Il chirurgo che sutura una ferita da taglio e non indaga sulla eventuale lesione tendinea è responsabile di lesioni colpose aggravate.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 27609/2022 – depositata il 15.07.2022, resa dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione che ha sottoposto allo scrutinio di legittimità un caso di responsabilità professionale del chirurgo che, intervenuto per suturare una ferita da taglio riportata dal paziente, aveva omesso di esplorare la sottostante struttura tendinea con conseguente compromissione permanente della funzionalità della mano.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, ha ritenuto che i giudici dei gradi di merito avevano operato buon governo dei principi dettati in tema di responsabilità per i reati colposi di evento (lesioni od omicidio colposo) effettivamente ricorrente nel caso di specie, quale conseguenza del negligente ed imperito operato del medico.
Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.
Secondo il capo di imputazione era stato addebitato all’imputata il delitto di lesioni colpose aggravate perché, quale dirigente medico di chirurgia generale, prestava soccorso ad un paziente che si era presentato presso il nosocomio con una ferita tra la seconda e la terza falange del dito medio della mano destra, riferendo copioso sanguinamento per essersi accidentalmente tagliato mentre, senza guanto, con apposito coltello, apriva le valve delle ostriche.
Secondo l’ipotesi accusatoria il sanitario doveva rispondere del reato previsto e punito dall’art. 590 cod. pen. per omissione del necessario approfondimento diagnostico, in particolare l’esplorazione delle strutture tendinee, così non verificando la avvenuta lesione del tendine, limitandosi a suturare la ferita, con invio al medico curante per la successiva rimozione dei punti, in tal modo provocando un ritardo diagnostico di tale lesione effettivamente esistente e, dunque, il prolungamento della malattia, durata più di quaranta giorni, nonché dell’indebolimento permanente della funzione prensile.
La giudicabile veniva dichiarata responsabile del reato lei ascritto dal Tribunale di Vercelli sulla base di quanto riferito in dibattimento dal consulente del PM e dal perito nominato dal giudice monocratico.
La sentenza impugnata veniva confermata integralmente dalla Corte di appello di Torino.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.
La difesa della prevenuta interponeva ricorso per cassazione contro la pronuncia delle Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione contestando i presupposti della affermata penale responsabilità sia in termini di nesso causale, sia di colpevolezza.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
“Quanto all’ultimo motivo, che è strutturato in continuità con il terzo, valgono le considerazioni già svolte, integrate dal rilievo che i Giudici di merito hanno ritenuto (pp. 7-10 della sentenza impugnata e pp. 5-7 della decisione di primo grado) che la dottoressa [omissis], medico chirurgo specialista in chirurgia generale, dati la collocazione della ferita, il sanguinamento abbondante, la difficoltà a muovere il dito e le modalità dell’incidente, avrebbe dovuto effettuare determinate manovre, indicate dal perito, quindi prendere in considerazione la possibilità, non rara, anche in ragione dello strumento particolarmente tagliente che il paziente utilizzava quando si è ferito, di una lesione tendinea e quindi esplorare tale ambito direttamente, previa anestesia locale, ovvero anche tramite consulto con chirurgo ortopedico o, se ciò non fosse possibile, mediante indicazione espressa della necessità di visita specialistica a breve (con “urgenza differita”) e che tutto ciò non fu fatto, essendosi limitata invece l’imputata a suturare la ferita: con la conseguenza che il medico curante si è trovato in presenza di una ferita già chiusa dal collega, sul cui corretto agire doveva/poteva fare affidamento, con conseguente impossibilità di esplorazione diretta interna della ferita e con corretta prescrizione, al momento iniziale, di fisioterapia.
Peraltro, è principio consolidato quello secondo cui in tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte (nel caso di specie, l’imputata) e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia (nel caso di specie, il medico curante), elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione (Sez. 4, n. 692 del 4/11/2013, dep. 2014, Russo e altro, Rv. 258127; nello stesso senso, Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, De Fina ed altri, Rv. 271521).
Trascura, infine, la ricorrente che la condotta riconosciuta sussistente è, in realtà, in parte omissiva ma un parte anche attiva (cioè il suturare e chiudere una ferita non prima adeguatamente esplorata all’interno) e che per la parte di condotta attiva non deve effettuarsi – ovviamente – il giudizio controfattuale (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138)”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA