La Cassazione conferma l’orientamento che esclude la possibilità di sequestrare il profitto del reato tributario sul patrimonio della società già dichiarata fallita.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 26275.2022 – depositata l’08.07.2022, resa dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, pronunciatasi sulla questione giuridica della sequestrabilità o meno dei beni della società già dichiarata fallita e posti nella disponibilità della curatela fallimentare al momento della esecuzione del provvedimento cautelare reale.

La Corte di legittimità, sul punto di diritto, non sempre ha assunto una uniforme interpretazione, anche se quella cui ha aderito la sentenza in commento, che ha censurato la legittimità della esecuzione del provvedimento ablatorio, risulta ad oggi prevalente.

 

L’incolpazione provvisoria e la fase cautelare di merito.

Il Tribunale cautelare di Benevento rigettava l’istanza di riesame proposta dalla curatela del fallimento della “(omissis) s.r.l.” avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. in sede in danno della predetta società ed avente ad oggetto la somma di 2.254 Euro, ritenuta essere provento del delitto di cui all’art. 2, d.lgs. 74/2000.

 

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza della Corte di appello di Roma interponeva ricorso per cassazione la curatela del fallimento articolando plurimi motivi di impugnazione lamentando, per quanto qui di interesse, la illegittimità del provvedimento in quanto emesso, in via diretta, nei confronti della società (omissis) s.r.l., ma eseguito nei confronti della curatela del fallimento di tale società, e, quindi su beni di cui la (omissis) s.r.l. non aveva più la disponibilità in forza dell’intervenuto fallimento.

La Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva della curatela fallimentare indicando con estrema chiarezza i passaggi giuridici che corroborano tale linea interpretativa riportati nella parte motiva della sentenza che segue:

È pacifico che oggetto di sequestro, disposto in via diretta nei confronti della “(omissis) s.r.l.”, è la somma di 2.254 Euro, accreditata su un conto corrente intestato alla Curatela del fallimento di tale società in data (omissis), a seguito di vendita telematica svoltasi il 10 dicembre 2021; il sequestro è stato disposto in relazione al delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commesso da [omisis] , all’epoca amministratore della società, dichiarata fallita con sentenza del 28 marzo 2019 del Tribunale di Benevento.

 Ciò posto, secondo l’orientamento assunto da questa Sezione, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, in tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12 bis, su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito e l’attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Sez. 3, n. 47299 del 16/11/2021, dep. 30/12/2021, Fallimento Bellelli Engineering, Rv. 282618; Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, dep. 13/05/2020, p.m. in c. Sangermano, Rv. 279382; Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, dep. 10/10/2018, E., Rv. 273951).

Come si è condivisibilmente affermato da Sez. 3, n 47299, ove si consideri che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica che ne è la destinataria importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporne, automaticamente trasferito come previsto dalla L. Fall., art. 42, comma 1, agli organi della procedura fallimentare, ne consegue che a partire da tale momento il curatore subentra ope legis nell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell’interesse dei creditori: costoro, invero, in virtù dell’ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo, in vista della ripartizione finale del ricavato derivato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, la cui amministrazione da parte del curatore, sotto la direzione del Giudice Delegato, è finalizzata a garantire la par condicio, attraverso la quale soltanto possono essere soddisfatti, nei limiti della capienza dell’attivo e nel rispetto delle legittime cause di prelazione, i crediti facenti capo ad ognuno.

Il profilo squisitamente privatistico dell’insolvenza è, perciò, con l’apertura della procedura fallimentare superato dai riflessi pubblicistici cui lo stesso procedimento, attraverso l‘indisponibilità dei beni da parte del fallito, è sotteso, correlati alla necessità che il tracollo dell’impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti e, dunque, posti a salvaguardia delle esigenze economiche della collettività che, implicando la certezza del diritto, non ne consente l’assoggettabilità al vincolo penale per effetto del sequestro finalizzato alla confisca (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018 – dep. 10/10/2018, Evangelista, Rv. 273951; Sez. 3, Sentenza n. 17750 del 17.12.2019, non mass.). La canalizzazione nella procedura fallimentare della composizione della crisi di impresa, così come la espulsione dell’impresa dal mercato quando ne sia accertato lo stato di decozione, rende evidente come l’interesse originario facente capo al singolo creditore resti, in ultima analisi, relegato in posizione di subalternità rispetto a quello pubblicistico che interviene, al fine di tutelare proprio il mercato, a regolamertarlo.

D’altra parte, che i beni facenti parte della massa fallimentare su cui, nella specie, la misura reale, avendo attinto le somme in giacenza sul conto corrente intestato alla curatela, è caduta, rappresentino un’entità a sé stante rispetto al patrimonio del fallito risulta evidente ove si consideri che in essa sono compresi non soltanto i beni facenti parte del patrimonio del fallito, ma altresì, atteso il potere di gestione e di amministrazione demandato alla curatela, i proventi derivati dall’esercizio del suddetto potere che, vuoi per effetto dell’esperimento fruttuoso di azioni revocatorie fallimentari, vuoi attraverso azioni di inefficacia dei pagamenti post-fallimentari, vuoi a seguito di attività strettamente liquidatorie e comunque di tutte le iniziative poste in essere dal curatore al fine di soddisfare le ragioni dei creditori concorsuali, vengono ad accrescere la massa attiva. Di nessuna rilevanza è che il fallito conservi sul suo patrimonio il diritto di proprietà atteso che questo, una volta disgiunto dal potere di gestione e di amministrazione conferito al curatore, resta congelato per tutta la pendenza della procedura fallimentare, fermo restando che, essendo la stessa finalizzata al soddisfacimento dei creditori previa liquidazione della massa fallimentare, è solo sull’eventuale residuo che il suddetto diritto spiega i suoi effetti, il che consente di definirlo come una “proprietà vincolata” al soddisfacimento dei creditori”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA