Per evitare la condanna per frode fiscale non è sufficiente sostenere che la fattura in contestazione non sia stata pagata perché segue il regime fiscale per competenza.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza di legittimità n.19302/2022 depositata il 17.05.2022 resa dalla Suprema Corte, sezione III Penale, che chiamata allo scrutinio di legittimità su una imputazione di frode fiscale per l’illecito utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, ha chiarito a quali condizioni è legittimo l’utilizzo in contabilità della fattura non saldata secondo il principio contabile cosiddetto “per competenza”.

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte d’appello di Caltanissetta confermava la decisione emessa dal Tribunale di Enna che aveva condannato l’imputato alla pena di giustizia, perché ritenuto responsabili del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, quale legale rappresentante e amministratore unico di una società di capitali esercente attività di impresa nel settore edilizio, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nella dichiarazione annuale  elementi fittizi passivi avvalendosi di una fattura di importi pari ad euro 500.000.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che all’esito degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza nel corso delle indagini preliminari, era emerso che a fronte della fattura elevata a sospetto ed oggetto di imputazione, la società utilizzatrice del documento fiscale emessa da altra società non aveva potuto fornire prova della esistenza né del contratto di appalto con l’ente pubblico appaltatore, né del pagamento dell’importo previsto come acconto sui lavori da svolgere.

 

La decisione della Corte di cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza della Corte territoriale la difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di impugnazione, deducendo, tra l’altro, l’insussistenza del reato in ragione della legittimità dell’utilizzo della fattura ai fini dell’abbattimento dell’imponibile Iva ed Ires.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riporta il passaggio estratto dalla parte motiva della sentenza in commento di maggiore interesse per la questione giuridica in commento ove vengono precisate le condizioni per l’utilizzo della fattura non ricorrenti nel caso di specie:

Nel replicare alle censure difensive sollevate con l’atto di appello, e qui riproposte, secondo cui, vigendo il principio di competenza, dell’imputato, era autorizzata ad utilizzare la fattura – sebbene non fosse stata effettivamente pagata – per documentare il costo (mai) sostenuto in sede di dichiarazione annuale, la Corte di merito ha correttamente rilevato che, ai sensi degli artt. 23 e 26, d.P.R. n. 633 del 1972, il legislatore ha disciplinato la possibilità che la fattura venga emessa prima (ed indipendentemente) dalla prestazione che ne costituisce l’oggetto; in un caso del genere, tuttavia, sono previsti specifici strumenti volti ad adeguare il fatto costitutivo dell’imposta (l’emissione anticipata della fattura ovvero il pagamento anticipato della prestazione) e la relativa obbligazione tributaria all’andamento del rapporto civilistico cui quest’ultima accede; se, infatti, la prestazione fatturata non viene eseguita dal prestatore di servizio, il committente ha l’obbligo di registrare la relativa variazione nel registro delle fatture ex art. 23 d.P.R. n. 633 del 1972.

In tal senso, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata dalla Corte di appello, laddove si è affermato che, in tema d’IVA, l’emittente della fattura, in base al principio di cartolarità, è tenuto a versare l’imposta ivi liquidata a meno che non l’abbia tempestivamente corretta o annullata ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sì da consentire l’applicazione dell’esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario (Sez. 5, Sentenza n. 10939 del 27/05/2015, Rv. 635943 – 01).

Ancora di recente, si è affermato che, in tema di Iva, il cessionario di beni, che detragga l’Iva di rivalsa annotando la fattura nel registro degli acquisti e voglia esercitare il diritto alla detrazione in seguito alla sopravvenienza di eventi successivi al compimento dell’operazione imponibile, è tenuto ad applicare il meccanismo di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 e quindi a registrare la variazione, al fine di evidenziare un debito pari alla detrazione in precedenza operata, che viene in tal modo neutralizzata, mirando tale disposizione a garantire il principio della neutralità dell’Iva e, al contempo, a evitare il rischio di perdita del gettito fiscale per l’erario, senza che incida su tale obbligo la mancata rettifica dell’Iva dovuta dal fornitore, il quale rimane debitore dell’imposta indicata in fattura anche in mancanza di un’operazione imponibile, come sostenuto dalla CGUE con la sentenza 3 marzo 2014, in C-107/13 (Sez. 5, Ordinanza n. 13091 del 30/06/2020, Rv. 658391 – 01)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA