Il perimetro del profitto del reato nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza numero 20551.2022 – depositata il 26.05.2022 resa dalla Sezione terza penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi sul tema della quantificazione del profitto del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti.

La sentenza in disamina è di estremo interesse per la predisposizione delle impugnazioni di merito (riesame – ex art.324 c.p.p. od appello ex art.322 bis c.p.p.) e di legittimità (art.325 c.p.p.) contro i provvedimenti aventi natura cautelare reale, che non di rado quantificano, erroneamente, il profitto del reato previsto e punito dall’art.8 d.lgs. 74/2000, commisurandolo su quello speculare di cui all’art.2 d.lgs. 74/2000, ossia in misura pari alle imposte dirette ed indirette risparmiate dai beneficiari del documento fiscale che utilizza le fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti.

Precisa la Suprema Corte che, nel caso di specie, diversamene da quanto ritenuto concordemente dai giudici di merito, il profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti deve essere quantificato in misura pari  al vantaggio economico corrisposto al soggetto emittente da parte del terzo che utilizza la fattura. 

 

L’imputazione ed il doppio grado di merito.

La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del Gup del Tribunale di Reggio Emilia, con la quale l’imputato, titolare dell’omonima ditta individuale, all’esito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di occultamento delle scritture contabili e di emissione di fatture inesistenti.

L’imputato ai sensi dell’art.12bis d.lgs 74/2000 era stato condannato, altresì, al sequestro per equivalente da eseguire sul patrimonio personale pari alle imposte – dirette ed  indirette – “risparmiate” dalle società utilizzatrici dei documenti fiscali per effetto della condotta decettiva.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

La difesa dell’imputato condannato, proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte territoriale impugnando il capo della sentenza relativo alla quantificazione della confisca.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento di maggiore interesse per la presente nota:

<….. In relazione alla fattispecie di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi di evadere le imposte, deve richiamarsi il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la confisca diretta o per equivalente, come il sequestro preventivo finalizzato a essa, del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non può essere disposta sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (Sez. 3, n. 43952 del 18/10/2016, Rv. 267925; Sez. 3, n. 48104 del 06/11/2013, Rv. 258052).

Dunque, in tale specifica fattispecie, l’entità dei beni confiscabili deve essere rapportata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto della emissione di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, cioè all’eventuale compenso che l’emittente abbia percepito per l’emissione delle fatture (Sez. 3, n. 25536 del 11/12/2018; Sez. 3, n. 15458 del 04/02/2016, Rv. 266832; Sez. 3, n. 42641 del 26/09/2013, Rv. 257419)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA