Negata la bancarotta riparata all’amministratore che distrae somme con la carta di credito se non dimostra l’integrale restituzione della liquidità prima del fallimento.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 19887.2022 – depositata il 20.05.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte pronunciatasi su una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione ascritta all’amministratore di una società fallita.

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il reato fallimentare per aver utilizzato la carta di credito aziendale per scopi estranei rispetto a quelli propri dell’attività di impresa.

La Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la tesi difensiva che aveva fondato la richiesta di assoluzione sulla transazione intervenuta tra l’imputato e la società prima del fallimento, priva di specifici riferimenti agli ammanchi oggetto della contestazione in sede penale.

La sentenza in commento, al di là della fattispecie concreta scrutinata dalla Suprema Corte, si pone in linea con il dominante orientamento giurisprudenziale secondo il quale per l’operatività della bancarotta riparata è necessario che l’imputato dimostri in sede processuale di avere integralmente riparato il danno prima della sentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione giudiziale secondo la nuova definizione introdotta con il Codice della crisi di impresa).

 

L’imputazione ed i giudizi di merito.

La Corte di Appello di Milano in sede di giudizio di rinvio da un precedente annullamento da parte della Cassazione confermava la condanna dell’imputato, affermata dal giudice di prime cure che aveva irrogato la pena ritenuta di giustizia,  per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione perché, quale componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali –  dichiarata fallita, distraeva risorse della società per circa 78 mila euro, utilizzando a più riprese la carta di credito aziendale per acquisti di beni e servizi estranei alle necessità dell’impresa.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale, interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, articolando plurimi motivi di impugnazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento afferenti il tema giuridico della “bancarotta riparata”:

“….I prelievi delle somme e l’utilizzo della carta di credito aziendale di cui all’imputazione non sono messi in discussione dal ricorrente, il quale esclude invece che gli stessi configurino distrazione per la sostanziale restituzione delle somme, individuata nell’accordo transattivo intercorso con la società il 5 ottobre 2013.

Deve, tuttavia, osservarsi che una restituzione siffatta è rilevante (si parla in proposito di bancarotta “riparata”) nel momento in cui la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento ed impedisca l’insorgenza di alcun effettivo pregiudizio per i creditori (Cass. Sez. 5, n. 3622 del 19/12/2006,Morra, Rv. 236051; Cass. Sez. 5, n. 8402 del 3/2/2011, Cannavale, Rv. 249721;

Cass. Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, Rv. 266025).

È pertanto al permanere o meno di tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l’offesa tipica dei reati di bancarotta (Cass. Sez. 5, n. 39043 del21/9/2007, Spitoni, Rv. 238212), che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un’azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta.

Ed è onere dell’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi commessi (Cass. Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Rv. 271922 – 01).

Alla luce di tali principi, la decisione impugnata è corretta nella ritenuta irrilevanza, ai fini che qui interessano, del citato accordo transattivo intervenuto il 5 ottobre 2013 tra [omissis] e la società poi fallita, considerata la assoluta genericità del relativo contenuto nel quale non viene indicato l’ammontare delle somme alle quali l’odierno ricorrente ha rinunciato né tanto meno se tali crediti fossero certi, liquidi ed esigibili.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA