L’assoluzione degli imputati acquirenti dei beni della società fallita non giova all’amministratore che li ha venduti distraendo il ricavato
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 25244.2022 – depositata il 01.07.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema corte pronunciatasi su una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Nel caso di specie all’imputato, tratto a giudizio nella sua qualità di amministratore della società, era stato contestato il reato fallimentare perché, quando stava maturando lo stato di dissesto dell’impresa collettiva, aveva dismesso l’intero patrimonio aziendale della persona giuridica attraverso la vendita di tutti i beni (mezzi e macchinari) di proprietà della stessa, per un prezzo complessivo pari ad euro 525.000,00, giustificando in sede processuale l’impiego solo di una parte delle somme riscosse (circa 100mila euro).
All’esito del doppio grado di merito, l’imputato veniva dichiarato responsabile della bancarotta distrattiva per l’importo di euro 425.000, del cui reimpiego per scopi sociali non era stata offerta alcuna giustificazione.
Contro la sentenza della Corte di appello di Roma veniva interposto ricorso per cassazione con il quale si lamentava vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata che non aveva tenuto in debito conto l’esito assolutorio del processo svoltosi a carico degli acquirenti dei beni aziendali, originariamente imputati di concorso esterno nel delitto punito dall’art. 216 L.F..
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e sulla superiore questione giuridica ha statuito quanto segue:
“ La sentenza di assoluzione, pronunciata nei confronti degli originari coimputati, non ha accertato l’insussistenza del fatto-reato, ma si è limitata a valutare le posizione degli acquirenti dei singoli beni dismessi, chiamati a rispondere della bancarotta in veste di concorrenti esterni, ed è giunta alla conclusione che non vi fosse prova sufficiente del loro consapevole apporto alla distrazione fraudolenta.
Anzi quella sentenza depone a carico di [omissis], perché ha appurato che il corrispettivo delle vendite è stato versato sui conti correnti della società ed è stato successivamente prelevato dal [omissis] medesimo, posto che solo lui aveva il potere di operare sui conti, in assenza di deleghe.
Come osserva la Corte di appello, la sentenza a carico dei coimputati è erronea nella formula di assoluzione adottata che, in coerenza con le ragioni del decidere, avrebbe dovuto essere “per non aver commesso il fatto”, non “perché il fatto non sussiste”; ma ciò non comporta alcuna conseguenza”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA