Bancarotta fraudolenta per il socio che ottiene la restituzione di somme versate in conto capitale alla società fallita.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza numero 20356.2022 – depositata il 26.05.2022 resa dalla Sezione quinta penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi sul tema giuridico della qualificazione giuridica del reato fallimentare che può essere contestato al socio che preleva dalle casse sociali somme già conferite nel patrimonio della società fallita.
Secondo quanto statuito dalla sentenza in commento, che sul punto di diritto richiama principi oramai pacifici nella interpretazione della dominante giurisprudenza di legittimità, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo, dando diritto alla restituzione, integra la fattispecie della bancarotta preferenziale.
Per la individuazione della natura della restituzione soccorre il criterio adottato dalle Sezioni civili della Suprema Corte che si fonda sulla interpretazione della volontà del delle parti.
La distinzione tra le due fattispecie incriminatrici assume significativa rilevanza in ordine al trattamento sanzionatorio ed al regime della prescrizione del reato.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte di appello di Roma riformava parzialmente la sentenza pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, assolvendo l’imputato per alcune ipotesi di bancarotta distrattiva, confermando, per quanto qui di interesse, la condanna per la bancarotta fraudolenta patrimoniale relativa al prelievo della somma di 80.000,00 euro ritenuta non giustificata da alcuna operazione di legittima restituzione di capitale già conferito dall’imputato alla persona giuridica.
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
La difesa dell’imputato condannato, proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte territoriale romana.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso
Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento di maggiore interesse per la presente nota:
<….. Al riguardo, il Collegio ritiene necessario muovere dalla distinzione traversamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo effettuati dai soci.
Secondo il consolidato insegnamento delle Sezioni civili di questa Corte, invero, i versamenti operati dai soci in conto capitale, pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio, sicché non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la società ed i soci può viceversa essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; conf., ex plurimis,Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810; Sez. civ. 1, n. 2758 del23/02/2012, Rv. 621560; Sez. civ. 1, n. 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073): pertanto, l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili denominazioni), versamento, quest’ultimo, che non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant (Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).
Nella materia penale fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale (Sez5, n.8431 del 01/02/2019, Vesprini, Rv.276031; Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, Rv. 239487, Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254985).
Le indicate conclusioni impongono di esaminare l’ulteriore questione rappresentata dai criteri in base ai quali distinguere le due diverse tipologie di versamenti in questione.
Soccorrono, anche in questo caso, le indicazioni rinvenibili nella giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, ove si è precisato che stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti (Sez.civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, cit.); più in particolare, «i versamenti in conto capitale sono assoggettati all’onere di contabilizzazione nel patrimonio netto della società come riserve di capitale ed alla distinta indicazione di tale natura nella nota integrativa», mentre «l’individuazione della natura del versamento dipende dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti, la cui prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui appare diretto e dagli interessi allo stesso sottesi, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, la cui portata può risultare determinante, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà negoziale, in considerazione della sottoposizione del bilancio all’approvazione dei soci» (Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557).
Nell’ipotesi di specie, a parere del collegio, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi suindicati qualificando l’effettuazione di bonifici perla somma di euro 80.000,00 in favore del ricorrente quale ipotesi distrattiva e non preferenziale, sviluppando specifiche argomentazioni sul punto che sono esenti da vizi e da manifesta illogicità”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA