni pratiche, agevolmente intuibili, discendenti dalle estrema facilità di cancellazioni “di comodo” dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità per eventuali illeciti posti in essere nell’interesse o a vantaggio degli enti, e anche dalle difficoltà nell’accertamento «della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica”» (così alla p. 5 della richiamata motivazione di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019,Starco s.r.I.), a non persuadere è la giustificazione su cui poggia il riferito ragionamento, cioè il parallelo estinzione dell’ente / morte della persona fisica.
E’ agevole osservare, infatti, che la sezione II del capo II della legge n. 231del 2001 (artt. 28 e ss.) disciplina in maniera articolata le vicende trasformative dell’ente, prevedendo espressamente che in caso di trasformazione, fusione escissione resta ferma la responsabilità per gli illeciti commessi anteriormente alla data della trasformazione (art. 28), sicchè l’ente risultante dalla fusione risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione (art. 29),che in caso di scissione resta ferma la responsabilità dell’ente scisso per i reati commessi (art.30, comma 1), che gli enti beneficiari della scissione, anche solo parziale, sono obbligati in solido al pagamento delle sanzioni dovute dall’ente scisso (art. 30, comma 2) e che in caso di cessione dell’azienda il cessionario rimane solidalmente obbligato (art. 33). Inoltre, nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalle vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo nello stato in cui si trova (art.42).
Il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica. Ciò per una pluralità di motivi:
- a) in primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile;
- b) poi, perché quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come all’art. 8, comma 2, della legge n. 231 del 2001, allorchè ha disciplinato l’amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche, ed all’art. 67 della disciplina in esame, ove ha previsto la adozione di sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto; e quando la sanzione è estinta per prescrizione;
- e) inoltre, perché, essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa ed altro, Rv.263682), secondo cui «In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. Igs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorchè è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo;
- d) ancora, perché il richiamo che il difforme orientamento interpretativo opera all’art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2011 (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.I., cit., p. 4 della motivazione) trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma è solo «in quanto compatibili».
Alla stregua delle considerazioni svolte, deve ritenersi che l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporti che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dagli artt. 2493 e 2495, comma 3, cod. civ., disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell’attivo e l’azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci.
Né può trascurarsi che lo scioglimento della società, la cui nascita integra un contratto di durata, opera ex nunc: viene meno l’obbligo di esercitare l’impresa in comune ma non vengono meno – si noti – i rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa anteriormente allo scioglimento. Del resto, la liquidazione della società avviene mediante conversione in denaro del patrimonio sociale.
In conseguenza, il punto che viene – sì – introdotto ma non adeguatamente sviluppato nelle sue implicazioni nell’interpretazione dalla quale si dissente (Sez.2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.I., cit., pp. 4-5 della motivazione) e che invece risulta di decisiva importanza è che la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso.
Occorre, dunque, ad avviso del Collegio, affermare, in consapevole contrasto con il precedente di legittimità richiamato dalla s.r.l. ricorrente, il seguente principio di diritto:
«la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato».
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA