Solo la delega conferita ad un solo consigliere per la gestione degli aspetti tributari della società può escludere la responsabilità penale di tutti i componenti del CDA
Si segnala ai lettori del sito la recente sentenza numero 11087.2022, resa dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in materia cautelare su una incolpazione provvisoria di concorso in frode fiscale, ha validato la tesi giuridica promossa dai giudici del merito che avevano ritenuto estensibile la responsabilità per l’illecito tributario a tutti i membri del consiglio di amministrazione di una società per azioni, accerta l’assenza di delega conferita ad un singolo consigliere per la gestione degli aspetti fiscali tributari dell’impresa collettiva.
Il reato contestato e le fasi del merito cautelare.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che il Tribunale del riesame di Firenze confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in sede, impugnato dall’indagato nei confronti del quale era stata elevata provvisoria incolpazione per il reato cui all’art. 2, d.lgs. n.74 del 2000 che aveva l’esecuzione della misura cautelare reale l’unico immobile di sua proprietà, adibito peraltro ad abitazione.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
La difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. avverso la decisione della Collegio cautelare fiorentino articolando, per quanto di interesse per la presente nota, anche uno specifico motivo di impugnazione con il quale veniva censurato il capo dell’ordinanza impugnata che aveva ritenuto estensibile la responsabilità penale per il reato tributario a tutti i componenti del CDA in guisa tale da addebitare al ricorrente una sorta di responsabilità oggettiva.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:
“In relazione al primo motivo, occorre infatti premettere che l’art. 2392 cod. civ., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, secondo comma, cod. civ.
Dovendosi perciò distinguere l’ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano — salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’art. 2392 cod. civ. che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa- degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.
Diversa è invece l’ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite ad uno o più amministratori, nel qual caso gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati, salva in tal caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega, in conseguenza non già della posizione di garanzia sancita dall’art. 2392, primo comma, cod. civ., bensì per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava, anche a seguito della riforma legislativa attuata con il d.lgs. 6/2003, sui singoli amministratori in ordine all’andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative che pone su costoro, in presenza di segnali di allarme, l’onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.
Tutto ciò premesso, risulta affermato dall’ordinanza impugnata, senza che l’assunto sia stato fatto oggetto di alcuna specifica confutazione, che all’interno del consiglio di amministrazione del Consorzio, a nessuno dei consiglieri che ne erano parte fosse stata attribuita alcuna delega.
Muovendo da tale dato fattuale, le dissertazioni spese dalla difesa in ordine alla mancanza di un obbligo di vigilanza sui consiglieri privi di deleghe (come già avvenuto in sede di impugnazione proposta dalla [omissis], decisa da questa Sezione all’ud. 4.05.2021 e dianzi richiamata) devono ritenersi inconferenti, trattandosi di principi applicabili alla diversa ipotesi in cui vi sia stata attribuzione specifica di materie o compiti a taluni componenti del C.d.A: non vi è dubbio che la riforma del 2003 abbia alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe, responsabili verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie, quali stabilite dalla disciplina normativa, rimuovendo il generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione (già contemplato dall’art. 2392 c.c., comma 2) e sostituendolo con l’onere di agire informato, atteso il dovere nell’ottica di una gestione informata di assumere informazioni sancito dall’ultimo comma dell’art. 2381 cod. civ., accompagnato dal potere di richiedere ulteriori informazioni (cfr. Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 20933 del 30/09/2009, Rv. 610513), ma trattasi di disposizioni applicabili in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri.
Conseguentemente, come già avvenuto a proposito della coindagata [omissis], anche le dispiegate doglianze del [omissis], volte a sostenere che l’interpretazione adottata dall’ordinanza impugnata sia in contrasto con l’ordinamento vigente in cui le disposizioni incriminatrici in tema di diritto penale societario si svuotano di contenuto laddove rivolte a soggetti che non si identifichino in un amministratore delegato, non colgono nel segno posto che ad esse non si accompagna la deduzione, sulla quale soltanto avrebbe potuto fondarsi l’invocata assenza di responsabilità (peraltro da prospettarsi non già nell’incidente cautelare di legittimità), che ad altri consiglieri fossero state attribuite specifiche deleghe in materia, per quanto qui rileva, di adempimenti fiscali-tributari, limitandosi invece la difesa ad evidenziare che il [omissis] fosse privo di deleghe, circostanza questa già accertata dai giudici del riesame.
Invero, è solo per l’amministratore privo di delega che si pone il problema, quale necessario antecedente logico della posizione di garanzia, derivata dall’accettazione della carica in seno al consiglio di amministrazione, della “conoscibilità” delle determinazioni pregiudizievoli assunte dal o dai titolari della delega, occorrendo in tal caso segnare il limite operativo dell’art. 40, secondo comma, cod. pen. al fine di evitare di sovrapporlo ad una responsabilità di natura colposa, incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatrici, che configurando comportamenti modulati su consapevolezza dolosa, non consentono di addebitare all’autore di volontaria omissione, con argomentazione propria della colpa (e cioè con rimprovero di imperizia, o di negligenza, o di imprudenza), l’evento che egli ha l’obbligo giuridico di impedire.
Siffatti principi non hanno invece alcuna attinenza con il caso di specie, come in quello già esaminato in precedenza ed oggetto dell’impugnazione della [omissis].
Invero, in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione del Consorzio, deve (con giudizio rebus sic stantibus, proprio di questa fase cautelare) ritenersi gravante su tutti i consiglieri, come sopra rilevato, la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi.
I principi affermati nell’ordinanza impugnata sono perfettamente applicabili per i membri del consiglio di amministrazione di una società di capitali in assenza di deleghe su specifiche materie o attribuzioni concernenti la gestione della società.
Immuni da censure devono ritenersi conseguentemente i rilievi spesi dal Tribunale in ordine alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ. ricoperta dall’indagato che, proprio perché investito, al pari di ogni altro componente del consiglio di amministrazione, dei compiti di amministrazione diretta, aveva uno specifico obbligo di vigilanza, quand’anche di fatto le determinazioni sul conferimento dei sub-appalti e sui conseguenti obblighi tributari non fossero state da costui direttamente assunte, sull’andamento della gestione societaria o a titolo di dolo generico per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino”.
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