La responsabilità penale del datore di lavoro prescinde dalla qualificazione giuridica del rapporto con l’infortunato

Si segnala ai lettori del sito la sentenza numero 23809.2022, depositata il 21.06.2022, resa dalla sezione quarta penale della Corte di Cassazione pronunciatasi sul tema giuridico della posizione di garanzia del datore di lavoro per i reati colposi di evento (lesioni od omicidio).

La Corte di legittimità, con la sentenza in commento, ha ritenuto di dare continuità al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la posizione di garanzia dalla quale discende la penale responsabilità del datore di lavoro deriva dal rapporto di fatto instaurato con l’infortunato e non dalla esistenza o meno del rapporto contrattuale di lavoro autonomo o subordinato.   

 

Il reato contestato e il doppio grado di merito

Nella specie, secondo l’editto accusatorio formulato dalla Procura della Repubblica di Firenze, l’imputato aveva incaricato la persona offesa di eseguire “in nero” la rimozione di un pergolato antistante l’esercizio di ristorazione gestito dall’imputato, fornendogli all’uopo la scala dalla quale il lavoratore cadeva, mentre era intento nello svolgimento della mansione assegnatagli.

Da qui l’imputazione per il reato di cui all’art. 590, cod. pen. ai danni del lavoratore, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: dell’art. 18, comma 1, lett. f), d. lgs. n. 81 del 2008, non avendo fornito al lavoratore, impegnato su sua richiesta in un lavoro in quota, i mezzi di protezione adeguati rispetto alla prestazione lavorativa; dell’art. 18, comma 1, lett. g), stesso decreto, per non aver sottoposto il lavoratore a sorveglianza sanitaria; dell’art. 20, comma 2, lett. h), stesso decreto, per non avere formato il lavoratore.

La Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Siena, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale fiorentina, articolando plurimi motivi di impugnazione, uno dei quali afferente l’insussistenza della posizione di garanzia per carenza del rapporto di lavoro subordinato.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riporta il passaggio più significativo tratto dalla trama argomentativa della pronuncia in commento:

“..La Corte d’appello ha chiaramente inquadrato la fonte degli obblighi violati dal ricorrente nella figura del datore di lavoro, muovendo dalla definizione contenuta nell’art. 2, del d. lgs. n. 81/2008, riferita al “lavoratore”.

Trattasi di premessa corretta, atteso che la definizione di cui alla lett. b) della stessa norma (quella, cioè, di datore di lavoro) deriva dalla prima.

Sul punto, pare sufficiente un richiamo al consolidato orientamento dei giudici di legittimità e di questa stessa sezione, per ricordare che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di lavoro, come quelle concernenti l’informazione e la formazione dei lavoratori, si applicano anche in caso di insussistenza di un formale contratto di assunzione (sez. 4, n. 38623 del 5/10/2021, Pe., Rv. 282102).

Da tale premessa deriva che la stessa definizione di “lavoratore” di cui all’art. 2, comma primo, lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma primo, lett. a, d. lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell’applicazione delle norme previste nel decreto citato, rileva l’oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell’impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell’imprenditore, a prescindere dal fatto che il “lavoratore” possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo (sez. 3, n. 18396 del 15/3/2017,Cojocar,Rv.269637).

Nella specie, i giudici d’appello, prima di valutare gli obblighi incombenti sull’imputato e la situazione di rischio che egli era tenuto a gestire, hanno correttamente proceduto alla valutazione della natura del rapporto esistente tra lo stesso e la vittima e della situazione fattuale sottostante (accertamento la cui necessità è stata richiamata anche in sez. 4, n. 27305 del 4/4/2017, Massetti, Rv. 270105), posto che la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (sez. 4, n. 57937 del 9/10/2018, Ferrari, RV. 274774; n. 38624 del 19/6/2019, B., Rv. 277190; n. 37224 del 5/6/2019, Piccioni, Rv. 277629; n. 19558 del 14/1/2021, Mussano, Rv. 281171)”.

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