Non è ipotizzabile la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte per la cessione della nuda proprietà dell’unico immobile abitato dall’indagato non aggredibile dall’Erario.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza numero 26057.2022, resa dalla terza sezione penale della Suprema Corte che si è pronunciata sulla configurabilità o meno del reato previsto e punito dall’art.11 d.lgs. n.74/2000, quando oggetto del presunto trasferimento di proprietà sia un immobile non assoggettabile ad espropriazione forzata da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato.

La pronuncia in commento si inserisce nell’alveo del dominante orientamento giurisprudenziale di legittimità sedimentato intorno al rapporto tra art. 76 del d.lgs. n.602 del 1973 ed il delitto di cui all’art. 11 del d.lgs. n.74 del 2000, secondo il quale, la preclusione in sede tributaria della possibilità di procedere alla espropriazione forzata dell’unico immobile di proprietà del contribuente,  esclude in origine la rilevanza penale del fatto e quindi la  possibilità di procedere alla confisca del bene e prima ancora la possibilità del sequestro ad essa prodromica in danno dell’indagato/imputato.

 

L’incolpazione provvisoria e la fase cautelare di merito.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che il Gip presso il Tribunale di Arezzo emetteva decreto di sequestro preventivo eseguito su un immobile di civile abitazione di proprietà dell’indagata che si assumeva fraudolentemente trasferito ai sensi dell’art. 11 del D.lgs. n. 74/2000 in favore del figlio coindagato, con riserva di usufrutto in favore della madre, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sull’IVA accertate e non pagate, relative alle annualità dal 2011 al 2014, e ad eventuali azioni di recupero coattivo da parte dell’Erario.

Il Tribunale cautelare di Arezzo, in accoglimento della richiesta di riesame, annullava il provvedimento cautelare sul presupposto della mancanza degli elementi costitutivi della norma incriminatrice.

 

Il ricorso per cassazione del PM, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

Contro l’ordinanza resa dal Tribunale per il riesame ricorreva per cassazione l’Ufficio del PM  denunciando la  violazione delle norme sulla confisca applicabile ai reati tributari, avendo il giudice di merito fatto applicazione in sede penale dell’art. 76 D.p.r. 602/73,  sostenendo che la norma che prevede l’esenzione dalla procedura di esecuzione coattiva da parte dell’erario qualora l’immobile sia l’unico di proprietà del contribuente ed adibito ad abitazione fosse applicabile solo in sede amministrativa- tributaria.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa della sentenza in commento di maggiore interesse per la presente nota:

“…..Nell’ottica della verifica astratta della sussistenza del reato di cui all’art. 11 del D.Igs. n.74 del 2000, merita attenzione l’argomento in base al quale mancherebbe in radice, nel caso di specie, la tipicità della condotta di trasferimento fraudolento, posto che l’immobile non avrebbe potuto essere espropriato, ricorrendo le condizioni che l’art. 76 del D.p.r. 602/73 prevede nel caso di unica abitazione.

In proposito, il giudice del riesame ha ritenuto che difettasse il fumus commissi delicti della prospettazione accusatoria, in quanto il bene immobile oggetto dell’operazione economica qualificata come fittizia non poteva essere sottoposto alla procedura di esecuzione coattiva da parte dell’Erario per i crediti vantati da quest’ultimo.

Viene dunque in rilievo l’art. 76, comma 1, lett. a), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in leggle 9 agosto 2013, n. 98) il quale stabilisce che l’agente della riscossione non debba dare corso all’espropriazione immobiliare dell’unico immobile, non di lusso e non rientrante nelle categorie catastali A/8 e A/9, e adibito ad uso abitativo del debitore che vi risiede anagraficamente.

Ricorrendo tutti i requisiti previsti dalla disposizione suddetta, il giudice a quo ha concluso che l’immobile oggetto della compravendita menzionata nell’addebito cautelare non potesse essere sottoposto ad espropriazione coattiva da parte dell’agente della riscossione.

Ed infatti la fattispecie in questione testualmente punisce “chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o sugli altrui beni idonei a rendere a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva“.

Ebbene, nel caso di specie, difetta il requisito della “idoneità a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”, posto che gli atti sono già ab initio privi del requisito della capacità di influire sulla procedura di riscossione coattiva, in quanto l’immobile oggetto della condotta non può essere sottoposto alla procedura esecutiva.

Il giudice del riesame ha pertanto correttamente ritenuto che difettasse il fumus, poiché non si prospetta, neppure in astratto e sulla base di una ricostruzione meramente esegetica, l’aggettivazione della condotta in termini di idoneità ad elidere l’efficacia della procedura di riscossione coatta.

Infatti, non si tratta, nel caso di specie, di stabilire se il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, abbia vincolato il giudice penale nell’adozione della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, o del sequestro preventivo ad essa finalizzato, né di stabilire se l’immobile oggetto di trasferimento fraudolento costituisca il profitto del reato sequestrabile e non il debito verso il fisco, ma soltanto di prendere atto dell’insuscettibilità della condotta di arrecare pregiudizio alla procedura di riscossione coattiva.

Deve essere quindi confermato l’indirizzo già espresso in tal senso dalla pronuncia di Sez.3, n. 3011 del 05/07/2016, dep.2017, Di Tullio, Rv.268797, incentrata sul predetto rapporto tra art. 76 del d.lgs. n.602 del 1973 e fattispecie di cui all’art. 11 del d.lgs. n.74 del 2000, rapporto non contestato dalla pronuncia di Sez.3, n.30342 del 16/06/2021, Rossi, Rv. 282022 (ininfluente, invece, sul caso in oggetto;’ la sentenza di Sez.3 n.8995 del 07/11/2019,dep. 2020, Piscopo, Rv.278275, intervenuta sulla diversa fattispecie dell’art. 2 del d.lgs. n.74 del 2000, citata dal P.M a conforto del proprio assunto)”

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA