La responsabilità amministrativa dell’Ente non è esclusa dall’esiguo risparmio di spesa se il rischio di incidente previsto nel DVR non è stato prevenuto con l’adozione delle misure previste nel documento

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 13218.2022, depositata il 07.04.2022,  resa dalla quarta sezione penale della Suprema corte che, pronunciatasi in materia di responsabilità amministrativa dell’ente per un infortunio avvenuto sul lavoro nel caso di specie, ha statuito il principio di diritto della irrilevanza dell’entità del vantaggio economico conseguito dalla società.

Secondo il Collegio del diritto, ai sensi del d.lgs. 231/2000, deve  essere affermata la responsabilità della persona giuridica, se risulta accertato processualmente il dispregio delle misure  di prevenzione degli infortuni sul lavoro la cui verificazione era quanto meno possibile perché prevista dall’impresa con il Documento di Valutazione dei Rischi.

 

L’imputazione ed il  doppio grado di merito.

Il procedimento ha tratto origine da un infortunio sul lavoro occorso ad  un dipendente della società, mentre stava attraversando un piazzale adibito al deposito e alla movimentazione delle merci con mezzi meccanici e fu investito da un muletto in retromarcia condotto da un collega del primo.

Al legale rappresentante della società veniva contestato il reato colposo di evento aggravato dalle norme sulla sicurezza del lavoro ed alla società la responsabilità amministrativa scaturente dalla consumazione del reato presupposto.

La Corte di appello di Firenze confermava la sentenza di condanna resa dal locale tribunale nei confronti dell’imputato e dell’ente, entrambi tratti a giudizio.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale fiorentina interponevano ricorso per cassazione la difesa dell’imputato e quella della società condannata.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza di interesse per il presente commento:

Il ricorso è, invece, infondato nella parte in cui deduce il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’interesse quale criterio soggettivo di imputazione della responsabilità.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che tale criterio soggettivo di imputazione, debba essere indagato ex ante e consista nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato o meno concretamente raggiunto (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Espenhahn, Rv. 261114; Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 274320; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzetti, Rv. 268066).

Le sentenze di merito – che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei ripetuti richiami che la sentenza d’appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) – ricostruiscono con chiarezza il contesto nel quale l’infortunio si verificò.

Chiariscono che nel piazzale non era presente alcuna forma di segnaletica stradale.

Spiegano che il documento di valutazione del rischio, predisposto nel 2008, prevedeva espressamente la realizzazione di una segnaletica orizzontale volta a delimitare l’area adibita alla movimentazione dei mezzi, ma questa misura di prevenzione, che lo stesso datore di lavoro aveva individuato come doverosa, non fu mai attuata se non in epoca successiva all’infortunio.

Chiariscono inoltre che, in due occasioni (nel mese di agosto e nel mese di ottobre del 2013), il tecnico incaricato della manutenzione del muletto aveva segnalato la necessità di riparare o sostituire il “cicalino di retromarcia”, senza che nessuno provvedesse in tal senso.

Deducono da queste circostanze che le modalità organizzative adottate dal [imputato] – in particolare la scelta di non predisporre segnaletica orizzontale in un piazzale nel quale «erano accumulate grandi quantità di merci» e vi erano «numerosi spostamenti in contemporanea di uomini e mezzi» – erano «sicuramente molto meno dispendiose» e finalizzate quindi ad un risparmio di spesa.

Considerano perciò irrilevante che quel risparmio sia stato «esiguo» se raffrontato alle spese che ordinariamente la società sostiene per la manutenzione (documentate dalle schede contabili prodotte dal difensore dell’ente).

Non si tratta di una motivazione mancante o apparente come il ricorso sostiene né di una motivazione che non si confronta con i principi giurisprudenziali in materia di responsabilità degli enti.

Si deve ricordare infatti:
– che il “risparmio” per l’impresa, nel quale si concretizza il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 27557001; Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 27659603) e un tale risparmio si può realizzare anche consentendo lo spostamento simultaneo di uomini e mezzi senza delimitare le rispettive aree di azione;
– che il requisito della commissione del reato nell’interesse dell’ente non richiede una sistematica violazione di norme antinfortunistiche ed è ravvisabile anche in relazione a trasgressioni isolate se altre evidenze fattuali dimostrano il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 28077701; Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambrias.p.a.,Rv.27966001);
– che, nel caso in esame, la violazione delle norme in materia di prevenzione infortuni risulta essersi protratta nel tempo.

La circostanza che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antiinfortunistiche sia stato minimo a fronte delle spese ingenti che la società affronta per la manutenzione e la sicurezza, non assume rilievo nel caso concreto.

Non ha infatti applicazione generale il principio – recentemente affermato – secondo cui, «ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute», per poter affermare che il reato è stato realizzato nell’interesse dell’ente «è necessaria la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle della tutela dei lavoratori» (Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276).

Come emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza in parola, tale principio può operare soltanto «in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro» e in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare determinate cautele, «abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica». Può applicarsi, dunque, soltanto in situazioni nelle quali l’infortunio «sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori» e non quando, come nel caso di specie, quel rischio sia stato valutato esistente dallo stesso datore di lavoro, e le misure per prevenirlo, indicate nel documento di valutazione del rischio, siano state poi consapevolmente disattese per un lungo periodo” di tempo.
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